di Paolo Lago

Nel ridente paesino di Parnocchia, verso la fine del XIX secolo, viveva un giovane valoroso e ardito, di nome Edmond Pallès. Versato nelle arti dell’ingegno poetico, egli trascorreva le sue giornate nell’ozio. A volte aiutava lo zio mercante, altre volte si immergeva nella lettura dei classici della poesia francese e italiana e componeva egli stesso dei versi. Un bel giorno giunse in visita a Parnocchia la nobildonna marsigliese Pucette, la quale avrebbe dovuto fermarsi nel paese per diversi mesi, insieme alla sua elegante corte. Ella era bella come la luna e aveva capelli nerissimi, come la notte. Edmond subito si innamorò di lei e, proprio per lei, compose alcuni fra i suoi versi più belli. Pucette, all’inizio, non sembrò accorgersi del povero Edmond ma, lentamente, cominciò a degnarlo di qualche sguardo. Sarebbe stato veramente strano che una nobildonna prestasse qualche attenzione al nipote del mercante del paese, un giovine ozioso che trascorreva le sue giornate poetando e passeggiando per le campagne! Eppure, grazie al suo ingegno letterario, Edmond, qualche volta, riuscì persino a parlare con Pucette alla quale, invece, di Edmond non importava proprio niente. Però, quei rari convenevoli che a volte nascevano fra i due provocarono la fervente gelosia di uno dei personaggi di più alto rango della corte di Pucette, il nobile Rodolphe, ufficiale della reale marina francese, che era follemente innamorato di lei. Rodolphe diventava di fuoco ogni rara volta che Pucette si rivolgeva al povero Edmond.

Un brutto giorno, roso dalla gelosia, Rodolphe condusse Edmond in una trappola. Il palazzo che era stato destinato alla nobile corte francese era dotato di una dépendance, cioè una casetta che sarebbe dovuta essere del guardiano del grande parco nel quale sorgeva il palazzo, ma che invece era disabitata. Rodolphe attrasse lì il povero Pallès col pretesto che in tale casetta si trovava la parte perduta dell’opera di un autore latino che Edmond amava molto, Petronio Arbitro. Rodolphe disse: “venga qui, signor Pallès, in questo misero loco, dietro una parete, scopersi pochi giorni fa la parte perduta del romanzo di Petronius!”. Edmond, a quelle parole, impazzì. Subito si precipitò dietro a Rodolphe nella casetta fino nella latrina poiché era proprio lì – nella latrina! – che Rodolphe asseriva di aver trovato il romanzo di Petronio. Non appena Edmond entrò dentro, Rodolphe prontamente chiuse la porta dietro le spalle del povero giovine, il quale rimase imprigionato. La porta era di ferro fortissimo e il povero Edmond rimase chiuso nella latrina per dieci anni! Il tempo passava, finché, un giorno, Edmond trovò, in una mattonella vicino alla tazza del cesso, un tesoro inestimabile ivi nascosto. Lentamente, grazie alla sua infinita pazienza, riuscì a scavare una buca che portava nel parco della villa. Dopo dieci anni, un mese e tre giorni, finalmente Edmond uscì dalla sua prigione. Tutti, ormai, lo avevano dato per morto perché Rodolphe aveva sparso la voce che egli, vagando per i campi, era caduto in un burrone.

Edmond non si diede per vinto: voleva a tutti i costi rintracciare Pucette. Grazie al tesoro ritrovato, egli armò una nave, mise su un equipaggio e divenne pirata. Cambiò inoltre identità assumendo il nome di Conte di Montecesso, dal luogo ove egli aveva trovato il tesoro. Colla sua ciurma corsara egli correva i sette mari rubando ai ricchi per donare ai poveri, stando sempre dalla parte degli ultimi. Batteva soprattutto il mare intorno a Marsiglia, sperando di incontrare la nave comandata da Rodolphe. Un bel giorno, un elegante galeone francese si imbatté nella rotta della Vendicatrice dei Mari, la nave di Edmond. Era la nave comandata da Rodolphe! Edmond e la sua ciurma si prepararono al combattimento e issarono la bandiera corsara che li contraddistingueva: al posto del teschio vi era infatti un gabinetto sormontato dalle ossa a croce. Arpionarono la nave francese e si precipitarono a bordo. Qui vi era il fior fiore della nobiltà d’Oltremanica e, naturalmente, Rodolphe, in veste di comandante e, udite udite, Pucette, che ormai era divenuta sposa di Rodolphe. Ella era bellissima, con una veste candida che entrava in contrasto coi suoi lunghi capelli neri. In quattro e quattr’otto il conte di Montecesso e i suoi fidi pirati ripulirono la nave di tutti i gioielli e gli ori. Rodolphe e gli altri nobili furono rinchiusi nella stiva e la nave venne mandata alla deriva.

E Pucette? Ebbene, miei cari lettori, miei simili, miei amici, ora Pucette vive insieme a Edmond, anzi, al conte di Montecesso e i due si sono giurati eterno amore. Ella ora è una piratessa che, con audacia incredibile, assale le navi dei ricchi e dei nobili che incrociano nel mare Tirreno. E tutte le ricchezze di quelle navi, grazie a lei e al conte, sono ora godute dagli ultimi, dai diseredati, dai proletari e sottoproletari del mondo.

P.S.: infatti, nel cesso, insieme al tesoro, Edmond non trovò Petronio ma un’altra opera perduta, che si credeva non fosse mai stata scritta, I paralipomeni del Capitale di un certo Carlo Marx.


Illustrazione di Silvia Mannocci

Tagged with →