di Alessandra Daniele

AlfredBester.jpgIl termine fantascienza evoca spesso immagini da desktop, luccicanti astronavi lanciate alla scoperta di galassie e nebulose multicolori. In realtà però più che dello spazio esterno, la fantascienza s’avventura nell’esplorazione dello spazio interno, la psiche umana. Il viaggio più affascinante e rischioso che si possa intraprendere, e che richiede notevoli risorse di coraggio e immaginazione.
Doti che non mancano ad Alfred Bester (1913-1987) che alla narrativa sf sa anche trasfondere il ritmo, e l’impatto evocativo delle immagini tipici del fumetto, segnandola così profondamente da essere riconosciuto sia come maestro della Golden Age, che precursore del Cyberpunk.

Nelle sue mani le scorribande spazio-temporali diventano lo strumento per disegnare, con tratti decisi e colori intensi, un universo che infatti è spesso la visionaria espansione speculare dell’intricata psiche dei suoi protagonisti.
Un ottimo esempio ne è il vertiginoso romanzo La tigre della notte (“Tiger, tiger — The Stars My Destination”, 1956) geniale reinvenzione del feulletton classico in chiave space-opera – arricchita da forti elementi noir – che è soprattutto la storia di come la turbolenta evoluzione della tormentata psiche di un uomo trasformi la realtà fisica intorno a lui, a cominciare dal suo stesso corpo, alterato e implementato, fino agli equilibri socio-politici dell’intero sistema interplanetario, rivoluzionati dalla diffusione di una nuova tecnologia. La bruciante sete di vendetta che spinge il protagonista attraverso un’incalzante catena di eventi cruciali finisce così per trasformarsi in una catarsi di empatia cosmica.
Come arguto indagatore della psiche Bester si dedica a sviscerare le potenzialità narrative della telepatia, strutturandone i parametri, e creando col suo capolavoro L’uomo disintegrato (“The demolished man”, 1951) un imprescindibile modello di riferimento universale sul tema, esplicitamente citato anche dal cult-serial “Babylon 5”. Nella società immaginata da Bester infatti la telepatia non è un elemento incidentale, ma uno dei pilastri fondanti: i telepati – organizzati in una gilda dalle regole ferree – svolgono attività fondamentali al suo funzionamento, dalla consulenza aziendale, a quella psichiatrica, alla prevenzione e repressione del crimine, e ogni iniziativa umana deve fare i conti con la loro pervasiva presenza.
Secondo una gerarchia che ricalca la struttura della mente umana, Bester suddivide i telepati, detti Esper, in tre classi: dalla terza, composta da chi è in grado di leggere solo i pensieri coscienti, alla prima, a cui appartengono i rari individui capaci di sondare anche i più profondi meandri dell’inconscio. Quando Reich, un arrogante tycoon, deciderà di sfidare il controllo telepatico pur di uccidere l’odiato rivale in affari, troverà la sua nemesi proprio in uno di questi ultimi, Powell, deciso a dargli la caccia, attraverso bizzarri bassifondi futuribili, e ancora più labirintiche circonvoluzioni psichiche nelle quali si nasconde a entrambi i protagonisti un minaccioso movente sconosciuto allo stesso omicida.
Ancora una volta lo spazio esterno diventa la proiezione di quello interno, il vero territorio dove si svolge il metaforico duello fra i due personaggi per certi versi speculari, e quindi simili quanto opposti, che precipita in un vortice di onirica destrutturazione cosmica. Lo scontro potrà essere vinto da Powell soltanto quando, attingendo all’energia psichica di massa catalizzata da tutti gli altri telepati, saprà contrapporre una forza collettiva all’ individualismo maniacale di Reich, e lo costringerà a prendere coscienza della sua scissione psicotica.
Autore multimediale, attivo anche nel campo del giornalismo, della fiction radiotelevisiva e del fumetto, Bester firma col suo stile elegante e versatile narrativa breve non meno incisiva e immaginosa dei suoi romanzi. Lo dimostrano piccoli folgoranti capolavori come l’appassionante e ironico paradosso temporale La spinta di un dito (“The push of a finger”, 1942), lo struggente Adamo e niente Eva (“Adam And No Eve”, 1941) dal finale insieme beffardo e poetico, o Frenetico Fahrenheit (“Fondly Fahrenheit”, 1954), un altro tuffo nel cuore nero della psiche omicida che suona anche come una sarcastica smentita del miope meccanicismo organicista.
Oggi, a vent’anni dalla sua morte, Alfred Bester — “Alfie” per i colleghi e amici che potevano apprezzarne di persona genialità e senso dell’umorismo — è più che mai considerato un autentico maestro di quella tecnica di esplorazione e trasmissione del pensiero tra le più raffinate che è la letteratura fantastica.