di Gianpietro Miolato

ScatolaMettila tutta dentro… Piano…
Lo schermo illuminò il viso di Davide Larenzi, facendo risaltare le rughe ai lati degli occhi. La ragazza si mosse lentamente, accarezzandosi la pelle illuminata dalla luce giallastra della lampada che le stava di fianco. Lui le fissò i capelli rossastri raccolti dietro alla maschera e le cercò gli occhi. Non li scorse. Fece un respiro, si guardò il pene e riprese a masturbarsi. Mancavano quindici crediti all’azzeramento del contatto.
Ti piace così?, scrisse lei.
Davide lesse il messaggio con stizza, sapendo che era una delle tante tattiche messe in atto per perdere tempo e fargli sperperare i crediti. Avrebbe voluto rispondere di smetterla di chiedergli se gli piaceva quello che lui aveva chiesto fosse fatto. Ma non avrebbe avuto senso. Le chat funzionavano così, erano le regole del gioco. E Silvia88 – nickname che lui aveva trovato quanto più ridicolo – null’altro faceva se non guadagnarsi la paga. Davide rispose di sì. Il credito scese a undici. Massimo dieci minuti e le immagini sarebbero scomparse e con loro la chat.
Continua con tutta la mano… Sei bellissima…
Davvero?
Sì…
Perché non mi mostri quanto ti piaccio?

Davide abbassò lo schermo del computer dal torace agli slip. Fissò la reazione della ragazza e poté coglierne un sincero stupore. Silvia aveva smesso di toccarsi e lo aveva osservato con attenzione. Lui ne fu rinvigorito. Dopo Elena e Sara aveva ancora credibilità agli occhi di una donna. Rialzò lo schermo con fretta, inquadrandosi il mento. Il respiro gli si bloccò, fece uno scatto e oscurò la webcam posta sul lato superiore della videata. Aveva rischiato di mostrare il viso. Se ciò fosse accaduto, avrebbe dovuto abbandonare l’unica ragazza che era riuscito a soddisfarlo da settimane. Non doveva andare così. I desideri che nutriva non dovevano essere associati ad un volto. Doveva rimanere anonimo, soprattutto ai suoi stessi occhi.
Tesoro, tutto ok?
Davide lesse il messaggio ingoiando un sorso di saliva. Guardò la mano che copriva la webcam, rilesse le parole e si guardò il pene. Non era accaduto nulla di irreparabile. Sistemò lo schermo all’altezza del petto e tornò a Silvia88.
Rimettiti la mano dentro, rispose tralasciando la domanda.
Non ti va di guardarmi ancora un po’?
Non ho mai smesso… ma rimettila dentro…
Ok tesoro…

Fu sollevato di non aver perso il contatto. Non era stato facile trovare qualcuno disposto a soddisfarlo. E nel corso dei mesi aveva imparato che il denaro non garantiva la certezza delle prestazioni richieste, anzi.
Un mese prima, alla fine di settembre, aveva contattato una ragazza che si faceva chiamare AngelC. Davide l’aveva trovata per caso, mentre sfogliava il catalogo-ragazze di una chat che frequentava per la prima volta. Aveva notato che AngelC era diversa dalle altre. Al contrario delle sue colleghe, AngelC non aveva una foto profilo che la ritraeva in pose ammiccanti. Come foto profilo, AngelC aveva caricato l’immagine di un clitoride. Eccitato dalla visione, Davide volle scoprire se era il suo. Lei fu subito disponibile a vederlo e lui fu sorpreso che fosse mulatta. Dopo due incontri le chiese di masturbarsi riprendendo la vagina in primo piano. AngelC acconsentì, così Davide scoprì che il clitoride era il suo. Felice per la conferma dell’intuizione, Davide commise il primo errore che gli precluse ulteriori soddisfazioni con la giovane: scrisse ad AngelC di infilarsi una mano dentro la vagina. Non ebbe alcun filtro e lo scrisse come richiesta di un premio che gli era dovuto, utilizzando un imperativo. AngelC spense il video non appena arrivò il messaggio. Spaesato e umiliato Davide le chiese il perché dell’interruzione. AngelC rispose che nessuno le ordinava qualcosa, men che meno una cosa del genere. E in quel momento Davide commise il secondo errore, quello decisivo: orgoglioso ed arrabbiato, scrisse che era lui a pagare e che quindi poteva chiedere ciò che voleva. Come risposta ebbe un: Fottiti da solo, figlio di puttana.
Con Silvia88 si comportò in modo opposto. Dopo averla trovata, non impose nulla né fu sgarbato. Finse di interessarsene – quel tanto che poteva renderlo credibile senza pregiudicare decine di crediti – e la ringraziò per ogni cosa che fu disposta a fare. Partì con richieste comuni – uno spogliarello, una masturbazione frontale, una dal basso – e dopo due settimane ottenne l’intera mano. Una conquista del genere non andava sprecata per una disattenzione come l’inquadrarsi il mento. La lezione di AngelC era servita.
Il cursore scese di nuovo. Sette crediti.
Dai… Continua…, la incitò.
Lei fece un cenno e ricominciò. Davide la guardò ritornando all’eccitazione che sentiva di non poter mantenere ancora a lungo. Silvia88 si accarezzò le cosce, seguendo i contorni della morbidezza che contraddistingueva la bellezza delle sue forme. Fu un movimento deciso. Arrivò al pube. Le dita entrarono in coppia e si mossero velocemente. Lui si adeguò e sentì salire la consapevolezza della fine. Era quasi perfetto, come aveva desiderato. Si avvicinò allo schermo e sentì inumidirsi le dita. Silvia88 inserì un altro dito, poi un quarto, chiuse la mano, la sollevò e… lo schermo si spense.
Davide fu colpito dal nero come da un proiettile. Ebbe un moto di dissenso, si sollevò per capire cosa fosse accaduto, ma appena si mosse eiaculò sulla tastiera. Fu un orgasmo copioso e liberatorio. Le endorfine gli attraversarono le membra facendogli rabbrividire la pelle della schiena. Davide si riassestò tenendo gli occhi chiusi. Passata la scarica, guardò il computer e si ripulì. Poi passò allo schermo e alla tastiera. Conclusa la pulizia si diresse in bagno. Quando rientrò in camera lo schermo lampeggiava indicandogli che il credito era finito. Si sedette, lo fissò per qualche istante e poi spense. La breve soddisfazione era svanita ed ora rimaneva qualcosa di meno definito. Quando fu a letto, guardò il soffitto e cercò d’allontanare quello che era accaduto. Non ci riuscì. Si girò di lato, sapendo che non avrebbe dormito prima di qualche ora. Pensò che l’indomani sarebbe andato a pranzo da Elena e Sara. Avrebbe preferito rimandare, ma non aveva crediti sufficienti per restarsene in casa. La disciplina economica che si era imposto da quando viveva da solo non gli avrebbe permesso di ritornare davanti allo schermo prima di lunedì. La consapevolezza lo depresse, così pensò al pranzo che lo attendeva. E si depresse ancora di più. Parteciparvi era avvilente, ma non aveva scelta. In qualche modo doveva espiare le sue colpe. Quanto meno per Elena e Sara. Lui era stato cacciato di casa, quindi lui aveva torto. Nessuna obiezione sarebbe stata accettata. E tanto bastava. Ma non per lui.

Guidò senza fretta, illudendosi che il passo rallentato gli permettesse di rimandare quanto lo aspettava. Si immise nel vialetto alberato e parcheggiò la Punto serie 2 di seconda mano che si era potuto permettere dopo il divorzio. Nel vialetto spiccava un Porsche Cayenne nuovo di zecca dell’ex-moglie. Elena l’aveva ricevuto in regalo dal compagno che frequentava da un mese, fidanzato che Davide non aveva conosciuto ma di cui era stato messo al corrente da Elena stessa. Aveva provato invidia per quell’auto. L’avrebbe voluta lui. Smontò e respirò a pieni polmoni l’aria che lo circondava. Soffiava un vento leggero ma gelido. Davide ne fu infastidito e chiuse il collo del cappotto. Abitare in cima ad una collina non era il massimo per la gola. E nemmeno per i ritorni da sbronzo. La pendenza non giocava a tuo favore. Aver trovato un monolocale poco fuori dal centro non creava di questi problemi, sebbene non fosse più rincasato barcollante. Il cielo era grigio chiaro, coperto da nuvole bianche a formare una coltre malsana e avvilente. La nebbia stava formandosi. Di lì a poco avrebbe invaso l’intero territorio, sia pianeggiante sia collinare. Davide non aveva ricordi di un solo fine ottobre in cui Lonigo non fosse stato avvolto da un clima diverso. Pensò fosse una prerogativa autunnale di tutti i comuni del vicentino. Tossì, sputò per terra e si diresse all’entrata. La facciata della casa, con le finestre troppo strette e l’edera non curata, gli ricordò che una volta quelle mura lo accoglievano quando tornava incapace di capire cosa stesse facendo. Ora lo attendevano alla luce del giorno, pienamente consapevole e sobrio. Entrò senza dire una parola e andò in cucina.
«Ehi, non ti ho sentito entrare.»
Sara parlò con tono di voce troppo acuto, rivelando la finta sorpresa che voleva trasmettere al padre. Davide annuì e si schiarì la gola. Si appoggiò al piano cucina ed incrociò le braccia.
«Capita. Tua madre è in casa?»
«Credo sia in bagno. Tra poco arriva.»
«Ok.»
Calò il silenzio. Davide guardò la figlia tagliare l’arrosto e ripensò a quando la teneva in braccio da piccola. Erano tempi lontanissimi. Non ricordava più quand’era stata l’ultima volta che lo aveva chiamato “papà” e non se ne stupiva né rammaricava. Erano passate troppe sbronze.
«Quando sei tornata?», chiese con tono amichevole per riprendere una conversazione che intuiva non avrebbe portato da nessuna parte.
«Stamattina, come sempre.»
«Quanto resti?»
«Credo di ripartire domani.»
«Di già? Fermati un paio di giorni, no? Se ti va, puoi venire da me.»
«Non posso», disse Sara senza alzare lo sguardo.
«Ok. Sei stanca?»
«Un po’, ma niente di grave. Mi riposerò domattina.»
«Per il resto come va?»
«Bene, dai. Un po’ dura, ma va bene.»
«Professori stronzi?»
«Adoro i miei professori. Non parlarne in questo modo.»
«Scusa, è che io…»
«Lascia stare», lo interruppe. «Non c’entrano i professori, né i corsi.»
«Allora c’è di mezzo qualche ragazzo.»
Davide pronunciò la frase conscio dell’inutilità delle proprie parole. Sara lo guardò con la stessa espressione che assumeva quando rincasava dai bar. Era un’espressione di pena. Davide abbassò lo sguardo e si fissò i piedi. Capì d’aver superato il confine che separa la levità dalla stupidità. Tornarono in silenzio e Sara proseguì con l’arrosto. Lo tagliò a fette sottili, con una meticolosità che molte sue coetanee non sarebbero state in grado di sfoggiare, o così pensò Davide. Ammirò quel semplice gesto e gli parve d’essere ancora più estraneo a tutto ciò che gli stava attorno. Non conosceva nulla di Sara. E non lo avrebbe conosciuto.
«Finalmente sei arrivato.»
La voce di Elena lo prese alla sprovvista. Davide si girò di scatto, trattenendo il respiro per lo spavento.
«Credevamo che non saresti più arrivato, giusto chérie?» Sara sorrise alla madre e tornò alla carne.
Elena indossava un abito color lavanda. Davide detestava quel colore, lo aveva sempre detestato. Per questo Elena non perdeva occasione per sfoggiarlo. Davide tornò a fissarsi i piedi. Elena si avvicinò alla figlia e controllò la vivanda.
«Sembra buono», disse accarezzando la figlia.
«Ora lo scopriamo. A tavola.»
Si diressero in salotto. Elena si sedette a capotavola, mentre Davide si accomodò nel mezzo. Sara servì prima la madre, poi se stessa e alla fine il padre.
«Manca una cosa», disse Elena appena la carne fu servita.
Davide si mise il tovagliolo sulle gambe, sorrise a Sara e guardò la donna dirigersi in cucina. L’ex-moglie era ancora attraente. Per un momento gli tornò in mente quando facevano l’amore, o meglio quando il suo fisico riusciva a rispondere allo stimolo sessuale, viste le condizioni cui versava nella maggior parte dei casi in cui stavano in intimità. Non ne fu eccitato.
La donna rientrò con una bottiglia di vino. La stappò, ne annusò il tappo, se ne versò mezzo bicchiere e mezzo lo servì alla figlia. Davide non disse nulla. Non lo infastidiva trovare alcolici sulla tavola o in qualsiasi altro luogo, e il gesto dalla moglie non lo colpì più di quanto l’avrebbe colpito una persona distratta che, camminando testa all’aria, lo avesse urtato.
Elena chiese qualcosa alla figlia sull’università. Lui non si intromise nella discussione. Non sarebbe servito. Se avesse provato a dire qualcosa, Elena avrebbe tacitato l’intervento, il quale si sarebbe risolto in un colpevole silenzio cui avrebbe dovuto sottostare senza possibilità di replica. Quando fu servito il caffè, chiese di che marca fosse. Sara rispose di non saperlo e rilanciò la domanda alla madre. Questa lo fissò, sorrise e, dopo aver rivelato di non ricordarselo, verté sulla situazione di sfruttamento agricolo cui erano sottoposti i popoli sudamericani. Davide comprese che avrebbe fatto prima a scoprirlo da sé, ma era troppo stanco per alzarsi. Ne fu sorpreso. Non si annoiava durante i pranzi. Provava umiliazione, ma non noia. Invece quell’incontro si stava rivelando spossante e banale. Persino il disprezzo dei suoi ex-cari stava divenendo un’abitudine. Aspettò qualche momento, scommettendo tra sé e sé su quale liquore Elena avrebbe messo in tavola dopo il caffè. La donna si diresse ad una piccola credenza in mogano, estrasse una bottiglia di brandy, ne versò una copiosa dose e ne bevve un sorso non celando il piacere che ne stava ricavando. Sara si astenne. Davide osservò l’ex-moglie camuffando una risata con un colpo di tosse e si alzò per andarsene. Un semplice «ciao, alla prossima settimana» sarebbe bastato. Andò a prendersi il cappotto e le chiavi della macchina. Nessuno gli chiese nulla.
«Grazie di tutto», disse appena tornò in salotto. «Era tutto squisito. Ciao, alla prossima…»
«Aspetta», lo interruppe Elena, «devo parlarti.»
La richiesta lo stupì e si augurò che quello che avrebbe ascoltato non avesse nulla a che fare con le ultime discussioni che avevano avuto. Si misero dirimpetto le scale che davano al piano superiore, appena fuori alla stanza dove aveva desinato.
«L’assegno non basta», disse lei senza fronzoli. «Dovresti fare qualcosa di più.»
«Mi pare difficile. A malapena ce la faccio con quello che mi resta.»
«Non è affar mio quello che fai o non fai. Trova qualche soluzione. C’è anche Sara.»
«Non posso.»
«Cioè?»
«Hai capito. Non posso.»
«Tu non hai capito: devi
«Non ce la faccio concretamente.»
«Nemmeno io ce la facevo concretamente. Ma ho sopportato. Ti ho sopportato. Aver risolto l’aspetto economico tra di noi non vuol dire che puoi fare quello che vuoi. Ne abbiamo già discusso.»
«Ho detto che non posso. Mi spiace.»
«Inventati qualcosa.»
«E l’auto?»
«L’auto?»
«Nel vialetto. Chiedi al tuo amico di aiutarti. Se credi di…»
«Stammi a sentire», lo interruppe Elena stizzita, «non sono cazzi tuoi quanto guadagna Luca, chiaro?»
Finalmente ho saputo come si chiama, pensò Davide.
«Fai qualcosa e basta.»
Elena non aspettò la risposta, gli voltò le spalle e salì a passi veloci le scale. Davide rimase immobile. Poi voltò lo sguardo verso il salotto. Sua figlia non c’era. Era certo avesse sentito tutto. Uscì senza sbattere la porta e andò verso la Punto. Salì non sapendo come sentirsi in riferimento alle parole di Elena, mise in moto e partì. I ricordi di quello che aveva contraddistinto la sua vita coniugale scorsero veloci. Ma l’unica sensazione che riuscì a decifrare fu l’attesa: l’attesa per il giorno che sarebbe venuto, lunedì. Il giorno di ricarica dei crediti della chat.

I film pornografici avevano sempre annoiato Davide Larenzi.
Sebbene da adolescente avesse accettato di masturbarsi coi suoi coetanei davanti a qualche videocassetta porno, dentro di sé non aveva mai provato un reale interesse per quello che guardava. Quando osservava le performance delle pornostar, la sua mente non riusciva a prendere sul serio le immagini che scorrevano sullo schermo. Erano costruite, quindi finte, così l’eccitazione svaniva in fretta. Per questo la chat era diventata essenziale, da quando l’aveva scoperta due anni prima.
Vi era capitato per caso, tornato particolarmente sbronzo un sabato notte di novembre. Elena e Sara erano via per il weekend, così non ci aveva pensato due volte a distruggersi con gli alcolici che preferiva: Vecchia Romagna e birra alla spina. Era seduto in cucina, con lo sguardo fisso sulla tv. Scorreva i canali a caso, senza un reale obiettivo se non astenersi dal vomitare sulla tavola, quando vide uno speciale sulla prostituzione. Non capì granché di quello che veniva detto, ma gli rimase impresso l’intervento di una ragazza che difendeva la libertà di guadagnarsi da vivere esibendosi in una chat erotica. «Se mi pagano, perché non dovrei fare quello che vogliono? Nessun mi obbliga.» Le parole lo ridestarono per un istante dalla sbronza e gli parve che un’epifania troppo a lungo celata gli venisse rivelata d’improvviso. L’indomani, ancora preda dei pesanti postumi della serata, si collegò ad una chat ed ebbe conferma delle sensazioni provate il giorno prima. La chat lo eccitò come non capitava da troppo tempo. Nessuna parola inutile, nessun obbligo. Ma non per questo nessuna finzione. Gli era data la possibilità di guidare la performance, non di subire passivamente delle immagini preconfezionate come coi film porno. E veniva a realizzarsi un’onesta transizione sessuale. Era perfetto.
Dopo la prima chat, iniziò una costante ed inesorabile dipendenza da quella realtà. Davide ne fu subito consapevole e gli piacque. Il fatto che con Elena il rapporto andasse via via sgretolandosi non fu un problema. Non aveva scoperto se la compagna avesse saputo delle chat, ma non importava. Da anni non andava e non solo perché beveva. Il problema sorgeva quando era sobrio e consapevole di non averla mai amata. E soprattutto di essersi lasciato trascinare in una storia dalla quale non aveva avuto il coraggio di sottrarsi prima. Quando la conobbe all’università, si lasciò ingannare dall’idea che potesse essere diversa dalle ragazze che aveva avuto. Ma scoprì non essere così. Davide aveva una precisa modalità di rapporto con le donne: vi usciva, parlava di cose vagamente importanti e vi faceva sesso. Per lui era normale. Non una volta aveva colto negli amplessi qualcosa di più rispetto ad un semplice e preciso atto meccanico teso al raggiungimento dell’orgasmo. E non se n’era fatto un problema, come non si era fatto un problema di masturbarsi coi coetanei senza doversi sentire in obbligo di eccitarsi davanti alle immagini pornografiche. Il problema sorgeva dopo l’atto. Davide non parlava. Concretamente pronunciava parole, ma nulla più di frasi di circostanza. Non lo faceva per punire le donne o per complessi infantili irrisolti – né la madre né il padre avevano abusato in alcun modo di lui – e non riusciva a capacitarsi di come tale comportamento fosse incompreso. Per lui era del tutto naturale. Taceva perché non c’era nulla da dire. Non riusciva a spiegarlo – e non era riuscito a farlo capire a nessuna delle amanti che aveva avuto, le poche volte che ne aveva parlato – ma quando era raggiunto il piacere fisico il resto non contava. Il parlare di sé, dei propri problemi e il dare significati “altri” al sesso erano semplici strumenti che null’altro conducevano che ad un nuovo piacere sessuale. Dunque, perché perdere tempo?
Benché tale visione del mondo gli fosse cristallina, alla soglia dei 22 anni iniziò a pensare che non fosse una cosa del tutto normale. Non aveva mai avuto un vero amico, e pure coi coetanei che frequentava non aveva instaurato rapporti che andassero al di là di qualche bevuta in compagnia. Tuttavia, ascoltando le chiacchiere che uscivano tra una birra e l’altra, non aveva percepito un modo di intendere il rapporto con le donne come lo considerava lui. Questo gli insinuò il dubbio che ci fosse qualcosa di sbagliato nel modo che aveva di affrontare tale realtà. Incapace di fugarlo, decise di provare una strada diversa quando conobbe Elena. Erano nello stesso corso di Lettere Moderne a Verona. Elena gli fece colpo per la brillantezza che sfoggiava nel modo di pensare e per il seno prosperoso che racchiudeva in felpe troppo strette. Davide non puntò subito al sesso, decise di conoscere più che poteva la persona che aveva di fronte. Trascorsero assieme mesi insoliti e ricchi di stimoli. Fu un periodo così particolare, che la prima volta fu Elena a chiedergli di fare l’amore. Lui acconsentì e si stupì di provare interesse nel rivederla. Appena conclusero gli studi, a 25 anni, Elena lo informò d’essere incinta. Davide la sposò di conseguenza e trovò lavoro come impiegato in un’azienda metalmeccanica senza problemi, gli anni della crisi erano ancora lontani. Le stette vicino durante la gravidanza e affermò d’esserne felice, ma non era vero. Non detestò l’idea di diventare padre, ma non ne fu nemmeno spaventato. E quello fu l’inizio della fine. Mentre la gravidanza proseguiva, Davide si chiese perché non provasse anche solo della paura all’idea di divenire responsabile di un’altra vita. La risposta che si diede fu lapidaria: non gliene importava. Gli anni passati con Elena erano stati una riproposizione su una scala temporale allungata di quello che aveva fatto con una qualsiasi altra donna. Questa volta, però, c’era stato un intoppo: le parole dette tra un amplesso e l’altro erano state scambiate per quello che non erano: condivisione. Davide non aveva capito che in realtà null’altro erano che chiacchiere di cui in fondo non gliene importava granché. Aveva parlato per tornare a letto con Elena, ma si era convinto del contrario e aveva commesso un errore. Si illuse che la situazione potesse cambiare con l’arrivo di Sara, ma non ci volle molto prima che capisse che non sarebbe variata. Per Sara provò qualcosa di definibile come affetto, ma fu a tratti e non oltre l’infanzia. Se Sara aveva un problema concreto, Davide l’aiutava. Ma appena il bisogno veniva colmato, passava la necessità di starle vicino. Nella quotidianità lui non c’era. Quando Sara gli chiedeva di parlare, Davide rispondeva con frasi di circostanza – se rispondeva. Non lo faceva con cattiveria. Semplicemente, come con le altre donne che aveva incontrato, gli sembrava inutile parlare di cose inevitabili. Con Sara differiva che non desiderava farci del sesso, ma l’approccio di base era identico. Gli amichetti, i bigliettini di qualche compagno innamorato, le lezioni incomprensibili delle maestre, le esclusioni nelle partite di pallavolo, le insufficienze, erano cose che reputava banali. Ogni essere umano c’era passato ed era sopravvissuto. L’universo non si scomponeva per il pianto di una bambina abbandonata dal fidanzatino delle elementari. Nemmeno se era tua figlia. Capitava e sarebbe capitato. Era uno spreco di tempo ed energie curarsene. Quando Sara entrò nella pubertà, Davide capì che quelle che reputava inutilità non lo erano per la figlia. Lo capì in quanto la figlia smise di chiedergli aiuto e si appoggiò alla madre. Tuttavia, non ne fece un problema. Davide lo visse come qualcosa di inevitabile. Non conosceva sua figlia né l’avrebbe conosciuta. Capitava. Così si diede all’alcol. Doveva pur trovare un metodo per scappare. Quando finalmente venne buttato fuori di casa ed ottenne la libertà di vivere in relazione con le chat, gli fu chiaro che non poteva continuare a bere. Non tanto per la salute, quanto per l’economia domestica. Il divorzio lo aveva lasciato in uno stato di semi-indigenza e gli assegni che passava a Elena e Sara svuotavano le già precarie riserve di denaro. Non si era rifiutato di passare gli assegni – gli parve giusto, sebbene più per Elena e Sara che per sé – ma questo creava dei problemi. Non riusciva a mantenere sia le chat sia le bevute. Smise di bere di conseguenza. Era consapevole di essere un alcolizzato e che da solo non ce l’avrebbe fatta, ma non visse una sola volta il gruppo degli alcolisti come un’onta. Smettere di bere era solo l’altra faccia dell’aver cominciato: poter tornare solo e vivere di chat. E così fu.
Fino a quando incontrò Jenny.

Davide comprese presto che non andava.
Silvia88 si muoveva sinuosamente, con un’autorevolezza che aveva acquisito anche grazie alle continue richieste del cliente che la stava guardando. Alzava le gambe, si girava per una ventina di secondi tornando poi nella posizione iniziale, inseriva e toglieva le dita senza accelerare il movimento. Era regolare. Eppure, sebbene fosse connesso da un’ora, non andava. Negli ultimi quattro incontri, Siliva88 non si era inserita l’intera mano. Davide aveva chiesto più volte che venisse soddisfatta la richiesta, ma non avvenne. Ebbe solo delle scuse e delle promesse su un’ipotetica “prossima volta”. Aveva pensato di chiederle il perché del rifiuto, ma non lo fece. Non era quello lo scopo. Rimaneva che i crediti scemavano e, anche in quell’occasione, Silvia88 si era rifiutata di assecondare la richiesta. Davide non era eccitato o coinvolto. Si sentiva solo annoiato.
Brava, continua così… continua…, mentì.
Silvia88 si mosse facendo intuire la propria approvazione, ma lui si riabbottonò i pantaloni senza farsi scorgere. Avrebbe potuto scriverle che non era giusto come si stava comportando, ma scartò l’opzione e spense il collegamento senza preavviso. Si sentì stupido a spegnere in quel modo, ma non aveva avuto scelta. Dopo un minuto tornò sulla chat, senza far comparire la propria presenza. Vide che la ragazza era collegata con un altro cliente. La cosa non lo turbò. Se anche l’avesse trovata libera, non avrebbe avuto il coraggio di farsi risentire.
Navigò nella chat per cercare qualcosa che nemmeno lui sapeva cosa fosse. Passarono cinque minuti, dieci, venti. Non approdò a nulla. Poi accadde in un momento: mentre avanzava col cursore, ebbe un moto di rinnovato vigore e capì cosa doveva fare. Andò nella sezione abbonamenti della chat, chiuse il proprio account pagando la penale d’azzeramento crediti non usufruiti, ed iniziò a cercare altre chat. La ricerca fu lenta, ma precisa. Scrutò a fondo i contratti d’abbonamento per capire quale sito gli avrebbe offerto l’opzione migliore, benché sapesse non sarebbe servito a molto. Quand’anche un sito gli avesse proposto una gamma di ragazze a prezzi modici, erano pur sempre le prescelte a stabilire il tariffario, quindi non avrebbe avuto la certezza di fare economia, così come non avrebbe avuto certezze che un minor costo equivalesse ad una maggiore soddisfazione delle richieste. Anzi, l’esperienza gli aveva insegnato che spesso era esattamente il contrario: da quando aveva cominciato a cercare quel tipo di contatto, aveva imparato che avere richieste particolari esigeva spendere somme particolari. Silvia88 non aveva fatto eccezione: all’interno delle possibilità che gli si erano profilate, era stata quella che non aveva chiuso lo schermo appena Davide aveva posto la sua richiesta. Però, dopo aver soddisfatto quanto le era stato domandato, aveva duplicato la tariffa. Davide comprese che l’azione della ragazza era legittimata dal fatto che sarebbe tornato, per lo meno fino a quella settimana. Non se n’era fatto un problema. Ma in egual misura, durante la nuova ricerca, un poco sperò di riuscire a cavarsela con spese minori.
Continuò per alcune ore e finalmente trovò quello che cercava: camingonbitches.com. Sorrise al gioco di parole e pensò che se il nome era sincero solo metà rispetto a quanto preannunciava, gli sarebbe andata bene. Il sito aveva una grafica rozza e lontana dagli standard cui era abituato, ma a differenza degli altri specificava chiaramente che le ragazze non avrebbero mostrato il loro volto. L’avviso, lampeggiante e sottolineato, recitava che la scelta era volta a garantire la maggiore libertà d’azione alle iscritte, soddisfacendo così qualsiasi richiesta dei clienti. Fin dalla prima volta in cui si era collegato ad una chat, Davide aveva dovuto cercare da sé ragazze che accettassero il reciproco anonimato. Erano poche quelle che si mettevano una maschera. Lui non voleva dei visi, non gli importavano. Aver trovato un sito dove era obbligatorio non mostrarsi gli parve un segno. Si iscrisse e lesse le modalità di ricarica dei crediti. Guardò l’ora. Era l’una passata. Poteva resistere ancora tre ore, ma il lavoro lo aspettava e se non avesse riposato avrebbe corso dei rischi che avrebbero messo in pericolo il suo stipendio e, quindi, il collegamento alla chat. Non ne valeva la pena. Non in quel momento e non a quelle condizioni. Gli arrivò una mail che confermava l’iscrizione. Leggendola, si concesse una rapida analisi del listino prezzi e notò con piacere che non erano elevati. Potevano considerarsi prezzi standard, a volte addirittura al ribasso. Spense il computer poco dopo e si coricò quasi avesse vinto un premio che gli era stato negato da anni. Non era semplice trovare in una volta quel tipo di sito e quel tariffario. Era soddisfatto. Pensò che Elena non avrebbe mai compreso le sensazioni che provava in quel momento. Davide ci ripensò con rammarico, ma poi scoppiò a ridere. Rise così forte che temette qualche condomino potesse suonare alla sua porta per dirgli di smetterla. Per poco non si orinò nel pigiama e per smettere dovette mordere il lenzuolo. Quando si calmò, delle lacrime gli avevano bagnato le guance e la stanchezza si fece avanti accompagnata dal sonno. Non l’avrebbe mai fatto, ma gli sarebbe piaciuto chiamare la moglie per urlarle che i soldi che tanto agognava li avrebbe spesi per delle ragazze disposte a fargli raggiungere una felicità che lei non avrebbe nemmeno immaginato. E gli sarebbe piaciuto dirglielo per osservarne la reazione mentre le scoppiava a ridere in faccia. Come aveva fatto ora, nel suo appartamento, da solo.

Ci vollero tre giorni prima che la trovasse.
Le ragazze del nuovo sito erano scadenti e scoprì dopo pochi contatti che la maggior parte di loro non avrebbe soddisfatto quello che voleva. Per un momento fu preso dallo sconforto, all’incirca al sesto tentativo, ma poi arrivò Jenny.
Stava per spegnere e rescindere il contratto d’abbonamento, quando vide che il contatto era disponibile. Gli accrediti di Jenny erano incredibilmente bassi. Fu più per curiosità che per reale volontà che si collegò. Quando la chiamò, fu subito conquistato dalla sua immediatezza. La ragazza gli aveva risposto con addosso una parrucca azzurra e una maschera bianca tipo Larva, di quelle utilizzate nei travestimenti carnevaleschi da Bauta. Non si perse in convenevoli e gli chiese cosa potesse fare per lui. La cosa che lo stupì fu che era nuda. Pensò fosse una dichiarazione d’intenti. Nessuna perdita di tempo. Gli piacque. Nel primo incontro, testò l’interlocutrice richiedendo il campionario già collaudato. Il suo corpo era ben fatto, seppur anonimo. La ragazza soddisfece le richieste che le vennero poste senza perdersi divagazioni. Al secondo appuntamento, Davide cercò conferma del successo ottenuto il giorno precedente e l’ottenne. Anche questa volta con immediatezza. Assaporata quest’insperata ed economica vittoria, decise che era giunta l’ora di rischiare. Si collegò una terza volta, tenendo lo schermo basso, come d’abitudine, e decise di non toccarsi prima d’avere avuto qualche segnale chiarificatore. Nei primi due incontri aveva aspettato la chiusura del collegamento per masturbarsi. La ragazza era nuda, con una parrucca verde e stessa maschera stile Larva. Iniziarono a scriversi e le cose si presentarono bene. La ragazza iniziò a toccarsi con una certa dimestichezza. Dopo una decina di crediti, Davide si convinse fosse giunto il momento di rischiare.
Fai una cosa per me…
Dimmi tesoro…
Mettiti la mano… dentro…
La mano?
Sì… Piano… Inseriscila tutta… Lentamente…

Jenny si alzò, uscì dallo schermo e tornò con un tubetto tra le mani. Si spruzzò del liquido vischioso sul palmo, cosparse le dita e si inserì la mano. Davide fu attraversato da un senso di completezza e stupore che non provava da settimane. Si slacciò i pantaloni ed iniziò a masturbarsi furiosamente. La ragazza accelerò i movimenti e lui si adeguò. Davide volle raggiungere l’orgasmo nel minor tempo possibile, senza ulteriori preamboli. Continuò per un minuto, finché non sentì il piacere fargli fremere le gambe. Si alzò di scatto, scostò il computer ed eiaculò per terra. Si piegò su se stesso, assecondando gli spasmi. Fu un orgasmo intenso e duraturo. Nemmeno una volta aveva provato una cosa simile con le altre ragazze della chat. E men che meno con Elena. Respirò lentamente, deciso a riassestarsi ed a ringraziare Jenny. Tenne lo schermo per evitare d’essere intravisto come gli era capitato con Silvia88, si sedette e vide che la ragazza non c’era.
Dove sei?
Jenny ricomparve un istante dopo.
Mi sono pulita, amore… Ho goduto moltissimo…
Il superlativo lo fece sentire importante. Davide la ringraziò con tutta la gratitudine e l’educazione che gli rimanevano. Lei rispose che non le era mai successo di godere in quel modo e che sperava potesse accadere di nuovo. A questa precisazione, Davide colse il fine economico che la animava, ma non se ne infastidì. Si salutarono. Si sentì soddisfatto. Non sapeva quando si sarebbe ricollegato, i crediti erano di nuovo scarsi. Ma se Jenny avesse continuato ad ottemperare ai suoi bisogni, quello poteva essere il punto d’inizio per qualcosa di più appagante.

«Non verrò.»
«Invece verrai. Dobbiamo parlare.»
«Non ho niente da dire.»
«Sì che ce l’hai. Non me ne frega un cazzo di quello che pensi a riguardo. È già tanto che ti lasci entrare in casa.»
«Allora non farmi più entrare.»
«Non è così semplice.»
«Invece lo è. Se ti dà fastidio che io continui a presentarmi, non invitarmi più. Perché porsi dei problemi?»
«Perché è giusto.»
Elena sbatté il telefono prima che potesse rispondere. Davide fu tentato di scaraventare l’apparecchio contro il muro. Era le terza volta che lo chiamava nell’arco di due giorni e la cosa iniziava a seccarlo. Stava diventando un’abitudine fastidiosa. Il pensiero di doverla affrontare lo spaventava.
Era il 20 di novembre. Da tre settimane si rifiutava di presentarsi al pranzo domenicale. Non ne sentiva il bisogno. Sara lo aveva cercato due giorni prima, ma quando lui le aveva risposto che stava bene e che se voleva quella domenica potevano trovarsi da lui, la figlia aveva declinato forte dello studio fuori sede e del lavoro. Davide non se l’era presa, era un bene che Sara lavorasse, considerata l’indigenza economica sbandierata da Elena. La donna, invece, non aveva perso occasione per rinfacciargli le assenze. Prima coi messaggi, poi con le chiamate.
Si affacciò alla finestra e tentò di calmarsi. Una nebbia grigia e spessa, tipica della pianura padana in autunno, abbracciava il paesaggio. Davide detestava quella stagione. Dopo pochi minuti provò a riconnettersi, ma Jenny non era presente. La rabbia cominciò a salirgli dallo stomaco. Spense il computer, si vestì e decise di camminare. Forse sarebbe andato al cinema, forse no. Comunque non sarebbe rimasto a casa. Era pur sempre domenica pomeriggio e qualcosa da fare l’avrebbe trovato. Camminò velocemente, sentendo i piedi dolergli a causa delle scarpe basse e del freddo. Passò davanti a numerosi bar, molti dei quali frequentati ai tempi d’oro. Riconobbe qualche compagno di sbronza intento nel quotidiano raggiungimento della soglia minima di alcol atta a garantire la fermezza delle mani, e fu tentato d’unirsi. Ma se ne andò senza voltarsi. In quel momento l’unica cosa che avrebbe potuto dargli qualche sollievo era Jenny. Tornò a casa, speranzoso che qualcosa fosse cambiato. Si spogliò, si collegò, ma tutto era uguale. Dopo una decina di minuti, si stese a letto comprendendo che non c’era altro da fare se non aspettare. Ma la notte fu disastrosa. Per alleviare il peso delle ore tentò tre volte di masturbarsi, senza concludere nulla. L’indomani chiamò l’ufficio e decise di non andare al lavoro. Sarebbe rimasto al computer tutto il giorno pur di trovare Jenny. Si alzò, fece una veloce colazione e si mise davanti allo schermo. La ragazza non era connessa, ma era ancora presto. Con fatica la mattina passò. Dopo pranzo la trovò collegata. La chiamò, provando l’acuta sensazione di possesso che lo animava in quegli scampoli di realtà. La ragazza lo salutò con un gesto della mano e quel semplice movimento lo animò di un’eccitazione forte e decisa. Si sbottonò i pantaloni e prese a toccarsi lentamente, in preparazione di quanto sarebbe arrivato di lì a qualche istante.
Oggi sei bellissima… Voglio vederti meglio…
Vuoi vedermi meglio?
Sì… Avvicinati…

La ragazza si avvicinò, allargò le gambe e mostrò nei minimi dettagli l’anatomia della propria femminilità. Lui se ne compiacque e gustò la fisionomia della giovane fino ad inumidirsi le dita.
Sei bellissima… Fammi eccitare come mi piace…
L’interlocutrice non rispose, si girò di spalle ed iniziò a toccarsi. Finalmente si sentì compreso e la guardò come si guarda qualcosa di agognato e raggiunto. La ragazza prese un tubetto giallognolo da un contenitore di latta color oro a strisce blu posto alla sua destra, si lubrificò la mano e senza aspettare che le venisse detto, iniziò la penetrazione. Davide rimase stupito dall’intraprendenza.
Jenny… Faresti una cosa per me?
La ragazza smise con la mano e si avvicinò allo schermo.
Certo tesoro… Tutto quello che vuoi…
Voglio che ti tocchi dietro…
Ma tesoro… lo faccio già…
Non da dietro… Voglio che ti penetri dietro…

Ci fu un momento d’esitazione.
Non ti basta davanti, tesoro?…
Dai piccola… fallo per me… solo per me…
Ok… Però devo chiederti un po’ di più per questo…
Nessun problema…

Lei non rispose, scalò un quantitativo superiore di crediti e tornò nella sua consueta postazione. Cominciò ad accarezzarsi da dietro, prese il tubetto, si cosparse in mezzo alle natiche e inserì un dito, muovendolo lentamente. Ne inserì un secondo, poi un terzo e lo fece con movimenti reiterati e decisi. Se avesse potuto sentirne la voce, era certo che avrebbe colto dei sussulti profondi e dolorosi, dei sussulti che davano ragione di un piacere di difficile comprensione per chi fosse estraneo a quel microcosmo, ma che rappresentavano un’indispensabile ricerca d’umiliazione reciproca. Non mancava molto all’eiaculazione. La caparbietà che coglieva nella ragazza lo avrebbe presto condotto dove voleva arrivare.
Improvvisamente Jenny inarcò la schiena, come fosse stata colpita alle reni. Davide smise di toccarsi, temendo le fosse accaduto qualcosa, prese la tastiera e fece per scriverle. Ma si bloccò. Lei afferrò la scatola di latta, se la infilò tra le gambe e liberò un copioso reflusso fecale. Lui la fissò rapito, poi si guardò il pene, tornò allo schermo ed eiaculò. Fu come se fosse stato trafitto da una lama. Ma anziché morire ne era uscito vivo, liberato. Si riassestò sulla sedia, respirando convulsamente. Aveva il petto sporco di sperma. Cercò un fazzoletto per pulirsi. Lo trovò, si pulì ed osservò lo schermo del Pc. Jenny non c’era. Dall’obiettivo della web-cam vide solo la scatola appoggiata sul letto. Le lenzuola sottostanti erano sporche. La giovane riapparve in mezza figura e, prima che lui che potesse scriverle qualcosa, annerì la web-cam e spense il collegamento. Non diede alcuna spiegazione.

Nei giorni successivi Davide la cercò parecchie volte. Si mise in contatto ogni giorno, per due settimane, ma la ragazza non rispose. All’inizio le scrisse dei messaggi nella posta privata per sapere come mai non accettasse il collegamento; poi passò a toni più severi e risoluti sulla chat comune; e per finire si propose di pagare il doppio della già raddoppiata tariffa cui era stato sottoposto, pur di rivederla. Ma Jenny non rispose. Si sentì arrabbiato e deluso, e non riuscì a capire perché tutto si stesse frantumando senza che potesse fare qualcosa per rimediare. Non trovò altra soluzione se non chiamare le altre ragazze del sito per capire cosa fosse accaduto.
Chiamò Lucia, una delle ragazze con le tariffe più vantaggiose, ma appena ebbe posto la domanda il collegamento venne disattivato. Provò di nuovo, con Maria, ma dopo venti minuti capì che il continuo cincischiare della giovane nascondeva l’intento di spillargli crediti senza fornire alcuna informazione. Si buttò allora su Eleonora, Giovanna74, Danielle, Teresa, ma niente. Nessuna seppe dargli qualche dritta. Controbilanciò lo smarrimento con la rabbia e si fece forte delle ultime immagini che aveva di Jenny, immagini tanto umilianti quanto intime. Se non aveva voglia di vederlo non c’era alcun problema, se ne sarebbe fatto una ragione. Tanto l’aveva vista nei recessi più intimi che una donna potesse condividere con un uomo. E a pagamento. La monetizzazione dell’evento gli procurò una fugace sensazione di gioia e per un paio di giorni si soddisfece rabbiosamente, provando un compiacimento misto di appagamento e vendetta. Ma il giovedì della seconda settimana la situazione peggiorò.
Tornò dal lavoro attraversato da una profonda tristezza. La rabbia che lo aveva pervaso in quei giorni si era dissolta di colpo, non appena ebbe il coraggio di riflettere sulla reale consistenza di quella conquista. Si collegò. La ragazza c’era, ma appena vide l’account di Davide si tolse dalla lista. Lui tentò comunque di contattarla. Non voleva vederla nuda, non subito. In quel momento voleva capire: capire cosa fosse successo, o cosa non fosse successo. Dovendo superare l’ostacolo dell’essere visto on line, pensò di mettere l’account in modalità “invisibile”. Appena la ragazza si fosse fatta viva, si sarebbe riconnesso e le avrebbe scritto all’istante, non lasciandole il tempo d’andarsene. Si preparò il messaggio e tentò di compilarlo alternando fermezza ad apertura verso un nuovo e fruttuoso futuro. Ma non accadde. Aspettò due ore prima di mollare, sperando che le probabilità fossero dalla sua. Se ne convinse quel tanto per lenire il senso d’inutilità che non si decideva a lasciarlo da ore.
Non sapendo che Jenny non avrebbe risposto.

Dicembre stava per consumare la prima metà ed il freddo era divenuto più pressante. Davide guardava spesso il panorama che lo attendeva fuori dalla finestra, ma più le settimane passavano, più il grigio prendeva il sopravvento ed il già precario stato d’animo cui versava peggiorava. Per un momento pensò che se si fosse buttato dalla finestra, avrebbe risolto molti dei suoi problemi. Ma questo presupponeva un coraggio che non gli era dato avere. Si rifugiò nel lavoro, ma essendo impiegato in un’azienda internazionale aveva il collegamento ad internet senza limitazioni. Trascorreva gran parte delle otto ore a sorvegliare la chat. Non trovò Jenny. Tornato a casa, provava a toccarsi, ma senza esiti. Inoltre Elena non smetteva di tempestarlo di telefonate e questo non aiutava. Non voleva nemmeno lontanamente considerare l’idea di pagarla. Ma non poteva scappare in eterno. Sabato 13 dicembre ricevette una chiamata. Dormiva sul divano, dopo una nottata passata a cercare Jenny senza esito. Il telefono lo destò e si svegliò di soprassalto.
«Si può sapere dove sei finito?! È da più di un mese che non ti fai vedere!»
La voce stridula e acuta gli fece male ai timpani.
«Chi è?»
«Sono io, idiota! Si può sapere dove sei finito? È da ottobre che non ti vedo. Domani non azzardarti a non venire. Non sto scherzando.»
Elena riattaccò senza attendere risposta. Davide impiegò un paio di minuti per comprendere cosa gli era accaduto. Si rimise a dormire, sapendo che non ci sarebbe riuscito. Il pensiero di Jenny tornò. La testa gli doleva. Provò un paio di posizioni per addormentarsi, ma non servirono. Non si alzò per guardare il computer, benché lo desiderasse. Quella battaglia l’avrebbe vinta lui. Così aspettò finché non fu mezzanotte. E finalmente crollò, pensando che forse non gli avrebbe nuociuto il pranzo, l’indomani. Quanto meno non avrebbe pensato a Jenny.

Specchiandosi nel tentativo di darsi una sistemata, comprese quanto il suo aspetto tradisse lo stato d’animo di quelle ore. Temette che Elena gli chiedesse se fosse tornato a bere. Si sistemò la camicia, scese dall’auto e si guardò attorno, cercando qualcosa che alleviasse la realtà di quella situazione. Si incamminò premendosi le tempie e coprendosi il collo. Pioveva. L’emicrania lo perseguitava da ore e l’auto di Elena in bella mostra non lo aiutò a sentirsi meglio. Scorse Sara e si sistemò gli occhiali per nascondere le occhiaie.
«Ciao, dove vai?», chiese mentre la figlia usciva di casa.
«Pranzo da amici. La mamma non te l’ha detto?»
«Sì», mentì. «Me n’ero scordato.»
«Ci vediamo il prossimo week-end?»
«Non lo so.»
«Ok. Buon pranzo.»
«Sara…»
«Sì?»
«C’è solo tua madre in casa o anche…»
Lasciò cadere la frase. Sara sorrise.
«C’è solo la mamma. Ciao.»
Entrò confortato al pensiero d’essere da solo e andò in cucina.
«Ehi, sei tu?»
Davide andò in salone. Elena era affacciata sul bordo della scalinata superiore, vestita con un accappatoio nero. Era splendida.
«Ho appena incrociato Sara. Mi ha detto che oggi è via.»
«Lo sapresti dalla scorsa settimana se fossi venuto. Ho parlato con un avvocato e mi ha detto che potrei chiederti almeno il triplo di quanto mi versi adesso, se regolarizzassimo i pagamenti. Vedi tu. O regolarizziamo gli assegni o mi vieni incontro.»
Davide non rispose.
«Non ti aspettavo adesso», riprese Elena. «Di solito arrivi dopo. Finisco la doccia e parliamo. Non azzardarti ad andartene.»
Elena non aggiunse parola, disinteressandosi dell’aspetto disastrato dell’uomo che era stato suo marito, e se ne andò in bagno. Davide rimase per qualche minuto in salone non sapendo cosa pensare. Volle darsi una risposta, una soluzione, ma non trovò né l’una né l’altra. Il pensiero di Jenny riaffiorò, ma con meno forza. Adesso gli sembrava un tassello di un mosaico che con le ultime parole di Elena aveva definitivamente preso forma e consistenza. Jenny non era più il problema principale: era solo un altro aspetto di qualcosa di più ampio e indefinito, qualcosa che aveva a che fare con la possibilità di garantirsi la libertà decisionale sulla propria vita. Tentò di calmarsi, di non farsi sopraffare da quello che lo circondava, da quello che era. Salì le scale, deciso a vedere Elena. Mentre si dirigeva verso lo scrosciare dell’acqua, passò davanti alla stanza di Sara. Si fermò davanti alla porta, forte del breve incontro di qualche minuto prima. Gli anni che aveva considerato inutili erano racchiusi in quella stanza. Sbirciò dalla fessura che dava sulla camera ed entrò. La camera era spaziosa, come ricordava, ma la disposizione di letto e armadi era diversa dall’ultima volta che vi era andato. Si mosse in punta di piedi, come se non volesse farsi scoprire. Di fianco alla lampada con diffusore verde, Sara aveva sistemato in ordine decrescente libri, quaderni e computer. Le penne erano perfettamente allineate e la sedia era posta a una ventina di centimetri dal tavolo. Fissò gli appunti della figlia, notando che aveva la sua stessa scrittura puntuta e lineare. Si girò e osservò il letto rifatto. C’erano delle magliette sparse ai lati del cuscino. Immaginò la figlia stretta tra le braccia di un fidanzato e si chiese come dovesse sentirsi un padre normale. Lui si sentiva insensato. Prese un po’ di magliette, le piegò meglio che poté e si diresse verso l’armadio. Al suo interno, molti indumenti erano buttati a casaccio. Prese a sistemarli per fare spazio ai capi piegati. Provò una strana curiosità nel rovistare tra le cose della figlia. Quando tolse l’ultimo abito, si bloccò. Un rantolo gli salì lungo la gola, ma gli morì prima che potesse pronunciarlo. Prese a respirare affannosamente, stringendosi al petto una maglietta. Indietreggiò, incespicò e rischiò di cadere. Quando si riassestò, lanciò l’indumento in un angolo della stanza, il più lontano possibile dalle sue mani. Lo scroscio dell’acqua cessò e fu preso dal panico. Corse fuori dalla stanza, sbattendo la porta. Scese le scale a due a due ed uscì senza chiudere. Quando arrivò alla macchina, ebbe un conato e vomitò la magra colazione sul selciato. Salì pulendosi la bocca sulla manica della camicia e mise in moto. Mentre guidava, scoppiò a piangere e si fermò per ricomporsi. Si strinse i capelli, urlò e sbatté la testa sul volante. Desiderò morire in quel preciso istante. Le budella si stavano contorcendo.
La sua vita aveva acquisito una nuova chiave di lettura.
C’era una scatola color oro a strisce blu sul fondo dell’armadio.