di Marco Galeotti

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STRATEGIE

“Ciao Bum. A che ora finisci di lavorare? Senti, un favore… va bene, arriviamo”.

Si mossero verso la spiaggia, sazi di pollo all’ast, patate e vino rosso. C’era poca gente, quel lunedì sera, e Bum non lavorava fino a tardi, per cui decisero di andare a trovarlo e aspettarlo. Per farlo, sfiorarono il Mojito e una strana sensazione di paura e di sbagli gli salì, fredda come l’assenzio e sincera come il vino, su per la schiena. Pensavano di chiedere all’amico di passare da quel locale per vedere se i tipi erano ancora lí e nel frattempo decidere il da farsi, per cui, arrivati nel suo bar, ordinarono tre ron y cola e parlarono della Situazione. Stavano arrivando Nadine e Jaz ed ora sapevano com’erano andate le cose. Ito non nutriva risentimento nei confronti del compagno di Nadine e nemmeno gli altri: erano troppo preoccupati per il presente e per il futuro per avere tempo di pensare al passato. Bum, nel frattempo, serviva da bere ai pochi clienti: leggiadro, col suo passo lento, danzava tra i tavoli.

“Che facciamo? Cioè, li aspettiamo e poi?” – chiese e si chiese l’Altro.

“Esatto… non siamo bravi ad essere violenti, e voi lo siete già stati…” – furono le parole di Hollywood.

“Siamo venuti fin qui per chiudere questa storia per cui qualcosa dobbiamo fare”. Ito.

“Giá, ma cosa? Li picchiamo? Chiamiamo altri perché ci aiutino? Prendiamo la pistola? Cerchiamo il dialogo?”. L’Altro.

“Zero dialogo con quelli”. Ito.

“E se li seguissimo e aspettassimo gli eventi?”. Hollywood.

“Sí, qualcosa succederà. Ma dobbiamo essere pronti. Pronti a tutto”. L’Altro.

“Raga, ho finito”. Bum.

“Senti, quelli dovrebbero essere ancora al Mojito a fare i coglioni, hai voglia di passare di lá, tanto non ti conoscono…”. Ito.

“Mmh…” – sorso di birra,. “Va bene. E dopo?”.

“Sappiamo che dormono in Santa Ana, dopo ci sentiamo e vediamo cosa fare”.

“Ok. Occhio però. Come li riconosco?”.

Gli diedero informazioni a proposito e pensarono in quale posto aspettare l’amico. Dopo una breve consultazione decisero che il Menoige poteva andare: era un bar amico, chiudeva presto ma non prestissimo ed era vicino a Santa Ana. Rimasero quindi d’accordo con Bum che si sarebbero visti lá.

“Quanto ti dobbiamo?”. Hollywood.

“Zero”.

Tornarono su, verso la città, verso il Menoige a Troix. Ripassarono vicino al posto dove forse stavano i loro nemici e li immaginarono sbronzi e cattivi, a rompere i coglioni alle ragazze, a pensare a fare del male al mondo intero, con quello che si doveva sposare… giá, erano cinque, non quattro, con uno peggio di loro che avrebbe fatto chissà che cosa a quella poverina che sarebbe diventata sua moglie. Accompagnati da quei pensieri, arrivarono piano piano al Menoige. Jimmy Holywood, sedutosi al bancone dell’amico Vanni, che si era giá premunito di servirgli da bere, inizió un discorso importante:

“Allora, innanzitutto siamo noi a cercare loro. E ció significa che loro possono e devono in qualche modo avere paura. In secondo luogo, voi qui conoscete tutta la banda mentre, secondo me, quelli no. E’ vero: probabilmente sono pericolosi, anzi, sicuramente. Ma anche noi. Io, a volte, mi sento pericolosissimo”.

Concluse, non privo di ironia.

Ito e l’Altro si guardarono condiscendenti.

“Bene, e quindi?”. Fece l’Altro.

“Facciamogli capire che siamo qui e li stiamo cercando, mettiamogli il pepe al culo intanto!”. Gridó Ito facendo girare un paio di belle ragazze.

“Senti – continuò allora l’Altro – io potrei passare dall’albergo, se non ci sono ancora, e lasciare un messaggino, poi li spiamo e… la pistola?”.

“Vado a prenderla io”. Disse Hollywood.

Arrivó Bum in bicicletta, canticchiando.

“Allora?”

“Mah, c’erano. Erano abbastanza cotti e stavano ballando canzonette. Sono cinque coglioni”.

“Pericolosi”. Aggiunse l’Altro.

pdb2Si organizzarono e si divisero: Hollywood prese le chiavi della Storia Grigia al fine di andare a recuperare il ferro, L’Altro partí in missione verso l’albergo e Ito, nonostante l’invito di Bum che voleva che dormissero da lui, si diresse verso un altro hotel, di fronte a quello dei nemici, per prenotare una camera, anzi due: una per loro e una per Nadine, Jaz e la probabile terza ragazza, che sarebbero arrivate nel giro di qualche ora. Gli amici erano avvisati: ci poteva essere bisogno di loro.

 

LA MISSIONE DI JIMMY HOLLYWOOD

Ore 1.45.

Jimmy prende un taxi che velocemente lo porta verso la Storia Grigia, recupera il ferro, lo mette in cinta e si incammina verso la Diagonal. È notte e non c’é praticamente nessuno in giro. Si accende una marlboro e pensa:

Cazzo, bel viaggetto! E ora? Come finirá? Ho un po’ paura. Ma mi sento anche orgoglioso, da un certo punto di vista. I ragazzi forse hanno fatto una cazzata, ma hanno anche vissuto un’ingiustizia che se non é la loro é di altri e quelli probabilmente sono anni che vanno in giro a fare casini. Oggi no: anch’io voglio crescere, voglio non avere paura, voglio avere pretese. Avanti, allora! Sí, però ho una pistola, Cristo! Una fottuta pistola carica con me! E se mi fermano? Ma no, chi mi potrebbe fermare? E perché dovrebbero, poi? Prendo un taxi, torno in Santa Ana, entro nell’albergo dove dormiamo e poi decidiamo insieme le prossime mosse”.

Passa un taxi, Hollywood smette di pensare e lo ferma con un gesto perentorio:

“Taxi!”.

“A donde vamos, señor?”.

“Calle Santa Ana”. La prima scendendo le ramblas, da plaza Catalunya, sulla sinistra.

Barcellona era strana. Si respirava incertezza e tensione, in quell’aria calda e vogliosa del primo giorno d’estate.

“Estate, calda come baci che ho perduto, piena di un amore che ho passato[1]” – riprese a pensare Holywood, mentendo a se stesso, visto che non aveva perso baci né passato amori, in quel precedente inverno milanese che si era fatto primavera senza nessun cambio nelle vite sue e dei suoi cari. Lui, che era entrato in letargo a fine settembre, sparendo come ogni anno dalla vista del mondo, per dedicarsi alla meditazione ed alla difficile gestione di se stesso. Poi, come da copione, aveva fatto il suo ridebutto in società il primo giorno di primavera al Tipota, il locale del Vecchio. Solo per dire che c’era un’altra volta e che nel giro di tre mesi, con l’arrivo della sua unica stagione sociale, lo avrebbero rivisto.

Ovunque. Sì, perché, per compensare la sua assenza invernale (e di un inverno di nove mesi) durante l’estate Jimmy quasi non dormiva: si dedicava a vivere, vivere, vivere, essendo la vita in quel tempo una festa. E ridere e danzare, anche. Durante il giorno del ridebutto del Tipota, aveva detto “ci sono”. Aprile e maggio gli erano serviti per prepararsi psicologicamente e alle prime avvisaglie d’estate, si era vestito a festa ed era partito per la Riviera. Ma anche rimasto a Milano e andato chissá dove, lui uno e trino da quel momento in avanti.

“Estate, il sole che ogni giorno ci scaldava, che splendidi momenti dipingeva, adesso brucia solo con furor” – continuava a mentirsi.

Ma era vero che bruciava, ora, quella troia estate. Bruciava con furore non per dimenticare amori, anzi, gli amori forse stavano arrivando a cento e chissà quanti chilometri all’ora, su una macchina che procedeva dall’Italia verso la Spagna. No, quella troia dell’estate appena iniziata bruciava di vendetta. La Gran Via, lungo la linea rossa del metro, che da Plaza Espanya lo stava facendo ritornare in centro, superando Rocafort, Urgell e Universitat, era piccola piccola, e supplicava insieme alle sue fasce laterali ridotte a polverosi cantieri un’incredibile voglia di pace.

Jimmy le parlò piano e le disse che per la pace avrebbe dovuto aspettare ancora un po’.

Plaza Catalunya si staglia all’orizzonte e Hollywood si fa lasciare all’angolo dell’Hard Rock. Scende dal taxi, pagando otto euro sudati perché stavano da alcuni minuti nella sua mano destra. Si guarda intorno. Nessuno. Si avvia verso Santa Ana e manda giù un bel po’ di saliva. Arriva al crocicchio Ramblas con Santa Ana e Canuda e vede persone che parlano.

 

LA MISSIONE DI ITO

Ore 1.45.

Ito si dirige verso Santa Ana e pensa forte:

Prenotare due camere d’albergo, non avere paura, pensare che comunque é giusto, non avere paura, prenotare due camere. Gliela facciamo pagare! Li osserviamo, li seguiamo e gliela facciamo pagare, cazzo! Se no ogni volta é la stessa storia, se no va sempre a finire nello stesso modo. Dobbiamo vincere le nostre insicurezze e andare fino in fondo. Siamo forti. Loro? Loro no, loro credono di esserlo ma non lo sono. Saranno pericolosi, ma non sono forti e non sono giusti. Prenotare, zero paura, pensare che é giusto. Ma avranno camere libere? E sarà giusto? Dovrei avere paura?”.

Arriva in Santa Ana. Si guarda intorno per precauzione, ma senza paura, ed entra in un due stelle proprio difronte all’albergo tre stelle dove stavano i nemici. È tardi, ma spunta un signore alla reception.

“Salve. Vorrei due camere, per favore”.

“Quante persone?”.

“Quattro” – mentì.

“E… come sono va bene, due letti, uno matrimoniale, non importa”.

“Un momento”.

Durante quel momento Ito si gira perché sente rumore in strada, ma sono solo dei ragazzi che si divertono.

“Allora?”. Incalza.

“Numeri 232 e 234, ecco a lei le chiavi”.

pdb 3“Grazie”. E ringraziando pensa perché quei cazzo di alberghi con una ventina di camere hanno sempre ‘sti numeri altissimi. Va oltre, prende le chiavi, aspetta l’ascensore e sale al secondo piano. Entra nella 232: normale camera d’albergo. Esce. Entra nella 234. Normale anche questa stanza, se non fosse che dà sulla strada e dall’altra parte, vicinissimo, c’é il secondo piano dell’albergo dei nemici. Decide che quella é la sua stanza e collassa sul letto. Accende la televisione e viaggia su canali che si susseguono in uno zapping esasperato. Deve aspettare gli amici e il tempo sembra non passare mai. Si affaccia alla finestra e vede persone che parlano.

 

LA MISSIONE DELL’ALTRO

L’Altro si ferma ancora una decina di minuti al Menoige con Vanni che gli racconta del Venezuela. Nel frattempo pensa a cosa scrivere ai nemici. Uscendo dal bar, continua a pensare:

Dev’essere un messaggio deciso, niente filosofia. Dritto al punto, tipo state attenti, vi stiamo seguendo o bastardi siamo arrivati o anche più sensazionale … che so … benvenuti all’inferno bastardi… no, questo é troppo da film. Io gli scrivo solamente – eccoci -. Sì, – eccoci – mi sembra che vada: sintetico, ed esauriente. Glelo scrivo e chiedo gentilmente al portiere di lasciare il messaggio nella loro stanza”.

S’incammina così verso Santa Ana e sta per girare a sinistra quando si staglia davanti a lui netta, inequivocabile la sagoma dell’Angelo, che, trascinando l’inseparabile bici ed un pesante zaino, gli chiede una sigaretta. L’Altro gliela porge, e comincia a sentirsi fissato dagli occhi di Angel, quegli occhi verdi veri che non sapevano mentire. Un brivido freddo gli percorre allora la schiena, ancora una volta. Rispetta molto Angel, e conosce la sua storia, così come la conoscono Ito, Hollywood, Bum, Manel, Gianni e tutti quelli che hanno ancora orecchie per ascoltare. La storia dell’Angelo é triste, piena di orfani e orfanotrofi, ma anche allegra, perché parla di fughe e di libertà. È una storia che per qualche strano motivo Barcellona, quella nuova Barcellona fatta di ordine e civismo, non dimentica. Angel vive per strada e con i piedi e il cuore sulla strada saluta l’Altro.

“Ciao”.

L’Altro ha sempre pensato che Angel riconosca tutti quelli che lo riconoscono, ed è ancora una volta felice di poterlo rivedere.

“Ciao Angel, Come va?”.

“Aquí estamos. Pero tu… a ti como te va?”.

“Insomma, sono successe cose… e devo farne altre”.

“Perché?”.

CONCENTRAZIONE

 Jimmy Hollywood si avvicina all’Angelo e lo fa anche Ito, uscito dal portone dell’albergo. Quattro uomini che stanno vicini vicini. Quattro uomini e una pistola. Angel racconta che non sa dove andare a dormire e allora lo invitano in una delle due stanze che hanno appena prenotato. C’è silenzio in giro. Entrano nella stanza e Angel si preoccupa perchè sa che qualcosa non va.

“Chicos, state per fare qualcosa che non volete o non potete fare. Beh, la Situazione é complicata, ma la soluzione è semplice: non fatelo”.

I ragazzi parlano, uno sopra l’altro, e dicono che non è possibile, che sì, ha ragione, la Situazione è complicata, ormai è arrivata ad un punto di non ritorno, loro si sono concentrati e per una volta hanno deciso come comportarsi. L’Angelo, allora, inizia a ridere. Ride forte, fortissimo. Quella risata chiassosa, sguaiata, li fa innervosire. Si guardano, sudano, continuano a parlare e a difendersi. Ma la risata è più forte, più decisa. E continua, fino a quando si trasforma inaspettatamente in uno sguardo verde come gli occhi che lo creano. Uno sguardo serio, fisso, tremendo.

“Non fatelo”.

I tre raccontano allora parti confuse della storia che li ha portati fin lì, convinti che tutto ciò abbia un senso.

 “Non fatelo. La concentrazione gioca brutti scherzi. È quando ti sembra di vincere che perdi. Voi non siete mica gangsters. E neanche criminali. Se vi comportate come loro, è in quel caso che la Situazione diventa insostenibile. Voi dovete capire che questa mano non va giocata perchè la posta in palio è troppo alta e nessuno vince, tranne il banco. Voi dovete capire che avete la possibilità di rinunciare, di mandare tutto a fanculo e continuare a essere voi stessi. Se non lo fate, perdete e diventate perdenti come quelli contro cui pensate di combattere”.

Ito stava pensando alla sua vita. Alle donne, alle cittá, alla politica. Trovava ovunque scampoli di senso, di orgoglio e anche di giustizia. Jimmy pensava invece alle sue estati e non poteva che concordare con l’amico. Anche l’Altro era d’accordo, riflettendo sulla filosofia e sugli esseri umani. Sapevano che si trovavano al bordo di un buco nero, qualcosa che li aveva presi e ora voleva inghiottirli. Che cosa c’era dentro il buco, però, lo ignoravano. Angel, invece, sapeva tutto.

“Dentro questa cosa che state vivendo c’é solo della merda. Tonnellate di merda. Ma voi potete fare la vostra rivoluzione: dire no, non ci sto, non gioco più.

Prendere il pallone e andare a casa. E se qualcuno vi sfotte è un problema suo, non vostro”. Come sempre era accaduto nelle loro vite, ancora una volta le certezze si stavano trasformando in incertezze, il bene diventava male e il male prendeva il suo posto. Come sempre si stavano perdendo per ritrovarsi.

Ancora una volta. Ancora insieme. Ancora.

“Se io fossi in voi chiamerei tre donne e me ne andrei a Cadaqués.

È che io non sono voi e ho cose più importanti a cui pensare. A meno che le donne non siano quattro…”.

Le donne le avevano, stavano arrivando e probabilmente non avevano ancora varcato il confine spagnolo, essendo in viaggio da quattro o cinque ore.

“E poi, domani mattina, mi farei un bel bagno nel mare, che è la cosa piú bella del mondo. Poi andrei a mangiare pesce in un ristorante e mi ubriacherei bevendo vino rosso, perché il bianco fa venire mal di testa. Che anche questa é la cosa più bella del mondo. Ah ah!”.

A Cadaqués c’erano ristoranti importanti, vini buoni e spiagge vicine.

“Butterei la pistola a mare, ma prima ci metterei dentro un fiore. Fanculo, lo so che pensate che sono un coglione. Beh, è proprio questo il punto: è bello essere coglioni, no?”.

A loro erano sempre piaciuti i fiori. Ito andava pazzo per i girasoli, l’Altro adorava le margherite, mentre Jimmy aveva un debole per le rose”.

“Ah, ma prima di tutto scriverei quel biglietto che volete lasciare a ‘sti tipi”.

“E cosa gli scriviamo?”.

“Ragazzi, mi é venuto sonno. Pensateci voi, no? Mi lasciate i soldi per pagare la stanza? L’altra la disdico, non preoccupatevi. Buonanotte”.

Si concentrarono veramente. Si ritrovarono per l’ennesima volta. Scrissero.

Bravi. Avete vinto. Eravamo decisi, convinti a tal punto che vi abbiamo seguito fin qui. Vi abbiamo fatto spiare quando eravate al Mojito. Vi stavamo aspettando difronte all’albergo dove siete ora. E c’era una pistola pronta per voi. Ma abbiamo avuto paura. Non vogliamo, non possiamo e non sappiamo farlo. Così avete vinto, noi siamo i perdenti. Siamo quelli che non vi spareranno mai. Se vorrete vendicarvi di qualcosa, sapete dove cercarci. E ci troverete là, disarmati. Con le palle in acqua. Potrete ucciderci, non faremo resistenza. Questa é la nostra stupida vita. Non siamo gangsters, non siamo criminali. Scusateci per quello che vi abbiamo fatto l’altro giorno e fate gli auguri al vostro amico per il suo matrimonio.

Lasciato il messaggio, salutarono Angel e si incamminarono verso la Storia Grigia. Telefonarono alle loro amiche.

Cadaques li aspettava.

Una festa stava per cominciare.

 


[1] Da “Estate” di Bruno Martino