di Redazione

pecore.jpg[Quella che segue è una collezione di interventi dei redattori di Carmilla sull’opportunità di votare o no, oggi e domani. Il tema non era quindi “chi votare”, ma se sia utile o meno e, in caso affermativo, con quali finalità. Mancano all’appello due redattori, o perché incerti, o perché troppo impegnati in altre cose.]

Mauro Baldrati:

Se è giusto l’enunciato di McLuhan, il messaggio è il medium, lo anche il seguente: la politica è la macchina. Il sistema è una macchina più potente dei messaggi che finge di veicolare. Una macchina malata, produttrice di inutilità, determina una guida screditata che si limita a eseguire ordini. Il Parlamento Nazionale “prende atto”. L’emergenza continua, ipertrofica, ha distrutto il potere di autodeterminazione. La macchina malata, dispensatrice di privilegio, è funzionale, nella sua ignavia, al vero potere. Ricorda l’era dello Scià di Persia, che viveva ricoperto d’oro, si faceva arrivare il pranzo da Parigi con un jet privato, mentre governavano (e torturavano) le Sette Sorelle.
Chiunque entra in questa macchina contrae la malattia, prima o poi.


Solo abbattendo la macchina e sostituendola con una sana ci sarà una speranza, al di là dei proclami elettorali. Per questo ero deciso a non recarmi al seggio elettorale, per la prima volta nella mia vita. Perché non vedevo (e non vedo) alcuna volontà di rifondare la macchina.
Poi ho subito il fascino del Movimento Cinque Stelle. Per primo ha sollevato questo problema, al di là del populismo di stampo elettorale: rifiuto della politica televisiva, del fiume di denaro del finanziamento pubblico, un impegno dei suoi candidati a rinunciare alla scandalosa pensione del (dis)onorevole e autoriduzione dello stipendio di due terzi. Sono scelte pertinenti, più delle promesse di “crescita” che poi nessuno manterrà. Una Guida Etica può rivoluzionare il mondo, perché esclude di per sé i ladri e i sicari. Una Guida Etica può gestire il conflitto sociale, renderlo creativo. Una guida screditata porta solo falsità, opportunismo, fallimento.
Ma il qualunquismo dimostrato da Grillo con le uscite su Casa Pound e sul sindacato mi hanno fatto recedere.
Quindi sono tornato al NO.
Ma so che non riuscirò ad assumermi fino in fondo la responsabilità di chiamarmi fuori.
Per cui andrò a votare per chi, all’interno della macchina malata, richiama, nonostante tutto, echi di socialismo. Per chi non si alleerà mai col capo della banda di razziatori denominata “Spending Review”.
Ma non c’è storia: la Macchina è come il castello del Principe Prospero.
E’ una scelta contro la disperazione.

Alessandra Daniele:

Quando mi hanno proposto di partecipare a questo post collettivo ho accettato subito con piacere. Poi però mi sono messa seduta davanti alla pagina bianca sullo schermo, e ho cominciato a sentirmi come a scuola il giorno del tema. Sceglievo decisa quello ”d’attualità”, seriamente intenzionata a fare un discorso costruttivo. Poi però cominciavo a scarabocchiare sull’angolo del foglio, guardare fuori dalla finestra, e pensare alla mia serie tv preferita, che allora era Star Trek.
In uno dei romanzetti ispirati alla serie classica, Spock Must Die! di James Blish, Spock cita William James: ”A difference which makes no difference is no difference“, una differenza che non fa differenza non è una differenza.
Chi otterrà la maggioranza relativa in queste elezioni per governare dovrà comunque allearsi con Monti.
Un pareggio, o una maggioranza relativa grillesca o astensionista ”spaventerebbero i mercati” abbastanza da provocare un altro governissmo tecnico-emergenziale Monti.
La lista Ingroia non farà il quorum, e se lo farà eleggerà solo Ingroia e Di Pietro, le loro gag da poliziottesco serviranno soltanto come ulteriore scusa al PD per allearsi con Monti.
Tema: voto o non voto, quale voto?
Svolgimento: purtroppo non fa nessuna differenza.
E questo mi fa pensare alla mia attuale serie preferita: The Walking Dead.

Girolamo De Michele:

Non credo nella rappresentanza politica: non credo né giusto (dal punto di vista etico), né possibile (dal punto di vista pratico e dell’esperienza storica) che la viva e contraddittoria realtà degli esseri umani, dei desideri, dei bisogni, della vita (e non solo di quella dei viventi umani) sia sostituibile nei suoi “rappresentanti”. Se si deve scendere a patti col meccanismo della rappresentanza, bisogna farlo solo come eventuale male minore, senza dimenticare mai tutto quello che resta escluso dalla dimensione parlamentare. E soprattutto, senza dimenticare mai che prima ancora che il sistema rappresentativo dimostrasse di essere capace di funzionare, già albergava il sospetto che i rappresentanti si potessero trasformare in una élite chiusa, in una nuova aristocrazia “borghese” in luogo di quella aristocratica scacciata a colpi di rivoluzioni e ghigliottine. È quello che è successo, inutile far finta che non sia così: le vere decisioni vengono prese da istanze sovranazionali di cui spesso conosciamo solo gli acrostici (WTO, BCE, FMI) o i nomi (Goldman Sachs, JP Morgan, Deutsche Bank), partiti e parlamenti sono al più i garanti, i ciambellani, i camerlenghi di questi sovrani senza volto. Per fare questo, usano miti tranquillizzanti, forse droghe pesanti, o mani che chiudono gli occhi, come cantava De Gregori. E hanno un orizzonte che si ferma al riordino delle sdraio sulla tolda del Titanic, come disse il leader nero Jeriko One nel suo ultimo discorso, poche ore prima di essere ammazzato dalla polizia.
Voterei, facendomi forza, un partito o movimento che fosse capace di fare un discorso di verità, senza nulla nascondere, che appoggiasse i movimenti, invece che catturarne la forza propositiva per spegnerne la pericolosità; che fosse capace di guardare non all’uovo oggi e nemmeno alla gallina domani e al pollaio dopodomani, ma alla possibilità di una fattoria tra dieci anni.
Voterei, facendomi forza, se…
Voterei…

Valerio Evangelisti:

Io non ho alcuna fiducia in una trasformazione dell’assetto sociale per via istituzionale. Secondo me il sistema può essere abbattuto solo con le lotte e i movimenti, con l’imposizione dal basso di un’altra cultura, con la creazione di organi assembleari di autogoverno, con la conquista palmo a palmo del territorio e delle coscienze. Sarei dunque, tendenzialmente, astensionista.
Di fatto però non lo sono. I movimenti, per loro natura, conoscono alti e bassi, specie quando le loro richieste sono frustrate. Prendiamo i più forti in Occidente. In Spagna sono scesi in strada milioni di “indignados”, che hanno addirittura assediato il parlamento. Non è cambiato nulla, domina ancora chi ha vinto le elezioni e detiene il potere (cioè il monopolio dell’uso della forza). Idem in Grecia, per ora, sebbene là forse si vada a uno scontro violento. Non parliamo di “Occupy Wall Street”, ridotto a una larva. Rivolte continuano a scoppiare qui e là, eppure l’assetto di chi comanda resta identico.
In Italia abbiamo avuto e abbiamo forti movimenti: studenti, realtà di territorio, resistenze operaie. Eppure il Palazzo d’Inverno resta un miraggio lontano, nemmeno scalfito. Allora io dico che, per i movimenti, una anche fragile sponda istituzionale resta importante, se non altro quale “cassa di risonanza” di leniniana memoria, o quale scheggia capace di inceppare il meccanismo. Andrea Costa disse in pieno parlamento, di fronte alle imprese coloniali, “Né un uomo né un soldo”. Diventò una parola d’ordine a livello di massa.
Vi sono poi temi di cui un movimento non può farsi carico, ma una seppur piccola rappresentanza parlamentare sì. Un esempio: sarebbe urgente una legge che introducesse anche in Italia il reato di tortura. Non aspettiamoci cortei su questo. Un piccolo gruppo di parlamentari, però, potrebbe dare risalto al tema. E gli esempi analoghi sarebbero infiniti. Articolo 41 bis (un orrore), ergastolo ostativo (altro orrore), riforma della scuola (orrore massimo), art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ecc.
Con questo, non sto consigliando per quale partito votare. Personalmente voterò chi possa dare più fastidi, senza farmi troppe illusioni in merito.

Lorenza Ghinelli:

So perfettamente chi non voterò.
Non voterò partiti che millantano moralità cercando di convogliare voti per tutelare i loro privatissimi interessi. Non voterò questi partiti perché offendono le nostre intelligenze e perché l’etica pubblica è ben altra cosa rispetto alle battaglie da macellai che intendono compiere. L’etica, per me, è permettere a ogni cittadino di sentirsi tale, in virtù di diritti e doveri, senza distinzioni. Non è etico e nemmeno morale abbindolare il popolo promettendogli una mano mentre gli verranno strappate le braccia, rendendolo inabile alla lotta. Non abbiamo bisogno di siparietti, né di promesse che non solo rasentano il ridicolo, ma lo superano. Non abbiamo bisogno di carità, di pochi spiccioli rimessi nelle nostre tasche mentre continueranno per anni a toglierci tutto, dignità e futuro inclusi. Abbiamo invece bisogno di risorse per rialzarci, di politici che sappiano rinunciare al fascino perverso di rendersi zecche sulla pelle dei loro votanti. Non abbiamo bisogno di umiliazioni, ma di esempi di concreta eticità. Perché non è etico discriminare i cittadini in base ai loro orientamenti sessuali ma sarebbe eticissimo discriminarli in base alla loro fedina penale, pertanto voterò chi mi lascerà intravedere uno spiraglio in merito. Voglio che i politicanti corrotti e collusi con la malavita vengano messi nella condizione di non dettare legge. Voglio uno stato che non permetta alla chiesa ingerenze nella vita politica del Paese.
Il sistema, il governo, le dinamiche del potere, dopo un’espansione endemica e violenta, apparentemente inarrestabile, ora sono giunti a un punto in cui non possono che implodere. Il risultato è proprio questa crisi. Ed è anche un’occasione. Per questa ragione io eserciterò il mio diritto di voto, consapevole che il mio dovere di cittadina non si compirà solo domenica, ma che la politica è fatta di gesti quotidiani, tutto l’anno.
L’indifferenza, scriveva Gramsci, è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti…
Per concludere, ho detto che so chi non voterò. E su questo non ho dubbi.
Chi votare resta comunque un problema, non c’è partito a cui io riconosca determinazione e onestà intellettuale in grado di giustificare un voto accorato.
Voterò cercando di non cadere nel personalismo. I leader di partiti e movimenti sono affetti da un populismo che puzza di vecchio.
Voterò col desiderio che questa mala Italia venga scalzata via, certa che sarà richiesto a tutti noi un impegno civico, concreto e attivo, da cui non potremo e non dovremo esimerci.

Fabrizio Lorusso:

Voto, non voto, chi e che cosa. L’entusiasmo scende, ma dovrei farcela. Non è ancora calato del tutto, ma sono di indole paziente e qui all’estero le condizioni, cioè le regole del gioco, sono (o sembrano) un po’ diverse o almeno appare diversa la bagarre della penisola mediterranea dalla fredda distanza. Restano i dubbi, sempre e comunque.
Non credo alle chimere e alle promesse (di che cosa poi?). Spero di non credere mai alla propaganda elettorale e postelettorale. Non penso di essere un illuso della cosiddetta “democrazia liberale” classica (come la italiana? Lo è mai stata? Forse solo classica è stata). Ripongo nella versione nostrana del “sistema” (o “regime”?) forse ancora le minime speranze per non caracollare al suolo o emigrare (cosa che però ho fatto in fin dei conti…). Qua c’è il voto all’estero ed era dal lontano 1996, quando ancora ero in Italia e avevo 19 anni, che non me ne curavo. Leggevo e sapevo, ma non votavo. Alcuni referendum, diretti e secchi, hanno aperto buoni spiragli e sono stati utili, anche se poi a volte vengono scippati a porte chiuse. L’Acqua e il futuro del territorio, dell’energia e della giustizia, hanno unito tanta gente, anche fuori, oltreoceano.
Osservo da tempo le pozioni magiche e gli artifizi delle moderne democrazie, soprattutto del Messico e dell’Italia, paesi lontani ma simili in tante, troppe cose. Lo faccio sapendo che sono imperfette e scricchiolanti. Che nemmeno le facciate e le magie della politica, un’ex arte e un’ex parola rispettata, incantano o impressionano più, ma che, se ripartissimo da valori vissuti e lotte concrete, da comunità e vite, forse conterebbero qualcosa le persone, alias i “candidati”, almeno quelli che non sono o non si trasformano in burattini o automi. Credo che i sistemi politici attuali, quelli dei moribondi Stati-nazione, e la relativa gestione del potere conducano quasi inevitabilmente a un pessimismo cosmico da parte dei (mal)governati e a perversioni burocratico-autoritarie nei governanti, soprattutto in questa fase storica e in un’Italia dalla scarsa umiltà, piena di parole, di debiti, di vecchie glorie ed emigranti, di mass media “poco propizi” e infine priva di direzioni chiare. Non tutto puzza (o non troppo) però.
Penso che una costruzione democratica, autonoma e dal basso, almeno a livello comunitario e di piccoli gruppi che “contagiano” il resto con pratiche virtuose, possa nel tempo cambiare lo stato delle cose. Per ora lascio stare l’economia, il capitale e la ricchezza, che pure sarebbero punti importanti e dolenti, e parlo solo di “farsi governo” ed allargarsi, estendersi; parlo di comunità e anche di scappatoie piacevoli e razionali, giuste e non ideologiche rispetto alla dittatura economica e sociale del privatismo e dei mercati (sempre più foranei e globali); parlo di diritti umani, di trasparenza, di conoscenze libere e reti e di democrazia vissuta e partecipata, parlo di un modello che non è solo teorico, ma anche molto pratico in alcuni angoli di mondo.
La politica delle campagne elettorali e delle mille liste in gran parte oggi non offre questo, ma non significa che le persone (politici o no) non possano farlo. Esistono esperienze pratiche (e teoriche) di convivenza e alternative che, in genere, non rinnegano di principio e da subito, ideologicamente e per sempre, tutti i poteri “esterni” e tradizionali, ma devono dialogare con essi in qualche modo ed eventualmente scegliere l’interlocutore che possa avvicinare visioni e costruire ponti. Allora votare, riconoscere una delle possibilità ed anche l’esistenza di persone, seppur poche, al di là della struttura, del sistema e del decadimento, può essere un’opzione. Non è l’ottimo, ma esiste. Il dilemma è identico in Messico: partiti e movimenti, i palazzi e la politica vera, i “prodotti e servizi” che fanno PIL e i beni comuni, il voto e l’autonomia “totale”. Non credo sia un’eterna contraddizione di opposti, spero in una (lenta e pacifica) convergenza e scelgo di partecipare. Le scelte si possono cambiare, ci si può riflettere sopra prima e dopo. E se non è pacifica, la convergenza, il processo, il rispetto reciproco, allora si parteciperà in altri modi al silenzio o al rumore.

Sandro Moiso:

Non vorrei ripetermi, ma ho votato una sola volta alle amministrative nel 1975 (PCI) e una sola alle politiche nel 1976 (Democrazia Proletaria), poi, non essendo astensionista per dogma, ho votato negli anni per i referendum che ho ritenuto più importanti (divorzio, aborto, art.18, etc.).
Potrei anche tornare a votare, ma per un partito che manifestasse, più che la volontà di andare a governare l’esistente, un reale programma di classe (tipo quello che ho esposto presuntuosamente in “Un palinsesto per le lotte che verranno”) perché un partito è determinato dal suo programma e non viceversa ovvero non si fa prima il partito per poi inventarsi un programma che metta d’accordo tutti, ma prima si dichiara il programma al quale militanti ed elettori devono aderire. Paradossalmente è più “partitico” il Movimento NoTav, con la sua capacità di opposizione organizzata programmaticamente ed in grado di riunire sull’obiettivo realtà sociali, politiche ed umane molto diverse tra di loro che qualsiasi altro movimento sedicente di sinistra (Sel, Ingroia e la sua lista di mummie, Rifondazione, Comunisti italiani, etc.). Oggi, lo ripeto ancora una volta, il risultato migliore sarà rappresentato dalla sconfitta del programma “Monti” e questa sarà determinata soprattutto da due cose: il non ingresso in Parlamento della lista del premier e da una significativa riduzione dei consensi nei confronti del PD che dell’operazione Monti è stato il massimo artefice, sostenitore e sponsor. Berlusconi, nonostante il suo attuale “risveglio” è un cane morto. In questo senso l’astensionismo sarà utile per questa tornata elettorale: indebolirà tutti i partiti, tranne Grillo che si troverà a dover gestire una situazione imprevista, e renderà ingovernabile il paese se non tornando ad altre elezioni. Quindi un grande disordine ci attende dopo queste elezioni, ma, forse, anche la riapertura di un dibattito reale e dal basso su ciò che vuol dire “sinistra”.
Hasta la victoria!

Marilù Oliva:

Io non ho mai capito l’Aventino. Non ho capito la secessione al posto della rivoluzione. Non ho mai afferrato — razionalmente — le proteste silenziose, anche se le rispetto e non nego — in alcuni casi — la loro efficacia. (L’Aventino però non ha sortito efficacia alcuna). Voterò per esclusione e voterò — sulla base di un meccanico sistema di eliminazione — il partito di sinistra che, secondo il mio semplice rigore etico — vera democrazia, vera giustizia, uguaglianza, pluralismo e servizi pubblici non deteriorati — si è comportato meno peggio. Ma non sarò ugualmente soddisfatta, perché agirò per negazione e non per affermazione.
Dal momento che votare in questo modo non è piacevole né giusto, ho riflettuto a lungo sull’unica alternativa possibile: astenermi. Il pensiero del diritto di voto mi ha fatta desistere. Il ricordo delle fatiche per ottenerlo, di chi è caduto perché lo reclamava intatto. Matteotti e le sue denunce alle irregolarità delle elezioni del ’24, ma non solo.
Se voto alimento un sistema corrotto e marcio e comunque non mi sento rappresentata.
Se non voto posso contribuire a non permettere che questo sistema prenda una svolta peggiore. O almeno mi sento meno in colpa perché ci ho provato.

Franco Pezzini:

Col gastroprotettore, ma anch’io andrò a votare.
Lo farò pur comprendendo perfettamente le ragioni di chi sceglie di non farlo.
Sia perché nutro seri dubbi sul fatto che un voto espresso sotto il regime dell’attuale legge elettorale possa considerarsi davvero significativo.
Sia perché non vedo sulla piazza, nonostante consacrazioni dalle più varie agenzie, partiti o uomini che esprimano i miei sogni — considerando il penoso teatrino di ambiguità e opportunismi, voltafaccia e interessi particulari mostrati su fronti caldi come il caso Ilva e la TAV.
Sia ancora perché sappiamo benissimo come, in barba alla carta costituzionale, la sovranità non appartenga affatto al popolo ma a un mondo di lobby economiche che coltivano le proprie crisi, i propri fallimenti, i propri (presunti) salvataggi — a spese ovviamente delle classi subordinate — cantandosele e suonandosele da sole, dietro le quinte della rappresentanza politica. Salvo sbocciare saltuariamente a diretta visibilità di governo con finti “uomini nuovi”.
Considerando tutto questo, sarei seriamente tentato di dire basta, non col mio voto. Eppure, dopo un lungo torcibudella, altre considerazioni mi spingono ad andare al seggio.
Certo, il rispetto che provo per chi in passato è morto per permetterci questa scelta (ho il sospetto che quegli uomini resterebbero non poco turbati di fronte allo stravolgimento di senso imposto alle libertà conquistate). Ma si tratta forse di un motivo troppo romantico a fronte della prosaicità del voto oggi.
In termini pragmatici e un po’ brutali, la riflessione che un voto al male minore (chiamo così per semplicità una scelta non convinta e molto critica) non peggiorerà il quadro rispetto a un voto mancato. Mentre lascio aperta (hai visto mai) la possibilità che qualcuno degli eletti riesca a non essere cannibalizzato dal sistema, e a mantenere quel minimo di autonomia per alzare il ditino e obiettare al momento giusto. Ma forse sono illusioni.
Il fatto che stiano per contro riemergendo dai tombini tutti i fautori del male maggiore, che andranno compatti al voto: e una nuova, anche breve stagione di Repubblica delle ban(d)ane produrrebbe danni enormi. In particolare, richiamando alla discussione parlamentare tutti gli scellerati disegni di legge ancora bloccati: e chi si trovi, come il sottoscritto, a dover monitorare ogni giorno la situazione normativa non può che esserne preoccupato.
Quanto al momento in cui crocetterò il nome del partito che con tutti i limiti mi trovo a scegliere, e a cui non sconterò nulla, allora il gastroprotettore forse servirà.

Alberto Prunetti:

La società che sogno non prevede mandati di rappresentanza né decisioni imposte gerarchicamente dall’alto verso il basso. Già questa sarebbe una buona ragione per non partecipare alle elezioni. Tuttavia voglio ragionare per assurdo… come si faceva un tempo per provare certi teoremi di geometria… potrei votare un partito che fosse assieme antifascista, anticapitalista e antiautoritario… un partito che una volta al governo eliminerà il precariato e istituirà il salario minimo di cittadinanza, che imporrà la patrimoniale e taglierà le spese militari per favorire scuola, università e ricerca, che fermerà gli interventi militari all’estero, aprirà i cancelli dei centri di identificazione per migranti e abolirà il divieto di circolazione alle frontiere per i lavoratori in cerca di un lavoro in arrivo dal sud del mondo… che eliminerà la tav e il lavoro nero e precario e bonificherà con i soldi tolti ai padroni i siti industriali inquinati, che aprirà a politiche antiproibizionistiche, consentirà l’eutanasia e annullerà l’ora di religione e l’otto per mille e considererà la religione cattolica una tra le tante, senza alcun concordato esclusivo… un partito del genere, potrei votarlo come male minore, rispetto all’ideale di una società antiautoritaria che si regge nella federazione di piccole comunità di quartiere o di campagna, federate e senza mandati di rappresentanza… lo voterei e ancora non sarei contento, perché sempre saremmo in un sistema capitalista…ma in ogni caso, a oggi, un partito del genere non sembra esistere… e votare per partiti che sostituiranno una casta per un’altra, un comico miliardario per un altro, un sistema rappresentativo per un altro, davvero non ha senso. Se con il voto di protesta o con il voto del male minore si devono finanziare altri caccia bombardieri che uccidono i popoli che a migliaia di chilometri da noi ricevono i nostri “aiuti umanitari”… se votare serve a ridare il semaforo verde a fabbriche inquinanti che uccidono gli abitanti che vivono nei quartieri vicini… meglio non votare. E continuare la lotta ogni giorno, perché anche l’astensionismo di per sé non serve a nulla, se non a mettersi in pace con la propria coscienza (come anche il voto: ho votato, se poi non fanno nulla, colpa loro, la mia scelta sembrava buona…). Voto o non voto, è l’impegno quotidiano quello che sposta la tensione sociale e abroga il vecchio sistema o ne istituisce uno nuovo.