di Marilù Oliva

Loriano2.jpgLei ha collocato la nascita del Nuovo Giallo Italiano nei primi anni ’70, nel “Gran Giallo Città di Cattolica”, poi diventato “Mystfest”. Ce lo contestualizza, il Gran Giallo? Di cosa si trattò esattamente?

Comincio subito col contraddire alcuni studiosi e critici della letteratura di genere i quali affermano che il Nuovo Giallo Italiano sarebbe nato con la comparsa in libreria del romanzo di Eco, Il nome della rosa e quindi nel 1980. Io sostengo, e gli indizi lo dimostreranno, che le sue radici hanno cominciato a svilupparsi nei primi anni ’70, in una terra fertile come fu quella del “Gran Giallo Città di Cattolica”, poi diventato “Mystfest”.
Il Gran Giallo Città di Cattolica nasce nel 1973. Il padre è Enzo Tortora, che nessuno sa più chi sia e come abbia finito la sua tragica vita. Che nel 1973 il Gran Giallo metta, fra le sue finalità, il premio a un romanzo inedito di autore italiano, è un gesto coraggioso. Che il premio consista nella pubblicazione del romanzo vincente, è ancor più coraggioso e, infine, che a pubblicarlo (a turno) sia una delle quattro grandi case editrici che hanno una collana gialla, è fantascienza. Come abbiano fatto quelli del Gran Giallo a convincere Mondadori, Rizzoli, Longanesi e Garzanti a pubblicare un romanzo giallo di autore italiano, resterà un mistero.
Come si evolva e diventi in seguito Festival del Giallo e del Mistero e poi Mystfet; come cambi la sua formula e com’erano composte le varie giurie, chiunque, interessato, può trovarlo nel sito www.mystfest.com.

Voglio ricordare che dal premio per un romanzo giallo inedito di autore italiano sono usciti, negli anni, gli scrittori che costituiscono l’ossatura iniziale di quello che oggi si chiama Nuovo Giallo Italiano.
Ricordo, infine, che a Cattolica sono nati i primi sintomi di associazione italiana fra scrittori. E mi pare una cosa importante.

Perché alcuni lo posticipano al 1980, anno d’uscita de “Il nome della rosa” di Umberto Eco?

Be’, questo bisognerebbe chiederlo a loro. Io posso azzardare un’ipotesi: non sanno cos’è successo prima e non hanno nessuna voglia e nessun interesse a indagare.

Se lo facessero, dove porterebbe l’indagine?

Dal loro orizzonte culturale sembra siano sparite le lotte cruente sostenute dagli autori degli anni ’70 e ’80 con editori e critici; non hanno notizia, o sanno poco, del Sigma (1980), del Gruppo 8 (1984), degli Autori Associati (1985) e del suo Manifesto e, infine del Gruppo 13 (1990). E allora sarà bene chiarir loro come sono andate le cose.
La prima idea di associazione fra scrittori italiani di giallo, nasce da un gruppo di cospiratori, fra i quali il sottoscritto, presenti nel 1975 a Cattolica, sede dell’allora neonato Festival del Giallo e del Mistero, che nel 1980 diventerà il più noto Mystfest.
L’idea, per il poco peso che avevano in quei giorni gli scrittori di giallo nei confronti della critica e dell’editoria, non approda a risultati concreti e cova fino al 12 settembre del 1980, sempre a Cattolica, diventata ormai la capitale del giallo italiano. È in quella sede e nell’ambito del Mystfest, che un gruppo di scrittori riprende l’idea e, su un documento del sottoscritto, ravvisa la necessità di far nascere un’associazione di scrittori italiani di poliziesco nella convinzione che offrendo agli editori un pacchetto di autori professionalmente preparati, si potessero muovere le stagnati acque del giallo italiano.
Nasce così il SIGMA, Scrittori del Giallo e del Mistero Associati, con un progetto editoriale credibile e con un gruppo di scrittori sufficientemente noti e che offrono all’editore e al lettore affidamento di continuità e professionalità. All’associazione aderiscono scrittori provenienti da ogni parte d’Italia, Roma, Milano, Bologna, Firenze, Sardegna, Sicilia. Presidente è Biagio Proietti, tesorieri Casacci e Ciambricco, quelli del televisivo tenente Sheridan (Ubaldo Lay) che ha imperversato sulle tv italiane dell’epoca.

Il progetto funzionò?

Così com’era strutturata, l’associazione non poteva funzionare. Il SIGMA visse appena un anno e le cause del fallimento furono l’impossibilità di frequenti incontri fra gli iscritti, essendo questi sparsi su tutto il territorio nazionale, ma soprattutto l’impossibilità di mettere a punto un progetto editoriale serio a causa di incomprensioni, incompatibilità e invidie professionali. Prevaleva, negli aderenti, l’antiquata idea dello scrittore come artista solo, geloso custode delle proprie idee e le difficoltà di comprendersi nascevano dal lungo e volontario isolamento cui gli scrittori stessi si erano condannati.

Ma non viene abbandonata l’idea dell’associazione artistica tra scrittori…

Nel 1984, nell’intento di superare almeno i confini di spazio, compio un altro tentativo di associazione fra scrittori italiani di giallo, tentativo che ha sempre gli stessi motivi ispiratori: presentare a un editore intelligente il progetto di una collana esclusivamente riservata agli autori italiani e progettare una rivista dedicata al giallo italiano.
Nasce il Gruppo 8 e ne fanno parte scrittori almeno territorialmente vicini: oltre al sottoscritto, Perria, Olivieri, Veraldi, Anselmi, Enna, Russo, Signoroni. Pare che l’idea funzioni e un editore, Sperling & Kupfer, accetta la sfida e l’idea di una collana interamente riservata agli autori italiani.
Ricordo con terrore, e anche imbarazzo, l’ultima riunione alla Sperling & Kupfer, presenti Donatella Barbieri e il dottor Barbieri. Quest’ultimo, dopo aver a lungo disquisito sull’importanza della collaborazione fra editore e scrittori, con un colpo di teatro fa entrare nella sala dove eravamo riuniti, un carrello pieno di libri e sbatte sul tavolo i romanzi di Le Carré, Forsythe, Fleming. King, Ambler… Insomma i best sellers mondiali. Ci guarda in faccia uno per uno e dice, con tono profondamente convinto:
“Ecco qua, voglio romanzi come questi! Fatemeli avere e domani si stampa.”
Evidentemente qualcuno non aveva capito bene: noi o l’editore. Non ci siamo più rivisti: misera fine di un progetto editoriale e di una associazione a delinquere.
Agosto 1985: un altro tentativo con gli scrittori per convincere un editore a pubblicare una collana tutta italiana. Lo faccio, assieme a Felisatti, e prende il nome di Autori Associati. Ne fanno parte Luciano Anselmi, Franco Enna, Alberto Eva, Paolo Levi, Loriano Macchiavelli, Ugo Moretti, Domenico Paolella, Antonio Perria, Fabio Pittorru, Enzo Russo, Secondo Signoroni, Attilio Veraldi, Diego Zandel. Il meglio, per quei tempi, nel campo degli autori di poliziesco.

Di questo tentativo avevate redatto anche un Manifesto?

Sì, la data è luglio 1985, il luogo Cattolica e mi pare che i punti fondamentali di quel manifesto siano validi ancora oggi. Ne riporto un brano:
Noi crediamo che esista un gruppo numeroso, qualificato di autori italiani di poliziesco che hanno, nella diversità delle caratteristiche individuali, elementi in comune: le loro opere si ispirano alla realtà in cui viviamo… sono ambientate nelle nostre città, dichiarate, riconoscibili, delle quali riflettono gli umori e le patologie; contengono, insomma, una testimonianza del nostro mondo come la cosiddetta letteratura seria non fa più da tempo. Ci sentiamo perciò di affermare che esiste una vera e propria scuola del giallo italiano.
Quello che è mancato finora è una politica editoriale; ogni autore è rimasto isolato, ogni libro un fatto a sé. In un mercato dove le spinte promozionali, la pubblicità hanno una importanza fondamentale per imporsi e richiamare l’attenzione del consumatore, la dispersione degli autori e dei titoli non ha consentito che si formasse un’immagine, quella della scuola italiana del giallo, come abbiamo detto, capace di creare nel lettore un interesse permanente e di imporsi anche all’estero. Ma si può fare
…”
E qui ci sta un poco di polemica. Nel 2007, durante un convegno (Perugia in giallo) la professoressa Elisabetta Mondello ci racconta che “è stato Il nome della rosa di Umberto Eco che ha terremotato il quadro esistente” ecc. ecc. e che “dalla reinvenzione tutta italiana della narrativa di genere, cioè da un processo interno alla narrativa, iniziato negli anni novanta, che ha incontrato in tempi molto rapidi il favore del pubblico… ”
Iniziato negli anni novanta? Scritto così, sembra avvenire tutto per un miracolo. La reinvenzione della narrativa di genere è iniziata nel 1980 culminando nel Manifesto degli Autori Associati del 1985, accidenti! E il favore del pubblico non si è incontrato in tempi rapidi, ma con un lavoro lungo, difficile e preciso, accidenti! E in quel Manifesto del 1985 c’era già la reinvenzione tutta italiana della narrativa di genere!

Cos’è cambiato rispetto al passato? Quale apporto innovatore è contenuto nell’aggettivo “nuovo” del Nuovo Giallo Italiano?

Intanto nessuna si vergogna più di leggere romanzi gialli. Né di scriverli. E mi pare un cambiamento importante. L’innovazione consiste nel lasciare i paesaggi esotici (e spesso sconosciuti anche agli autori) per entrare di prepotenza nella società e nel mondo di casa nostra. Alcuni lo avevano già tentato, ma con scarsi risultati. Nel senso che si trattava di tentativi che non avevano avuto emuli e se non c’è continuità, il genere non prospera.
Insomma, gli autori italiani non imitano i più qualificati e noti autori stranieri (firmano con il proprio nome e cognome) e raccontano un mondo che vivono e quindi conoscono, pieno, nonostante il parere di Savinio, di misteri, di sangue e di tragedie. E la reinvenzione (io la chiamo la nuova strada del giallo italiano), e la reinvenzione del genere, badate bene e tenetelo presente, è cominciata negli anni ’70 con i romanzi di Luciano Anselmi, Alberto Eva, Felisatti e Pittorru, Paolo Levi, Loriano Macchiavelli, Antonio Perria, Enzo Russo, Secondo Signoroni, Attilio Veraldi, Diego Zandel… È cominciata in quegli anni con Giuseppe Petronio, in primis. Con Oreste del Buono, Raffaele Crovi, Claudio Savonuzzi, Elvio Guagnini, Loris Rambelli, Renzo Cremante…
Andate a rileggere i romanzi di quegli scrittori; gli articoli e i saggi di quegli studiosi e ci troverete il seme del nuovo giallo italiano. Ci vuole poco, no? Basta un poco di curiosità. E di onestà intellettuale.

Il Gruppo 13. Ci racconta qualcosa di quest’esperienza? Le origini, i protagonisti, gli obiettivi, i dibattiti, le produzioni…

Il Gruppo 13 nasce nel 1990 a Bologna (forse perché a Bologna c’è l’unico autore che si dia da fare per promuovere il giallo italiano, e cioè io) per iniziativa di Carlo Lucarelli, di Marcello Fois e del sottoscritto. All’inizio è costituito dagli scrittori Pino Cacucci, Massimo Carloni, Nicola Ciccoli, Danila Comastri Montanari, Marcello Fois, Carlo Lucarelli, Lorenzo Marzaduri, Loriano Macchiavelli, Gianni Materazzo, Sandro Toni e da due illustratori: Claudio Lanzoni e Mannes Laffi. Come vedi, 12 in tutto.
Il Gruppo 13 è stata un’esperienza riuscita dopo altri tentativi di raggruppare gli scrittori italiani di giallo, tentativi che iniziano, come ho ricordato, nel 1980 a Cattolica con il Sigma (Scrittori Italiani del Giallo e del Mistero). In seguito io e altri volonterosi abbiamo provato nel 1984 con il Gruppo 8 nel quale, oltre al sottoscritto, c’erano Perria, Olivieri, Veraldi, Enna, Russo, Signoroni.
Sia il Sigma che il Gruppo 8 non hanno avuto vita lunga: qualcosa è sempre andato storto. Le cose sono cambiate con la fondazione del Gruppo 13 dove io mi sono trovato a lavorare assieme a giovani pieni di entusiasmo, di idee e di voglia di scrivere. Giovani che nel 1990 erano alle prime esperienze e oggi sono… dove sono. Lo sapete tutti.
Il Gruppo 13 è ormai il ricordo di un bel periodo. È giusto che ognuno sia andato per la sua strada. Non era una scuola, non era una congrega. E non era un gruppo di potere o di pressione perché nessuno di noi aveva potere per imporre qualcosa. Erano amici che credevano in quello che facevano e lo hanno fatto. Bene, secondo me.
Il G 13 si propose come punto d’incontro e di scambio culturale e intellettuale fra scrittori e illustratori che operavano e vivevano nell’area emiliano-romagnola e in particolare bolognese per promuovere con iniziative la conoscenza del genere, sollecitando e aiutando gli esordienti.
Il Gruppo poi aumenta con l’adesione di Eraldo Baldini, Giampiero Rigosi, Franco Foschi, Mario Coloretti e altri, mentre alcuni rinunciano o prendono altre strade come i due disegnatori.

Il primo lavoro comune che appare in libreria è “I delitti del Gruppo 13″…

Sì, I delitti del Gruppo 13 esce per Metrolibri nel 1991 ed è una raccolta di racconti (tradotta poi anche in Francia) e nella quarta di copertina appare la seguente scritta:
Il crimine dilaga a Bologna. Echeggiano gli spari sotto i portici, si muore all’ombra delle torri. E Marlowe parla ormai con accento emiliano. Sarà un caso che a Bologna e dintorni oggi proliferino gli scrittori di giallo? Sono tanti, agguerriti, organizzati. Hanno perfino creato un sodalizio: il Gruppo 13, cui aderiscono dieci scrittori e due illustratori. Di loro questa antologia rappresenta il primo impegno collettivo: dieci racconti inediti, tutti avvincenti, tutti illustrati. Cosa unisce questi autori, oltre alla bolognesità e all’indiscutibile talento? Sicuramente il clima culturale comune: quello di una città prolifica e vivace che ha già saputo esprimere fenomeni importanti come una grande scuola di fumetto. Alla quale, per inciso, appartengono i magnifici illustratori dei racconti qui proposti.
Nel 1992 esce una raccolta di dieci racconti (Stampa Alternativa) dove ognuno degli autori del Gruppo 13 presenta, oltre a un proprio racconto, il racconto di un esordiente (altri dieci racconti, quindi). Alcuni esordienti faranno strada.
Oggi gli autori del Gruppo 13 possono dire di aver dato un contributo indispensabile alla attuale situazione di ricchezza del giallo italiano.

Lei prima ha detto che il romanzo poliziesco italiano “ha sempre sofferto di un complesso d’inferiorità nato e cresciuto grazie alla critica ufficiale che, nella sua maggioranza e soprattutto nei suoi massimi esponenti, riteneva il romanzo poliziesco un divertimento stupido per menti sciocche”. Ora le cose sono cambiate? Ovvero: è cambiato l’atteggiamento della critica letteraria, vi è stato il passaggio di “nobilitazione” di rango?

Ci sono due cose che fanno capire quanto e come le cose siano cambiate: le classifiche dei libri più venduti e la costante presenza di scrittori di genere su quotidiani, riviste, tv, radio, cinema…
Nelle classifiche ci trovate sempre qualche noir. Anzi, più di qualche. Figuratevi che ci sono pure io. Quanto alla presenza dei giallisti (preferite noiristi?) sui mezzi di comunicazione di massa (quale massa?), pare che siamo diventati tuttologi. Ci interrogano su tutto, vogliono il nostro parere sulla realtà e sui gravi problemi che investono la società. Se si dovesse rispondere a tutte le chiamate, non resterebbe il tempo per scrivere un racconto.
Quanto all’atteggiamento delle critica letteraria, è cambiato perché il genere vende e se vende occorre seguire i gusti del pubblico anche con la critica. Non vi è stato il passaggio di nobilitazione di rango: noi scrittori abbiamo nobilitato il genere. Con l’aiuto, come ho detto, di alcuni storici e critici intelligenti.

Una critica (non necessariamente negativa) alla critica. Come opera, come si suddivide, i suoi punti forti e suoi punti deboli, oggi.

Ricordo gli anni nei quali aprivo i giornali e scorrevo le pagine dedicate alla letteratura. C’era tutto il mondo, tranne gli scrittori italiani di romanzi d’indagine. E se qualche volta un critico se ne occupava, era per scrivere che il giallo italiano si sbriciola fra le mani, non ha consistenza, non ha storia.
La critica (non tutta, per fortuna, ma questo l’ho ripetuto abbastanza) si era specializzata sulla letteratura poliziesca straniera. Conosceva tutto e tutti. Di colpo si è trovata fra la mani un poliziesco italiano pieno di vita, di storia, di personaggi dei quali non sapeva nulla. Allora si è arrangiata e, arrancando, inventando ciò che non conosceva, ha cercato di mettersi al passo, di recuperare gli autori e i romanzi italiani perduti.
I suoi punti forti? In tanti si occupano di noi e grazie tante.
I suoi punti deboli? Scrivere che i romanzi italiani sono di alto livello. Non è vero. Ce ne sono di alto livello e ce ne sono di basso. Perché non è possibile che si scriva sempre un bel romanzo. Nemmeno io ci riesco. Anzi… Ma questo, come direbbe l’amico Lucarelli, è un altro discorso.