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Nel 1993 l’autore di Mille plateaux – il suo libro preferito – si era confessato a Didier Eribon, giornalista della rivista “Le Nouvel Observateur”, evocando grandi figure d’intellettuali Sartre, Canguilhem, Lacan e Marx e le sfide del suo felice lavoro di filosofo. “Le Nouvel Observateur” le ha pubblicate nel n. 1619 (16-22 nov. 2005), pp. 50-51 col titolo Le “Je me souviens” de Gilles Deleuze. Lo pubblichiamo nella traduzione di Luca Crmonesi, per gentile concessione dell’editore Ombre Corte, che lo ha inserito in appendice alla raccolta di scritti di Alain Badiou Oltre l’uno e il molteplice. Pensare (con) Gills Deleuze (g.d.m.).

SCRIVERE: Non scrivo contro qualcosa o qualcuno. Per me scrivere è un gesto assolutamente positivo: significa dire ciò che si ammira, non combattere ciò che si detesta.

Scrivere per denunciare è il più basso livello di scrittura. In compenso, bisogna riconoscere che scrivere implica il fatto che vi sia qualcosa che non funziona nello stato del problema che si vuole trattare. Che non si è soddisfatti. Direi dunque che scrivo contro l’idea toute faite [finita]. Si scrive sempre contro le idee toutes faites.
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SARTRE: Sartre è stato tutto per me. Sartre è stato qualcosa di fenomenale. Durante l’Occupazione era un modo di esistere nell’ambito spirituale. Le persone che gli rimproverano di aver fatto rappresentare le sue opere durante l’Occupazione semplicemente non le hanno lette. Bisognerebbe paragonare la messa in scena de Le mosche, in quell’epoca, a Verdi che si fa rappresentare davanti agli Austriaci. Tutti gli italiani capivano e gridavano bravo. Sapevano che si trattava di un atto di resistenza. È esattamente la stessa cosa per Sartre. L’Essere e il Nulla è stato una bomba, e questo non perché vi si sarebbe potuto vedere un atto di resistenza come ne Le mosche, ma perché è stato uno stordimento/abbagliamento. Un intero libro, enorme, di pensiero nuovo. Che choc! L’ho letto quando è stato pubblicato la prima volta. Mi ricordo che ero con Tournier ed eravamo andati a comprarlo. L’abbiamo divorato. Sartre ha ossessionato i giovani della mia generazione: scriveva romanzi, teatro, e allora tutti che volevano scrivere romanzi e teatro. Tutti lo imitavano, o erano gelosi di lui e arrabbiati… Io ero affascinato da Sartre, sono stato conquistato da lui. E secondo me in Sartre c’è qualcosa di nuovo che non si perderà mai, qualcosa di nuovo per sempre. È come Bergson. Non si può leggere un grande autore senza trovarci una novità eterna. E se oggi trattiamo Sartre o Bergson come qualcosa di superato è perché non siamo in grado di ritrovare la novità che rappresentavano per il loro tempo. E le due cose sono una sola: se non sappiamo ritrovare la novità di un autore per la sua epoca, perdiamo l’eterna novità che porta in lui. Non sappiamo più ritrovare ciò che sarà per sempre. A quel punto trionfa il regno dei copiatori, che sono i primi a gettare nel passato ciò che hanno copiato.

CANGUILHEM: Quando ho sostenuto l’esame d’ingresso all’École normale supérieure, Canguilhem mi ha fatto l’esame orale di filosofia. Mi ha dato un buon voto, che però non bastava a recuperare le insufficienze nelle altre materie. Mi hanno bocciato, ma ho ottenuto ciò che chiamavano una bourse d’agrégatíon. Dato che il decentramento era già in atto, la borsa era valida per un’università di provincia. Jean Hyppolite, che era stato mio professore nel corso di preparazione all’esame e che mi voleva molto bene, mi ha proposto di andare a Strasburgo, dove gli era stata affidata una cattedra, dopo aver finito la sua tesi su Hegel. Non ho preso casa a Strasburgo, ci andavo una volta a trimestre per riscuotere la mia borsa di studio. Là seguivo i corsi di Canguilhem; ci parlava di autori che non conoscevamo, che non avevamo mai sentito nominare. Quando andavo a Strasburgo, dato che non riuscivo ad abituarmici, lo frequentavo molto. C’era un piccolo gruppo attorno a lui e io facevo parte di quel gruppo. Canguilhem è stato molto importante per me, sia per i suoi corsi che per i suoi libri. In realtà, Canguilhem è stato molto importante per tutte le generazioni che lo hanno studiato, a partire dalla mia. Si potrebbe addirittura sostenere che ha formato tutti, o quasi.

LACAN: Mi ha cercato in occasione di una seduta del suo seminario sul mio libro su Sacher Masoch [Présentation de Sacher, Masoch, Minuit, Paris 1967; trad. it. di G. De Col, Il freddo e il crudele, Es, Milano 1996]. Mi hanno detto, ma non ne ho mai saputo di più, che aveva parlato, circa un’ora, del mio libro. Poi è venuto a tenere una conferenza a Lione, dove all’epoca insegnavo. Fece un numero assolutamente incredibile… è là che ha lanciato la sua celebre formula:J_Lacan.jpg ‘La psicanalisi può fare tutto, tranne rendere intelligente un idiota”. Dopo la conferenza, è venuto a cena da noi e, dato che era abituato ad andare a letto molto tardi, si è fermato a lungo. M ricordo che era già passata la mezzanotte e lui voleva a tutti i costi un whisky speciale. Quella serata è stata veramente un incubo. Il mio unico grande incontro con lui è stato dopo la pubblicazione de L’Anti CEdipe [Minuit, Paris 1972; trad. it. di A. Fontana, L’anti Edipo. Capitalismo e schizofrenia, Einaudi, Torino 1975]. Sono sicuro che l’avesse presa male, che se la fossa presa con me e Félix. Ma alcuni mesi dopo mi ha fatto chiamare senza nessuna spiegazione. Voleva vedermi, e io ci sono andato. Mi ha fatto aspettare nella sua anticamera, c’era tantissima gente, non si sa se fossero malati, ammiratori o giornalisti… Mi ha fatto aspettare molto, forse troppo, e alla fine mi ha ricevuto. Mi ha fatto la lista di tutti i suoi discepoli dicendo che non valevano nulla (l’unico di cui non ha parlato male era Jacques Alain Miller). Mi divertivo perché mi veniva in mente Binswanger che raccontava una scena identica: Freud che gli parlava male di Jones, Abraham… e Binswanger era abbastanza furbo per capire che Freud diceva le stesse cose di lui quando non era presente. Comunque, Lacan parlava, e ne ha avuta una per tutti, tranne Miller. E alla fine mi ha detto: ho bisogno di qualcuno come te.

MILLE PLATEAUX: Questo libro [Minuit, Paris 1980; trad. it. di G. Passerone, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Cooper Castelvecchi, Roma 2004] è il migliore di tutti quelli che Félix ed io abbiamo scritto insieme. Ed è anche il migliore che io abbia mai scritto. Sì, posso dire che si tratta senz’altro della mia opera migliore. Non ha avuto successo, ma credo che sia un gran bel libro. Perché non ha avuto successo? Forse era troppo lungo. E poi, soprattutto, non era più tempo per un libro del genere.

MAGGIO ’68: È stato un periodo molto ricco per la teoria. Se guardo a tutto quello che ho passato nel corso della mia vita, vedo innanzitutto un periodo estremamente povero: sto parlando della guerra. Dopo la guerra, c’è stata una formidabile esplosione intellettuale e culturale. Poi il deserto degli anni Cinquanta e l’uscita dal deserto e di nuovo un’epoca molto forte negli anni Sessanta (con la Nouvelle Vague al cinema e nella teoria diciamo, per rias¬sumere, Foucault e Lacan). Era un momento veramente vivace. Ma, attualmente, di nuovo un deserto, che però non è irreversibile. I casi sono due: per quelli che hanno già dietro di loro una parte del loro lavoro non ci sono troppi problemi, possono continuare a scrivere e attra¬versare il deserto. Ma per i più giovani la situazione è ca¬tastrofica: è difficile nascere in un periodo di deserto. Per qualche giovane che ha qualcosa di nuovo da dire la si¬tuazione è veramente dura. Ciò che è stato molto impor¬tante nell’epoca di cui stiamo parlando, gli anni Sessanta, il maggio ’68 e pochi anni che sono seguiti e che ades¬so è veramente conclusa è quello che io chiamerei un nuovo funzionalismo, che diventava tutt’uno con la filo¬sofia concepita come attività creatrice di concetti. Si trat¬tava di creare concetti che funzionassero in un dato am¬bito sociale. Nel caso di Foucault ciò è evidente, dato che lui si è spinto più in là nella creazione di concetti, con nozioni come quella di “società disciplinare”, che è secon¬do me un concetto fondamentale. Erano concetti che fun¬zionavano in un campo d’inmanenza e questo si scontra¬va con due punti della tradizione filosofica: il ricorso alla trascendenza e a una concezione riflessiva della filosofia (la filosofia che riflette su). Nei periodi poveri, come quel¬lo attuale, c’è sempre una restaurazione della trascenden¬za e un ritorno alla filosofia concepita come una riflessio¬ne su… È anche un ritorno alla filosofia universitaria. Al¬lora, oggi, è questo che bisogna ritrovare: la filosofia come creazione, non riflettere su, ma creare concetti, non cercare di scoprire trascendenze, ma fare funzionare i concetti in campi d’immanenza.

MARX: Non ho mai fatto parte del Partito comunista (non mi sono neanche mai sottoposto ad un’analisi, sono riuscito a scappare da tutto questo). E non sono mai stato marxista prima degli anni Sessanta. Il vedere ciò che facevano ai loro intellettuali mi ha impedito d’essere comunista. E poi, devo confessare che non ero marxista perché, in fondo, a quell’epoca non conoscevo Marx. Ho letto Marx quando ho letto Nietzsche e l’ho trovato fantastico. Per me sono concetti ancora validi, che hanno al loro interno una critica radicale. L’Anti Œdipe e Mille Plateaux sono completamente pervasi da Marx e dal marxismo. L’articolo che ho pubblicato Poscritto sulla Società di controllo [ora in Pourpalers, Minuit, Paris 1990; trad. it. di S. Verdicchio, Pourparler, Quodlibet, Macerata 2002], per esempio, è completamente marxista, anche se scrivo a proposito di argomenti che Marx non conosceva. Non capisco ciò che le persone vogliono dire quando scrivono che Marx si è sbagliato. E ancora meno capisco quando dicono che Marx è morto. Ci sono dei compiti urgenti oggi: abbiamo bisogno di analizzare che cos’è il mercato mondiale, quali sono le sue trasformazioni. E per fare questo, bisogna passare per Marx.

LIBRI: Il mio prossimo libro e sarà l’ultimo si intitolerà Grandeur de Marx.

DIPINGERE: Adesso non ho più voglia di scrivere. Dopo il libro su, Marx, penso che progetterò di smettere di scrivere. E quando smetterò di scrivere, inizierò a dipingere.