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[Questo articolo è stato originariamente pubblicato su il manifesto del 7 settembre 2005 e rilanciato da Rekombinant. La traduzione è di Marina Impallomeni]

Sulla Chiesa cattolica in Croazia incombe uno scandalo imbarazzante: nell’orfanotrofio Alojzije Stepinac gestito dalla Caritas a Brezovica, vicino Zagabria, sono stati scoperti casi di gravi abusi sessuali. Le Organizzazioni non governative avevano cominciato a richiamare l’attenzione su di essi già nel 2002, quando al loro telefono amico giunsero telefonate disperate su pesanti e sistematici abusi verbali, fisici e sessuali su bambini. L’allora ministro del lavoro e del welfare, un membro dell’ex partito comunista che guidava la coalizione al governo, decise di bloccare gli interventi fornendo in seguito una spiegazione di deprimente sincerità: «Se avessi fatto qualcosa o avessi chiuso l’orfanotrofio, mi avrebbero crocifisso come il comunista cattivo che vuole sopprimere la Chiesa».

Alla fine sono stati raccolti elementi sufficienti per l’incriminazione, la polizia ha cominciato a indagare, e sulla stampa si sono moltiplicati gli articoli. Com’era prevedibile, secondo i rappresentanti della chiesa lo scandalo sarebbe scoppiato perché i «media anticattolici» cercavano una notizia negativa da pubblicare per compensare l’informazione favorevole alla chiesa negli ultimi giorni di vita di Giovanni Paolo II. Jelena Brajsa, la direttrice dell’orfanotrofio, per molto tempo ha continuato a sostenere che nell’orfanotrofio si erano verificate alcune «situazioni sessuali», ma che erano «normali», proprio come picchiare i «bambini indisciplinati» sarebbe «un normale elemento del processo educativo». La donna ha negato risolutamente che il suo staff avesse abusato sessualmente dei bambini. Protetta dalla Chiesa e dai responsabili della Caritas, ha assunto un atteggiamento tracotante e ha detto che «negli orfanotrofi cattolici lo stato non ha niente su cui indagare». A suo parere «le ispezioni negli orfanotrofi cattolici sono come la censura della messa da parte dei funzionari statali».

Lo spettacolo del desiderio

Alla fine non è stato più possibile seguire questa linea difensiva. Sono stati rinvenuti dei documenti comprovanti che Brajsa sapeva degli abusi ma ha cercato di coprire lo scandalo per proteggere la propria reputazione e quella della chiesa cattolica. Quando il procuratore della contea di Zagabria l’ha accusata di «intralcio alle indagini», la chiesa ha fatto ricorso a una soluzione «elegante»: Brajsa è stata sollevata dal suo incarico per ragioni di salute e ricoverata in ospedale. La solita storia che, a parte il sapore post-comunista, sarebbe potuta avvenire ovunque, negli Usa o in Irlanda, in Polonia o in Austria – con una differenza significativa: non abbiamo a che fare con il tipico caso dei preti pedofili, dei preti che abusano dei ragazzi loro affidati, ma con esponenti della chiesa che hanno fatto da intermediari fornendo (soprattutto) ragazze indifese a uomini più grandi, esterni al collegio (o quantomeno tollerando questo tipo di abuso). È cruciale non confondere questi due diversi tipi di abuso.
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I preti (e, più spesso, le suore) come mediatori e fornitori di servizi sessuali sono un elemento importante della mitologia cattolica sotterranea, si pensi alla figura del prete (o della suora) come detentore ultimo della saggezza sessuale. Nel film diretto da Rober Wise Tutti insieme appassionatamente Maria, non riuscendo ad affrontare la sua attrazione sessuale verso il Barone von Trapp, scappa al monastero. In una scena memorabile, la Madre Superiora la convoca e le consiglia di tornare dalla famiglia von Trapp per cercare di chiarire la sua relazione con il Barone. Le dà questo messaggio in una strana canzone, «Scala ogni montagna!», il cui sorprendente leitmotiv è: «Fallo! Corri il rischio e prova tutto ciò che vuole il tuo cuore! Non permettere che considerazioni di poco conto ti sbarrino la strada!»

Il potere misterioso di questa scena risiede nella sua inattesa esibizione dello spettacolo del desiderio, che la rende letteralmente imbarazzante: la persona da cui ci aspetteremmo una predica sull’astinenza e la rinuncia si rivela una fautrice della fedeltà al desiderio. Significativamente, quando Tutti insieme appassionatamente uscì nella Jugoslavia (ancora socialista) della fine degli anni ’60, questa scena – i tre minuti di questa canzone – fu l’unica parte del film ad essere tagliata. L’anonimo censore socialista mostrò così la sua profonda percezione del potere veramente pericoloso dell’ideologia cattolica: lungi dall’essere la religione del sacrificio, della rinuncia ai piaceri terreni, il cristianesimo offre un contorto stratagemma per indulgere nei nostri desideri senza doverne pagare il prezzo, per goderci la vita senza il timore che alla fine ci attendano la decadenza e il dolore. C’è dunque un elemento di verità nella storiella su qual è la preghiera ideale di una ragazza cristiana alla Vergine Maria: «O tu che hai concepito senza peccare, permettimi di peccare senza dover concepire!». Nel funzionamento perverso del cristianesimo, la religione è evocata con successo come un salvacondotto che ci consente di goderci impunemente la vita.
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Qui abbiamo il sottofondo osceno dello scandalo di Brezovica: tollerare le trasgressioni sessuali, e persino istigare ad esse, come corruzione per chi si sottopone al rituale religioso. Questi fatti, comunque, non sono uguali alla pedofilia dei preti: quest’ultima è inscritta in modo molto più profondo nell’identità stessa della chiesa come istituzione. Ciò che rende questi casi di pedofilia così disturbanti è il fatto che essi non sono avvenuti solo negli ambiti religiosi, che costituiscono una parte integrante del fenomeno e vengono sfruttati direttamente quali strumenti di seduzione. Come ha osservato nella sua penetrante analisi Gary Wills, egli stesso un cattolico critico: «La tecnica seduttiva sfrutta la religione. Quasi sempre, come preliminare, viene usata una preghiera di qualche tipo. I luoghi stessi dove avviene la molestia sono carichi di religione: la sacrestia, il confessionale, la canonica, le scuole e le associazioni cattoliche con le immagini sacre sui
muri. […] Una combinazione della rigidissima educazione sessuale della Chiesa (ad esempio, sul fatto che la masturbazione è un peccato mortale di cui anche un singolo episodio, se non confessato, può spedire la persona all’inferno) e di una guida che può liberare la persona da un insegnamento inesplicabilmente oscuro grazie ad eccezioni inesplicabilmente sacre. (Il predatore) usa la religione per sancire ciò che intende fare, anche definendo il sesso come parte del suo ministero sacerdotale».

Il sesso della religione

La religione non è semplicemente invocata per fornire il brivido del proibito, per accrescere il piacere facendo del sesso un atto trasgressivo. Al contrario, il sesso è presentato in termini religiosi, come cura religiosa del peccato (della masturbazione). I preti pedofili non sono dei liberal, non seducono i ragazzi pretendendo che la sessualità gay sia salutare e consentita. Essi sostengono dapprima che il peccato confessato dal ragazzo (la masturbazione) è davvero mortale e poi, come procedimento in grado di «guarire», propongono atti gay (ad esempio, la masturbazione reciproca): ciò che non può che sembrare un peccato ancora più grande. La chiave sta in questa misteriosa «transustanziazione», per mezzo della quale la stessa legge che ci fa sentire colpevoli quando commettiamo un peccato ordinario ci impone di commettere un peccato molto maggiore: l’unico modo di vincere il peccato è attraverso un peccato più grande.

La chiesa cattolica può contare su (almeno) due livelli di simili regole, non scritte e oscene. Per prima cosa c’è, naturalmente, l’infame Opus Dei, la «mafia bianca» della Chiesa, l’organizzazione (mezzo)segreta che incarna in un certo qual modo la pura legge al di là di ogni legalità positiva: la sua regola suprema è l’obbedienza incondizionata al Papa e la spietata determinazione a operare per la chiesa, mentre tutte le altre regole sono (potenzialmente) sospese. I suoi membri, il cui compito è penetrare nei circoli politici e finanziari ad alto livello, tengono segreta la loro identità di Opus Dei: essi sono effettivamente «opus dei», «opera di Dio».
Poi ci sono tutti i casi di molestie sessuali sui bambini da parte di preti, talmente diffusi dall’Austria e dall’Italia fino all’Irlanda e agli Usa che si può effettivamente parlare di un’articolata «controcultura» all’interno della chiesa, con il suo sistema di regole nascoste. (E c’è una chiara interconnessione tra i due livelli, dato che l’Opus Dei interviene regolarmente per mettere a tacere gli scandali sessuali dei preti.)
Che cosa, dunque, ci consente di concludere che queste oscenità, questi crimini sessuali fanno parte dell’identità stessa della chiesa come istituzione? Non gli atti in se stessi, ma il modo in cui la chiesa reagisce quando vengono scoperti, il suo atteggiamento difensivo, il suo lottare per ogni centimetro che le tocca concedere: il fatto che liquidi le accuse come scandalismo, come propaganda anticattolica; che faccia tutto il possibile per minimizzarli e isolarli; che offra ritrattazioni condizionali («se i crimini sono stati commessi davvero, allora, naturalmente, li condanniamo»); l’assurda pretesa che la chiesa debba essere lasciata libera di trattare i problemi a modo suo; le «eleganti» soluzioni burocratiche che non fanno male a nessuno (la responsabile sospesa per motivi di salute o nell’ambito della normale riorganizzazione amministrativa).

Inconscio pubblico

Quando insistono che questi casi, per quanto deplorevoli, sono un problema interno della chiesa, e mostrano grande riluttanza a collaborare con la polizia nelle indagini, i rappresentanti della chiesa hanno, in un certo qual modo, ragione: la pedofilia dei preti cattolici non riguarda meramente quelle persone che per ragioni accidentali di storia privata, senza relazione con la chiesa come images-2.jpgistituzione, hanno scelto la professione di prete, ma è un fenomeno che riguarda la chiesa cattolica come tale, inscritto nel suo stesso funzionamento come istituzione socio-simbolica; non riguarda l’inconscio «privato» dei singoli individui, ma l’«inconscio» della istituzione stessa: non è qualcosa che accade perché l’istituzione deve adattarsi alle realtà patologiche della vita libidica per sopravvivere, ma qualcosa di cui l’istituzione stessa ha bisogno per riprodursi.

Possiamo ben immaginare un prete «retto» (non pedofilo) che, dopo anni di sacerdozio, sia coinvolto nella pedofilia perché la logica stessa dell’istituzione lo spinge a farlo. Tale inconscio istituzionale è una categoria chiave della critica dell’ideologia: designa il sottofondo osceno, disconosciuto che – proprio in quanto disconosciuto – sostiene l’istituzione pubblica. (Nell’esercito, questo sottofondo consiste nei rituali osceni e sessualizzati di attacco ai superiori ecc. che sostengono la solidarietà di gruppo). In altri termini, la chiesa non cerca di mettere a tacere gli imbarazzanti scandali sulla pedofilia per semplice conformismo. Difendendo se stessa essa difende il suo più recondito, osceno segreto. Per un prete cattolico, identificarsi con questo lato segreto è un elemento chiave della sua identità: denunciando seriamente (non solo retoricamente) questi scandali, si taglierebbe fuori dalla comunità ecclesiastica, non sarebbe più «uno di noi» (così come negli anni ’20, nel sud degli Stati uniti, un cittadino che avesse denunciato il Ku Klux Klan alla polizia si sarebbe tagliato fuori dalla sua comunità, ossia ne avrebbe tradito il fondamentale legame di solidarietà).

Un’oscena appendice

Per lo stesso motivo, non è possibile spiegare questi scandali sessuali come una manipolazione di quanti si oppongono al celibato e vogliono dimostrare che le pulsioni sessuali dei preti, non trovando un’espressione legittima, sono destinate a esplodere in modo patologico. Consentire ai preti cattolici di sposarsi non risolverebbe niente, essi non svolgerebbero il loro compito senza molestare i ragazzini, perché la pedofilia è generata dall’istituzione cattolica del sacerdozio come sua «trasgressione intrinseca», come sua oscena appendice segreta.

La risposta alla riluttanza della chiesa non deve limitarsi al fatto che siamo di fronte a dei reati e che, non collaborando appieno alle indagini, essa ne diventa complice. La chiesa come tale, come istituzione, deve anche essere indagata quanto al modo in cui crea sistematicamente le condizioni perché tali crimini avvengano. Sostenere che essa debba essere la sola a trattare i reati di pedofilia che si verificano tra i suoi ranghi è problematico non soltanto da un punto di vista puramente legale, dato che ciò implicherebbe una sorta di diritto extraterritoriale della chiesa anche per i reati comuni che ricadono sotto la legislazione penale (come se il fatto stesso che questi scandali siano scoppiati non fosse una prova che essa non è in grado di risolverli).

Se vuole davvero affrontare seriamente la questione della pedofilia, la chiesa dovrebbe non solo dare carta bianca alla polizia per interrogare i suoi ranghi e collaborare pienamente, ma anche affrontare seriamente la questione della sua responsabilità per questi crimini, in quanto istituzione. È questo il modo in cui la chiesa dovrebbe affrontare il problema.

Qui il servizio della BBC Sex Crimes & the Vatican; qui, qui e qui altri video sullo stesso argomento.