Intervista a Tito Pulsinelli

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[Questa intervista al nostro amico Tito Pulsinelli, giornalista italiano residente in Venezuela, è apparsa nel sito italo-venezuelano La Patria Grande. Traeva origine da alcune dichiarazioni a Liberazione del ministro D’Alema, reduce da un viaggio in America Latina. L’abbiamo integrata con alcune domande supplementari.] (V.E.)

La Patria Grande (LPG): Il ministro D’Alema manifesta ripetutamente la sua spiccata identificazione con Lula e il Brasile, ed arriva a suggerire che esisterebbe una contraddizione sensibile con Chávez e il Venezuela.

Tito Pulsinelli (TP): Il massimo gerarca della Farnesina ignora che Lula è stato aspramente criticato dall’opposizione venezuelana perchè — in piena campagna elettorale – è andato a inaugurare il grandioso ponte binazionale sull’Orinoco, e questo è stato visto come un aperto e indebito sostegno alla rielezione di Chávez.

Caracas e Brasilia agiscono in piena sintonia sullo scenario internazionale (vedi elezione al Consiglio di sicurezza dell’ONU), convergono sul potenziamento accelerato del blocco regionale nel Mercosur, e più in generale sull’integrazione latinoamericana.
La costruzione del gasodotto trans-amazzonico, che trasferirà il gas dalle coste venezuelane alla Terra del Fuoco, sta a indicare che esiste una concordanza di tipo strategico, che va ben oltre l’effimera durata dei vari governi.

LPG: Sul nuovo corso sudamericano e sul rinnovatore vento del sud che ha ridato protagonismo alle sinistre, è evidente che D’Alema predilige il Brasile, Cile e Perù, e li contrappone ai governi di Caracas, Buenos Aires e La Paz, di cui non mette in discussione la legittimità democratica, ma il carattere “populista”. Che senso ha?

TP: E’ l’ottica un po’ strabica con cui si guarda al sub-continente dalla metropoli europea. Non c’è da stupirsi. Nel passato molto remoto dell’annessione della California, Arizona, Texas ecc agli Stati Uniti, uno come Engels scrisse che “finalmente sono state strappate agli indolenti messicani, i quali non sapevano che farsene”. E’ un problema di informazione, o di consiglieri poco aggiornati.
Certo, è un po’ fantasioso definire Alan Garcia come un “esponente storico della sinistra”, significa ignorare non solo la questione morale, ma anche che è stato rieletto con l’apporto determinante della destra liberista, dell’oligarchia reazionaria e dei settori urbani più razzisti.
La morte di Pinochet nel suo letto ha reso evidente che in Cile esiste tuttora una « democrazia tutelata », frutto di un patto di transizione basato sull’impunità dei gorilla golpisti. L’esercito cileno continua a poter contare sul diritto al 10% dei proventi dell’esportazione del rame, a prescindere dai bilanci per la difesa stabiliti dai governi di turno. In nessun altro Paese del continente americano esiste un simile privilegio pretoriano.
D’Alema elogia il mercato aperto cileno, la sua modernità cosmopolita, ma dimentica che il prezzo è stato pesantissimo, e che ha impoverito i settori popolari. Dimentica che il Cile è anche Mapuche.
Infine, credo che il ministro si attiene alla tradizione burocratizzata: è sinistra quella contenuta nell’album di famiglia dell’Internazionale socialista. Lì c’erano anche Azione Democratica (AD) e Carlos Andrés Pérez, quando nel 1989 impose a ferro e fuoco un “pacchetto del FMI”, con il costo di migliaia di morti ammazzati. E’ lì che affondano le radici del nuovo corso venezuelano.

LPG: D’Alema dà alcune piste per interpretare quel che lui ritiene “populismo”. Su insistenza della giornalista Nocioni di Liberazione dice: “E’ che Lula ridistribuisce una ricchezza prodotta dal Brasile perché è consapevole che per redistribuire ricchezza bisogna crearla attraverso lo sviluppo economico. Ridistribuire la rendita petrolifera è invece meno lungimirante”.

TP: Già siamo ai luoghi comuni folcloristici… Chávez sarebbe come un distributore automatico di banconote a chiunque ne faccia richiesta. Veramente, è stato il candidato presidenziale dell’opposizione a distribuire una carta di credito — denominata ”Mi negra” – con cui la gente poteva passare a incassare il 10% della rendita petrolifera all’indomani della sua elezione. Gli elettori hanno rifiutato questo demagogico “cash”, preferendo la ridistribuzione sociale sotto la forma di sistema sanitario nazionale, istruzione, sistema pensionistico e investimenti per lo sviluppo. Era il 35% del bilancio del 2006, supererà il 40% quest’anno.Ma che dovrebbe fare Chávez ? Distribuirlo alle banche o alle multinazionali?
In Venezuela si sta producendo tecnologia per l’agricoltura, automobili, un polo petrochimico, computer, macchinari per la perforazione petrolifera ecc. Per la prima volta, non si importerà la tuberia per gli oleodotti. Questi progetti si fanno con partner che accettano la compartecipazione del 51% del Venezuela, il trasferimento tecnologico, brevetti e patenti al Paese. La porta non è stata chiusa a nessuno, ma se la Cina, l’Iran, la Russia e il Brasile accettano e altri no, questo si deve ad altre ragioni, non certo alla chiusura del mercato. Quello venezuelano non è una porta girevole come nel Grand Hotel della Borsa, ha le sue regole, come in Malaysia.

LPG: Ma che cosa si può rispondere ad una affermazione come “Lula redistribuisce ciò che si produce in Brasile”?

TP: Anche il petrolio, il gas e altre vitali materie prime si producono in Venezuela, non nella stratosfera. E per portarle fino al distributore di benzina non basta fare un buco per terra con un palo, come ai tempi dell’indio Mara nel lago di Maracaibo. Qui si estrae e si raffina, e PDVSA è una multinazionale energetica tra le prime dieci del mondo, la prima tra quelle statali.
D’Alema non parla da ministro degli esteri ma come uomo politico metropolitano, però come tale ignora che in Venezuela non è mai esistita una borghesia nazionale capace di creare un maturo sviluppo industriale. In Brasile esiste, e si vede.

LPG: Perchè?

TP: Nel 1914, quando comincia il boom petrolifero, il Venezuela era un Paese quasi disabitato, agricolo, sottomesso al dittatore Juan Vicente Gómez, collocato al potere dalle compagnie petrolifere, di cui fu un acerrimo difensore durante 28 anni.
E’ bene ricordare che questa dittatura fu favorita dal blocco navale delle coste e dei porti, ad opera dell’Inghilterra e della Germania, cui più tardi si aggiunsero Italia, Francia, Olanda, Belgio e Spagna, che esigevano il pagamento di un debito usuraio.
I proprietari terrieri di quell’epoca non seppero gettare le basi di una rivoluzione industriale, e più tardi vissero il miraggio del colonialismo petrolifero, preferendo la subordinazione alle multinazionali e vivere all’ombra dello Stato. Ricevevano crediti senza dare in cambio nessun tipo di sviluppo reale.

LPG: Stai parlando di un periodo lontano…Juan Vicente Gomez cadde nel 1935. Dopo la situazione non è cambiata?

TP: Dal 1958 il petrolio ha generato un esiguo gettito fiscale al Paese, i benefici rimanevano alle multinazionali del nord, mentre lo Stato ha continuato a funzionare al servizio del 10% della popolazione. L’elite riceveva sovvenzioni per sostituire le importazioni, ma le usava prevalentemente per i commerci e continuare a importare.
Tant’è vero che, fino agli anni 60, l’emigrazione italiana era fiorente, e sviluppò la costruzione, la piccola e media industria dei manufatti metallurgici, i calzaturifici…I grande latifondi erano improduttivi, e si importava il 70% del fabbisogno alimentare.
In Brasile i latifondisti producono per il mercato interno, preferibilmente per l’esportazione, ma producono. Qui no, sono distese recintate, con la speranza che nel sottosuolo si scopra qualche giacimento… Qui si è arrivati a chiudere gli istituti tecnici industriali, perchè bisognava importare, non riparare o fare manutenzione…
D’Alema non ha idea di che che sia una colonizzazione petrolifera in pieno secolo XX, forse non è brutale come quella della monocoltura delle banane o del caffè. E’ un processo di espropriazione delle risorse, dell’identità culturale e nazionale, di tremenda efficacia. Riesce a pianificare l’economia in modo che i dollari del petrolio ritornino automaticamente all’origine… si importa quasi tutto, persino gli alimenti. Ci sono pochi imprenditori e troppi commercianti. Così era l’Iran fino alla caduta dello Sha, così è la Nigeria oggi.
Credo che nessun governo possa ribaltare una situazione simile in pochi anni, anche con i consigli interessati di “lungimiranti” uomini politici della metropoli industrializzata. Ieri indicavano come modello l’Argentina dollarizzata di Menem, oggi il neoliberismo militarizzato cileno.

LPG: L’intervistatrice di Liberazione fa notare a D’Alema che sia Chávez che Lula hanno praticato la redistribuzione sociale, però in un caso è positiva, nell’altro è criticabile. Il ministro arriva a stabilire un’altra differenza: “Lula si sforza di unire il Paese, Chávez governa anche attraverso la mobilitazione permanente dei suoi seguaci nei confronti dell’altra parte del Paese”.

TP: D’Alema parla come uomo di parte sommariamente informato, ma sicuramente non come ministro. Non so come reagirebbe se un ministro venezuelano dicesse una cosa simile al Presidente italiano.
Ad ogni modo, egli guarda a un’altra realtà con la stessa lente di ingrandimento valida a casa sua. Egli suppone che qui ci sia un’opposizione leale, che accetta le regole del gioco e l’alternanza. No, non è così, non è vero che tutto il mondo è paese.
In Italia ci sono televisioni da cui si fa apologia del colpo di Stato? Da cui si lanciano appelli all’insurrezione contro i poteri costituiti? Chávez fu fatto prigioniero, ma non poterono eliminarlo fisicamente nè políticamente, perchè la mobilitazione sociale lo impedì.
I voti hanno espresso questo indirizzo politico, però quelli che D’Alema definisce i “poteri forti”, usano tutti i mezzi, leciti e no, per ribaltare la situazione. Senza la mobilitazione permanente, i voti — in questa parte del mondo – servono a poco.
Per D’Alema è normale che una parte del Paese, per cambiare governo, ricorra all’importazione di centinaia di paramilitares colombiani? O a una serrata padronale mascherata da sciopero, in cui bloccano per due mesi gli ospedali, compreso il pronto socorso? E’ normale interrompere i rifornimenti alimentari per due mesi alle città? Obbligare i cittadini a cucinare con la legna perché rifiutano di vendere le bombole di gas? Se i voti non si difendono con la mobilitazione, si ritornerebbe alla diserzione elettorale di massa.

LPG: A parte queste ragioni, D’Alema non ha visitato Caracas per il problema con la parastatale italiana degli idrocarburi. Infatti dice: “L’ENI in Venezuela ha un contenzioso serio, importanti concessioni sono state di fatto espropriate dal governo”. Che ne pensi?

TP: Il governo ha sovranamente aumentato le imposte fiscali sugli idrocarburi e ha stabilito nuove norme. Queste sono state accettate dalla Repsol, da Petrobras, dalla compagnia in cui la famiglia Bush vanta un pacchetto azionario, dai cinesi, dagli argentini e dai norvegesi. L’ENI è una solitaria eccezione e ha fatto le valigie, altre compagnie hanno preso il suo posto. E’ una questione di costi, ma è del tutto improprio parlare di ”concessioni espropriate di fatto”. E’ poco diplomatico tacere sui grandi contratti delle aziende italiane nel settore ferroviario, e mettere in risalto — invece – i punti di frizione.

LPG: Per concludere, D’Alema ha criticato Chávez per il suo discorso all’ONU, asserendo che “definire diavolo qualcuno, come ha fatto Chávez con Bush, sia una sciocchezza”, che metterebbe in cattiva luce il Venezuela.

TP: E’ un’opinione personale del cittadino D’Alema che — invece – trova perfettamente normale quando Bush afferma che durante le colazioni — quando non si servono alcolici – Dio gli ha dato via libera per l’invasione dell’Iraq e dell’Afganistan. Sono affermazioni nocive per la credibilità di qualsiasi Paese.
Non ricordo nessun commento nemmeno quando Clinton, nel discorso inaugurale della sua prima presidenza, disse con serietà: “Oggi celebriamo il mistero del rinnovamento americano, la nostra missione è senza tempo”. La loquacità diplomatica, o l’impertinenza del neoliberismo di sinistra — si sa – è asimmetrica, variabile secondo la gerarchia delle nazioni.

Carmilla (CAR): A parte D’Alema, gruppi di italiani residenti in Venezuela hanno scritto al nostro Presidente della Repubblica, denunciando, tra l’altro, che molti oppositori di Chávez subirebbero persecuzioni o avrebbero perso il lavoro. Come rispondi?

TP. Nei consolati italiani, gli assunti con contratto a termine affini all’orientamento politico dell’ex ministro degli Esteri sono stati confermati, gli altri no… E non hanno a chi scrivere.
Ma si dicono cose anche peggiori, per esempio che in Venezuela non c’è libertà di espressione, che si perseguitano i giornalisti, però l’unico canale proibito fu quello di CatiaTV, una televisione di quartiere chiusa durante il colpo di Stato dal sindaco di Caracas, che era un leader notorio dell’opposizione.
Attualmente c’è una virulenta campagna di propaganda perché il governo non rinnoverà la concessione della frequenza alla rete RCTV, scaduta dopo venti anni. Questo canale potrà continuare a trasmettere via cavo, ma ciò non impedisce ai propagandisti professionali di mentire. Per loro, un contratto di concessione equivale a un diritto di proprietà illimitata e a tempo indefinito.
Negano allo Stato la prerogativa di regolare il funzionamento dell’etere o di immischiarsi nella sfera di azione dell’impresa privata. Questa è la loro filosofia ultra-liberista, e la libertà di espressione finisce per essere l’alibi per libertà assoluta dei monopoli dell’informazione. Il diritto dell’utente a un’informazione equilibrata e diversificata, per loro è una fisima inammissibile. RCTV diventerà una rete che raccoglierà la produzione indipendente e quella delle TV locali e regionali. Ancor oggi, il 78% dei mezzi di comunicazione radiotelevisivi appartiene ai privati, oltre ai maggiori quotidiani nazionali e regionali.

CAR: I quotidiani italiani ispirati al “pensiero unico” (quasi tutti) hanno denunciato le modifiche alla costituzione venezuelana, per permettere che un presidente sia rieletto, e la “Ley de Habilitación”, che concede per 18 mesi al capo dello Stato prerogative proprie dell’esecutivo, come premesse a un regime dittatoriale. Tu che ne pensi?

TP: Anche nel 1999 il governo fece ricorso a questa prerogativa stabilita dalla Costituzione, che permise l’approvazione con tempi rapidi di ben 78 leggi “abilitanti”. Fra queste, quelle sulla riforma agraria che stabiliva che le terre oziose e improduttive sarebbero state assegnate a piccoli produttori e cooperative, con l’indennizzazione dei latifondisti. Anche allora si paventò il pericolo della “cubanizzazione” forzata e del pericolo dell’imminente deriva autoritaria. Fino ad oggi, sono stati distribuiti 3 milioni di ettari di terre incolte, dopo un accordo consensuale tra latifondisti e Stato.
Tutto il resto si è incagliato nei meandri dell’inefficiente magistratura, e non si sa quando si risolverà il contenzioso.
Specificamente, il Presidente Chávez ha chiesto che venga rinnovato per 18 mesi il “periodo abilitante”. Questo significa che il governo può presentare direttamente all’approvazione dell’Assemblea nazionale una serie di proposte di legge. E’ una procedura legale per accelerare gli iter burocratici, ma le leggi devono essere approvate dai deputati, soprattutto le riforme costituzionali.
I giornali dimenticano che in Italia si governa a colpi di decreti legge, e che persino su una decisione importante come la Costituzione europea, dopo la bocciatura degli elettori francesi e olandesi, stanno pronunciandosi solo i parlamentari.
E’ bene ricordare che l’attuale Costituzione venezuelana è stata approvata da un referendum: ci sono altri Paesi che hanno fatto altrettanto? Qui è riconosciuto ai cittadini anche il diritto a rimuovere dal loro posto le autorità pubbliche (Presidente, deputati, governatori e sindaci) una volta giunte alla metà del periodo. Si raccolgono firme e si va al referendum abrogativo. C’è questa possibilità in Italia o negli Stati Uniti?
Il problema reale è che l’immediatismo dell’opposizione, l’ingenua convinzione che con una spallata avrebbe recuperato il potere ipso facto, e il suo viscerale senso di superiorità, l’hanno condotta a una serie di errori imperdonabili. Soprattutto perché si è affidata a pessimi consiglieri nord-americani. Il fatto grave è che si ritirarono dalla competizione elettorale, e ora non hanno nemmeno un deputato. Potrebbero averne una quarantina.
Credo che il governo abbia un forte consenso della società, ma questo non significa affatto che è un assegno in bianco, né che si accetterebbe una revisione profonda della Costituzione, senza passare per un referendum approbatorio. Credo anche che la proposta di rimuovere la limitazione della rielezione alla massima carica, non goda del favore maggioritario.
La stampa liberale, però, parla di libertà ma in realtà si preoccupa della proprietà. Non gradisce l’annuncio di nazionalizzare una delle società telefoniche e quella dell’elettricità.

CAR: Sintetizzando le diverse obiezioni provenienti dalla stampa italiana detta”liberale”, secondo te Chávez ha in mente un Venezuela socialista identico aCuba?

TP: Chávez non è un farlocco, sa che Cuba è alla vigilia di una necessaria metamorfosi, che sicuramente non ripeterà la disastrosa dinamica russa, dove il ritorno del capitalismo selvaggio ha portato l’aspettativa di vita a 55 anni. Cuba non riporterà le lancette dell’orologio al 1959, né ristabilirà il catasto di allora, come desiderano quelli di Miami. Chissà perché non si pensa mai alla Cina e all’evoluzione realizzata nel suo sistema.
Immaginare che il Venezuela si stia avviando verso un’economia basata sui monopoli statali è una sciocchezza. Il modello venezuelano va verso un sistema di economia mista, dove già ora lo Stato ha un ruolo importante con gli idrocarburi, le materie prime e il costruendo polo agrochimico. Non si permetteranno monopoli privati nelle aree ritenute strategiche, dove lo Stato interverrà per creare un mercato più diversificato, e una molteplicità dell’offerta.
Secondo la Banca Centrale, il 70% dell’economia è privata e impiega il 70% degli occupati. Negli ultimi due anni, l’economia è cresciuta al ritmo medio del 10% all’anno, e la Borsa di Caracas è quella che ha dato i migliori risultati in tutto il continente.
E’ difficile crederlo, ma è così, anche se CNN tace o fornisce indici taroccati.
Sicuramente si accentuerà la caratteristica di Stato sociale, si cercherà di diminuire la dipendenza tipica dei Paesi esportatori di materie prime, e si regolamenteranno maggiormente i diritti – ora illimitati – del capitale.
Se si comparano le tasse che si pagano in Italia con quelle venezuelane si avrebbe un’idea più precisa, e si scoprirebbe l’assoluta libertà di manovra e l’assenza di vincoli per alcuni settori, e la totale subordinazione di altri.
Mi rendo conto che “socialismo” – dopo popolo, sfruttamento o imperialismo – è parola tabù, bandita dal lessico asettico della sinistra neoliberista. Il socialismo del secolo XXI di Chávez ben potrebbe definirsi più familiarmente come “via venezuelana al socialismo”, ma le cose non cambierebbero. Il fatto è che viviamo nel tempo dei lupi, e tutti si genuflettono di fronte al primato assoluto dell’economia privata su tutto il resto.
L’altro feticcio cui si rende culto è quello dei proprietari della comunicazione, e questo ha stabilito da tempo che Chávez è un dittatore e che il Venezuela si cubanizza. E se avvenisse il contrario? Il Venezuela sarà un’economia mista che programma uno sviluppo all’interno del blocco sudamericano. Logicamente gli Stati Uniti non gradiscono, avrebbero preferito l’ALCA, ma questa è stata bocciata in tutto il continente.