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di Danilo Arona

Un’altra mail datata 26 settembre 2005 mi pone un problema serio a proposito del caso di P.M., una ragazza di ventidue anni forse narcolettica che morì nel proprio letto a Bassavilla nelle prime ore del 29 dicembre 1999. La ricordate? Morì alla stessa ora in cui Melissa veniva travolta sulla Bologna-Padova e urlò come se lei stessa, in quel momento sconvolgente, si fosse trovata là, allo svincolo di San Pelagio, e proprio nei panni di Melissa. Gridò: “Ci sono luci e macchine, ma di chi è questo giubbetto, mamma svegliami non c’è più tempo!”. Poi si contorse e balzò in aria come se il letto l’avesse presa a calci. Saltò in alto per almeno un metro e ricadde morta. L’autopsia stabilì che la poverina presentava un rovinoso quadro di lesioni interne del tutto compatibili con l’ipotesi di un decesso per investimento da automobile. Una follia, dato che era trapassata nel suo letto. Una follia, a dir poco, imbarazzante.

La ragazza che mi manda la mail, Elisa, fa un’osservazione ineccepibile: “Se la diagnosi di narcolessia è corretta, la ragazza non avrebbe mai potuto urlare. Durante la paralisi del sonno, ogni muscolo del corpo è — appunto — paralizzato, il soggetto è del tutto cosciente ma riesce solo a controllare il movimento degli occhi e la respirazione. In pratica si riscontra una totale discordanza, di solito di breve durata, tra la mente e il corpo, con la prima che è attiva e cosciente e il corpo che continua a dormire. Quasi sempre, durante la paralisi del sonno, si manifestano allucinazioni ipnagogiche. E le visioni della ragazza altro non possono essere. Ma in letteratura non esiste un caso, a mia conoscenza, in cui il paziente le descrivesse a viva voce in tempo reale. Se così fosse, non si tratterebbe di un disturbo neurologico.”
Elisa, ci scommetto, è medico. Io sono laureato in filosofia e scrivo di storie bizzarre, spesso tragiche, che si sgrovigliano ai confini della realtà. Le riporto per come mi vengono riferite. In questi eventi quasi sempre i conti non tornano.
All’epoca, gli ultimi mesi del 1999, qualcuno fece la diagnosi e disse “narcolessia”, aggiungendo “forse”. Il caso di P.M., così inquadrato, resta soltanto un’ipotesi di lavoro, è giusto sottolinearlo. E i dubbi di Elisa furono le prime faglie nelle quali inciampai quando svolsi una breve, ma intensa indagine, sul caso.
Ma a questo punto procediamo con ordine. Nel febbraio del 2000 venni a conoscenza del caso di Melissa grazie a un tenente colonnello dell’Arma che, a suo modo, m’incaricò di indagare sull’incidente. Io non lo feci subito, essendo impelagato in altre storie, soprattutto bedroom invaders. Però, tra un incubo e un altro, mi convinsi che Melissa era un pacco alla Blair Witch Project, colpa soprattutto di un sito (http://Melissa1999) che ce la metteva tutta per non darla a bere ai navigatori. A dicembre, a un anno di distanza dall’evento — non se ne parlò quasi sui giornali locali e unicamente nei termini di “morte nel sonno” -, nelle modalità che seguono mi capitò di scoprire la storia della poveretta forse narcolettica.
Un paio di giorni prima di Natale, il tenente colonnello mi telefonò per farmi gli auguri e per comunicarmi che a breve l’avrebbero trasferito a Roma. Andarsene gli dispiaceva molto perchè, per qualche perversa ragione, a lui Bassavilla proprio piaceva un sacco. Tra una facezia e l’altra, lui mi chiese se avessi indagato sul Lato Oscuro della Realtà (proprio così disse, ovviamente soppesando ogni sillaba con ironia tutta romanesca — il nostro è proprio di Roma) a proposito della ragazza deceduta in autostrada. Io gli risposi con sincerità e lui mi pregò di andarlo a trovare, perchè, a differenza di me, i carabinieri avevano indagato, e bene, da “questa parte alla luce del sole” e l’amico intendeva farmene partecipe.
Nel suo ufficio, mezz’ora dopo quella telefonata, inforcò gli occhiali, aprì una cartellina anonima di colore verde e mi pregò di prender nota, dal momento che non poteva fotocopiarmi documenti riservati.
“Allora, la faccenda è strana. Abbiamo quattro verbali della polizia stradale per presunto investimento, ma non abbiamo un investitore e neppure il cadavere della ragazza investita. Fermati, lo so che stai per dirmi che lo scorso febbraio ti ho mostrato una fotografia. Allora ignoravo che era stata scaricata da un sito su Internet e ritoccata al computer per renderla, per così dire, presentabile. I colleghi di Padova pensavano si trattasse di materiale autentico, avallato dalla denuncia. Invece no. E, particolare ancora più strano, tre dei quattro verbali non sono datati 29 dicembre 1999. Si tratta di dichiarazioni rilasciate a posteriori. Un mese dopo circa la disgrazia. Se ti dice qualcosa, proprio quando è apparso il sito in rete, giorno più giorno meno. A febbraio non avevo alcun documento in mano, se ben ricordi.”
“Già, esattamente di questo ti avrei parlato. Foto o non foto, ha tutta l’aria di una leggenda metropolitana creata ad arte. Ma i testimoni, allora?”
“Te li leggo. Il primo, quello che ha fatto subito la denuncia, si chiama Vanni De Maria, trent’anni circa. Sta viaggiando sulla A 13, in direzione Venezia, a quell’ora. A pochi chilometri da Padova vede sul bilico della corsia d’emergenza una Renault grigia con le ruote per aria che ancora girano e un giovane conducente che sta uscendo a fatica dall’abitacolo. E’ malconcio, sotto shock, ma tutto sommato illeso. De Maria si ferma in corsia d’emergenza, esce e corre verso il ragazzo che sta balbettando frasi incoerenti, dicendo di aver travolto una ragazza bionda in mezzo all’autostrada al buio e di avere quindi perso il controllo della sua Renault in seguito all’impatto. De Maria, allora, dietro le indicazioni del giovane, torna indietro di qualche metro e, nel prato antistante l’autostrada, scopre con orrore il corpo senza vita di una bionda. Chiamano polizia stradale, ambulanza, carro atrezzi, insomma fanno tutte le cose per benino. Ma, alla fine di questo rapporto, leggo che De Maria è l’unico elemento concreto della storia. L’investitore, una volta rientrato in possesso della macchina e appurato che poteva viaggiare, si è dileguato. I portantini non hanno trovato nulla, nessuna donna bionda. De Maria, in ogni caso, senza demordere, ha messo nero su bianco, spergiurando di avere visto il cadavere.”
“Andiamo bene.”
“Thomas Ferrarese, ore 5,20, autostrada A4. Su una Mercedes all’altezza di Brescia. Sandro Galtieri, pensionato, autostrada A1, svincolo San Martino, ore 5,20. Renato Marola, camionista, autostrada A27, casello Treviso Sud, ore 5,20. Per tutti la stessa scena e la stessa esperienza.”
“Hanno investito un fantasma. Ma perchè l’hanno denunciato in ritardo?”
“Pensavano di avere tutti e tre un colpo di sonno, un’allucinazione. Ma poi è giunta loro voce di un certo sito su Internet che era dedicato a una sconosciuta morta in autostrada proprio in quella notte e a quell’ora. E si sono fatti avanti.”
“Mi permetto di non crederci. Non posso ovviamente giurarlo, ma il sito già riportava di queste testimonianze sin dalla sua comparsa. O sono mitomani o sono d’accordo con il webmaster. Ed è proprio lui che dovreste cercare.”
“Ci stanno provando. Ma non è facile. E francamente non vedo reati… da questa parte.”
“Dall’altra parte non si chiamano reati. Ti conosco… Quando fai così, hai un rospo che ti rode.”
“Sì, una ragazza morta nel suo letto, il mese scorso. Proprio qui, a Bassavilla, in periferia. Forse la chiave per capirci nel guazzabuglio di Melissa.”
Fu lui, il mio amico carabiniere emulo di Fox Mulder, a raccontarmi del caso della “narcolettica” di Bassavilla. Una storia già vecchia di un anno e che aveva goduto di un top secret, quanto mai comprensibile, a causa dei particolari assurdi emersi dall’autopsia. Ma, dopo un anno, secondo lui, era giunto il momento di lanciarmi su questa pista, intanto per capirci qualcosa almeno dal punto di vista “paranormale” – disse proprio così — e comprendere anche lo strambo e terribile legame con quella che aveva l’aria di essere aria fritta, ovvero una leggenda metropolitana nemmeno delle più originali.
Così feci. E quanto prima ve ne parlerò, anche se nel 2001 mi ripromisi che avrei posto una pietra tombale sulla morte di P.M., giudicandola meritevole solo di un pietoso e solidale silenzio. Adesso, però vorrei concludere con un appello al webmaster “Francesco” che curava il sito di Melissa.
Come vedi, amico, la cosa sta tracimando, che ti piaccia o meno. E’ ora che ne parliamo. Esci dall’ombra e scrivimi. I fantasmi, a differenza dei siti, non si possono rimuovere.