di Antonio Nucci
Illustrazioni di Pierangelo Rosati

9.
Hobo4.jpg
Era di nuovo venerdì, l’ultimo delle sue vacanze e con tanta polizia in giro per Santa Clara come non se ne era mai vista. Toccò a lui questa volta, come già successo a tanti altri del luogo, essere fermato da una pattuglia per accertamenti. Dei due gli parlò quello più anziano.
“Lei vive a Novara. Come mai da queste parti?” disse con tono non proprio amichevole.
“Vacanze. Ho una seconda casa qua vicino.”
“Capisco. Quanto intende fermarsi ancora?”
“Riparto lunedì.”
“Bene. Attenda in auto, per favore.”
Poco dopo il poliziotto gli restituì i documenti.
“Tutto a posto. Buona serata” disse molto più gentilmente di prima.

Mentre ingoiava la sua birra la sorte di Alba Bertoldi in Righi si era già consumata da qualche ora.
Dopo che Walter l’aveva vista allontanarsi lei aveva imboccato lo stradello sassoso avendo con sé solo la sua borsetta appoggiata a tracolla sulla spalla. L’idea era di andare a passare la notte da sua madre e poi studiare il da farsi. Suo fratello poteva occuparsi di portarle tutte le sue cose dalla casa dove non sarebbe mai più tornata, neanche se lui l’avesse pregata in dieci lingue diverse.
Poi telefonerò a Silvio. Ora, se mi vuole davvero, sono libera. Potremmo cercare casa, a Verbania magari. O in un qualsiasi posto meno noioso di questo.
Decise di accorciare la strada deviando in salita per un tratto di bosco in cui gli alberi erano meno fitti. Ci avrebbe messo meno tempo. Un sasso piuttosto grosso si contrappose fra il tacco della sua scarpa e il terreno facendole perdere l’equilibrio. Cadde male e rotolò per un paio di metri senza riuscire a coordinarsi. Sentì un scrocchio dolorosissimo quando si fermò. Il dolore era insopportabile se solo provava a muoversi. Si era probabilmente rotto qualcosa.
“Diavolo! esclamò.”
Si guardò attorno, sarebbe passato qualcuno prima che facesse buio? Attese qualche minuto poi decise di provare a trascinarsi usando la gamba sana e le braccia. La fine del sentiero non era lontanissima e lassù, sulla strada, le auto passavano spesso. L’impresa si rivelò più difficile del previsto. Ogni tanto doveva fermarsi a respirare tanto era lo sforzo. Il sole stava calando e le fronde degli alberi si agitavano. Improvvisamente sentì un insopprimibile senso di angoscia e il bisogno di urlare.
“AIUTO! AIUTO! NON C’E’ NESSUNO QUI?”
Silenzio assoluto, anche il rumore degli insetti era svanito.
Pensò a Renzo e alla litigata di poco prima. Tutta colpa di quel bastardo.
Tentò ancora. Le braccia le dolevano e riuscì ad avanzare solo di tre o quattro metri. Fra poco sarebbe stato buio. Le parve di sentire rumore di fogliame.
“AIUTO, SONO FERITA. QUALCUNO PUO’ AIUTARMI?”
Stava quasi avendo una crisi quando intravide una figura umana.
“Ah! Meno male che è arrivato lei. Mi devo essere rotta una gamba. Mi aiuta per favore?”
L’espressione supplichevole sul suo viso si contrasse in una smorfia di terrore.
In quel momento il disco solare scomparve completamente dietro la montagna.

10.

La vacanza era proprio finita. Appuntamenti di lavoro importanti richiedevano la sua presenza a Novara e il suo ultimo impegno in paese era riconsegnare le chiavi di casa all’impresa il lunedì mattina, dopodiché sarebbe rincasato per poi tornare solo a lavori ultimati. Anche una parte di amici avevano concluso le vacanze ed erano pronti a tornare a casa. I più vivevano a Verbania, altri a Novara o a Varese. Il sabato di congedo fu così occasione per una sbornia collettiva.
Virginia Bertoldi invece aveva ben altro da pensare mentre parlava con il genero.
“Cosa vuol dire ‘è andata via’?”
“Vuol dire che non abita più qui. Chiaro? Dov’è adesso? Se non lo ha detto a lei che è la madre chi lo deve sapere?”
Poco dopo buttò giù la cornetta in preda all’ansia. Oh, Dio. Devo stare calma come ha detto il cardiologo. Devo stare calma!Non le era mai piaciuto Renzo. Lo diceva che era un menefreghista, un insensibile; e ora ne aveva la conferma. Ma dove poteva essere la sua Alba? Forse da quella sua amica, come si chiamava? Elena. Forse il numero era nell’agenda. Continuò le sue ricerche per un bel pezzo. Un’ora più tardi al Comando dei Carabinieri ricevettero una sua telefonata.
Walter si riprese solo alla fine di una domenica pomeriggio passata con il mal di testa per i cuba libre ingurgitati. Rimase sul letto per parecchio tempo, riaddormentandosi di tanto in tanto. Non si accorse nemmeno dell’arrivo dei due carabinieri giunti per avere chiarimenti da Renzo Righi riguardo la scomparsa della moglie.
La serata al bar si concluse presto e lontano dall’alcool; l’impresa arrivava alle otto e dopo il rientro lo attendeva una giornata di lavoro molto piena. Walter salutò tutti con non poco dispiacere per non poter prolungare la sua villeggiatura. Sapeva però di poter tornare nei weekend ogni qualvolta lo avesse voluto e ritrovare chi a S.Clara viveva tutto l’anno. Come Kris, che lo salutò stringendolo forte a sé.
“Mi raccomando, non sparire. Ok?”
“Come potrei? Tra poco avrò anche una casa qui.”
“Voglio dire che se quando torni non passi da me ti odierò.”
“Non ce ne sarà bisogno. Ti chiamo presto.”
Poco dopo la mezzanotte era già nel letto. La luce del soggiorno della Cinti era ancora accesa. Ella si meravigliò di averlo visto rincasare così presto. Il giorno dopo, vedendo ripartire il suo sospetto assassino di donne ,si sentì più tranquilla. La sua tranquillità però ebbe breve durata.

11.

Claudio Ferri accese l’interruttore dello scantinato e cominciò a scendere la vecchia scaletta in legno, che iniziò a scricchiolare subito e smise solo quando il 46enne taxista fu arrivato in fondo.
Da quando Erika aveva chiesto il divorzio, dopo ventidue anni di convivenza e un figlio in comune, e si erano separati le serate erano così monotone e tristi. Il desiderio di una donna si faceva sempre più forte ma una storia importante sembrava non arrivare mai. Era del resto difficile per uno come lui, chiuso e di poche parole, rimettere in piedi una vita sentimentale con le poche amicizie di cui poteva disporre. Gli annunci matrimoniali gli sembravano così freddi e pieni di sorprese.
Aprì uno dei cassetti del vecchio mobiletto dei genitori. Le vecchie riviste pornografiche impolverate, nascoste quando il suo matrimonio era ancora in piedi, erano lì come ben ricordava, ma il cassetto stentava ad aprirsi. Non riuscendo ad estrarlo completamente provò a sfilare i giornaletti con una mano, ma l’operazione sembrava complicarsi anziché il contrario.
La cosa lo fece irritare al punto di non far caso allo strano e forte odore che stava impregnando la stanza. Perse la calma e diede un ulteriore strattone al cassetto, provocando un’oscillazione del mobile.
Qualcosa cadde dalla cima. Carta da pacchi arrotolata chissà quando finì sulla sua testa e lo costrinse a mangiare parecchia polvere. Ma qualcos’altro si nascondeva nelle pieghe di quell’oggetto. Se ne accorse istintivamente ma non realizzò subito; poi all’improvviso un dolore acuto, una fitta tremenda. Indirizzò i suoi occhi verso la gamba destra. Le chele di uno scorpione rosso addentavano lo stinco dolorante e altre due di quelle bestie, una fuori dalla sua visuale, camminavano sul suo corpo. Proprio quest’ultima lo morsicò alla spalla. Si sentì all’improvviso come se tutto il sangue in lui stesse per prendere fuoco. In pochi attimi le forze lo abbandonarono. Crollò al suolo.
Gli restò per qualche secondo un barlume di conoscenza, ma senza avere energia per rimuovere un altro scorpione che gli zampettava lentamente sulla fronte.

12.

Quando il mattino seguente salutò le zie ancora non poteva sapere nulla degli ultimi avvenimenti. Solo verso sera Kris gli raccontò telefonicamente della sfortunata sorte del suo concittadino e della scomparsa della moglie di Renzo Righi. Nel pomeriggio aveva ricevuto la telefonata del geometra Valenti.
“Da mercoledì può passare dal mio studio a ritirare le chiavi. Domani sera sarà tutto pronto.”
“Bene. mercoledì nel pomeriggio sarò da lei.”
Il giovedì sera chiamo Kris per dirle che nel weekend avrebbe inaugurato la nuova casa. Lei ne fu felice. Sembrava però preoccupata e forse spaventata. Nello spiegare a Walter i motivi di tali apprensioni fu piuttosto enigmatica. Parlava di sensazioni che provava nell’andare in giro per il paese a parlare con la gente, ma anche quando la sera rimaneva in casa, sola. C’erano state altre tre morti: l’omicidio di un uomo a colpi di mattone, il suicidio senza apparenti motivazioni di un bancario buttatosi da una rupe sul Monte Cappuccio e l’annegamento di una donna ritrovata nei pressi della riva del lago. Un concatenamento sconvolgente di destini avversi, con annesso l’incubo di uno o forse più assassini in libertà.
Nel primo caso si era arrivati alla conclusione che si trattasse di omicidio in base alla testimonianza di una donna che, prima di trovare il cadavere di Ennio Perrone, muratore di 51 anni, aveva sentito le invocazioni di aiuto di quest’ultimo. Gli altri due casi sembravano slegati da qualsiasi dinamica omicida. Ora i giornali non parlavano più del killer delle donne ma semplicemente di omicidi senza apparenti motivazioni. Alcuni ragazzi del luogo, due di essi noti anche a Walter, avevano anche organizzato ronde notturne allo scopo di rilevare eventuali stranezze e segnalarle alle autorità, ma le loro ricerche non avevano prodotto il minimo risultato. S.Clara conservava la sua apparenza di cittadina tranquilla, però con un succedersi quasi regolare di situazioni che culminavano verso un destino comune: la morte.
Lo stesso Walter poté verificare di persona la cappa di preoccupazione e diffidenza che aleggiava sulla zona. Fermatosi al bar all’imbocco della strada che conduceva al centro cittadino, si sentì squadrare da capo a piedi con aria sospettosa dal barista e dai pensionati ai tavoli per tutta durata della sua sosta, cosa peraltro singolare in un paese in cui gli abitanti erano abituati alla vista dei forestieri. Per qualche istante si sentì nella situazione di Jessica Tandy in Gli uccelli di Hitchcock quando le anziane signore al ristorante si rivoltano contro di lei mettendo in correlazione la sua presenza con gli ultimi avvenimenti.
Era l’ultimo weekend di agosto e faceva ancora piuttosto caldo. Il numero di turisti era visibilmente diminuito rispetto a quando Walter era tornato a Novara; anche il mercato non era particolarmente affollato. A pranzo con le zie, Enrico, la moglie e i bambini, ebbe modo di conoscere altri particolari sulle ultime vicende. Il cugino infatti aveva tenuto i ritagli di giornale di tutti e tre i casi.
Strano che un rude muratore, alto 1,90 per 90 chili di peso si fosse lasciato spaventare da qualcuno armato semplicemente di un mattone, al punto di urlare per chiedere aiuto. Forse si trattava di più persone. Il caso della donna annegata, Marta Rizzo, era praticamente privo di indizi: mancava da casa da un paio di giorni e non si immaginava da quale punto potesse essere caduta. Non presentava al momento del ritrovamento alcuna ferita sul corpo, solo tanta acqua nei polmoni.
Il caso che gli rimase maggiormente impresso riguardava la morte di Perotti, il bancario: pareva che al momento di mettere in atto il suo folle gesto fosse stato colto da un ripensamento, cosa deducibile dalle ferite alla mano destra per i tagli inferti da un ramo – probabilmente dello stesso alberello che era rovinato con lui al suolo. Nessun problema economico, niente che potesse giustificare un suicidio. E la sorella diceva di non credere a tale ipotesi.

13.

La casa era perfetta, ristrutturata a puntino. Dopo averla ammirata e rimirata come fosse un’opera d’arte accese il portatile con dentro una sua cassetta di brani misti, alzò il volume e si adagiò su una sedia, soddisfatto.
Ecco qual era la prima cosa da portare la volta successiva: un bel divano; c’era un discount del mobile a Groppiano che offriva prezzi veramente bassi. Si occupavano anche del trasporto. Si alzò e aprì il vecchio ma ancora discretamente funzionante frigo Zoppas che le zie gli avevano procurato a costo zero. Da bere c’era solo aranciata. Ne vuotò mezza bottiglia.
Erano quasi le sei quando suonò il campanello. Kris lo salutò abbracciandolo e baciandolo; sembrava particolarmente felice di vederlo. Aveva un aspetto un po’ sbattuto e un’aria piuttosto ansiosa.
“Stai qui anche domani, vero?”
“Sì, ma domani sera rientro. E’ un periodo stressante, però sono soddisfatto, il lavoro al negozio va piuttosto bene. E tu come te la stai passando?”
“Mah. Bene, credo. Solo…c’è tensione in giro, ultimamente. Se ne sentono di tutti i colori: chi dice di sapere chi è il fantomatico killer, chi parla di malocchio collettivo, chi non esce più di casa. Sembra che Santa Clara stia impazzendo.”
“Beh…certo che è una situazione che dà da pensare. Anche nella parentela ho notato molta apprensione, soprattutto in Enrico verso i figli: non li ha persi di vista neanche un attimo mentre giocavano nel prato. Comunque si tratta di fatti diversi tra loro e, a parte gli omicidi, per il resto sono solo coincidenze sfortunate.”
“Molta gente in paese non la pensa così. Sembra che anche in quelle che tu chiami coincidenze ci sia qualcosa che sfugge; qualcosa di troppo….sfortunato.”
Cenarono insieme e verso le undici si mossero verso il bar. Walter aveva voglia di una passeggiata, ma Kris insistette per prendere l’auto. Anche la solita allegria degli amici sembrava essersi ridimensionata. Vero è che rispetto ad agosto era diminuito anche il numero di persone del gruppo. Sonia e Claudio erano in vacanza a Parigi e Lucio con Miriam era in Liguria a passare il week-end. Aldo era tornato a Verbania e Beppe era in vacanza a Tenerife. La serata fu piacevole, ma senza grossi scossoni. Sembrava che ognuno avesse qualcosa di più importante da pensare che da dire. Nessuno pronunciò una parola sui fatti ben noti e Walter preferì non violare la reticenza degli amici. L’unica eccezione fu il consueto delirio di Martino, nemmeno troppo sbeffeggiato nella situazione.
“Allora! Come siamo silenziosi stasera. Visto che non dicevo stronzate? E questo è solo l’inizio, vedrete in seguito.”
“Intanto vedi di non buttarmi il vino addosso” rispose quasi arrabbiato Sandro, il cugino di Aldo.
Di solito, quando Walter accompagnava Kris a casa rimanevano a parlare un po’ davanti all’uscio. Quella sera lei gli chiese senza troppi giri di parole di rimanere a dormire in sua compagnia.
“Non è come le altre volte, credimi, non è per quello che pensi. E’ che…dopo tutte queste storie…non mi piace dormire sola. Sarò stupida, ma mi sta tornando la paura del buio come quando ero piccola. Una volta tanto che ci sei tu a farmi compagnia…”
“Okay, solo che volevo inaugurare la casa rimessa a nuovo. Perché non dormiamo da me? Sei già qui, prendi quello che ti serve e andiamo.”
Le tornò la serenità sul volto.
“Faccio in un minuto, prendo due cose e arrivo.”
Tirarono su le coperte fra i cigolii del vecchio letto matrimoniale, nella camera con l’arredamento ancora da completare. Mentre Walter sceglieva l’intensità della luce dal nuovo interruttore regolabile, lei lo guardò con aria riconoscente.
“Grazie per avermi fatto contenta.”
“Figurati, non dovresti drammatizzare però. D’accordo che forse c’è un pazzo che si aggira per Santa Clara, ma basterebbe far installare un impianto d’allarme. Non costano poi così tanto e per una donna che vive sola può fare sempre comodo.”
“Sì, hai ragione. In effetti la causa delle mie paure è proprio questa. Sai, un paio di notti mi sono svegliata con l’impressione che qualcuno fosse in casa. Probabilmente stavo solo sognando perché non ho sentito rumori, ma la prima volta soprattutto ho avuto un’impressione così…netta che per non so quanto sono rimasta irrigidita nel letto, senza muovermi, come bloccata. Poi, quasi all’improvviso, la paura è passata. E sai la cosa strana? Anche a mia sorella la notte scorsa è successa la stessa cosa. Forse siamo solo tutti un po’ ipertesi, in paese.”
“E’ anche comprensibile, sta succedendo di tutto qui.” La strinse a sé e sentì i suoi muscoli rilassarsi. Dormirono abbracciati teneramente tutta la notte senza che nulla potesse svegliarli.
L’indomani Kris lo aiutò a sistemare alcune cose, poi verso sera lui la accompagnò a casa e si salutarono.
“Allora, ci vediamo venerdì sera, o alla peggio sabato. Mi raccomando, fai come ti ho detto. Chiama quella ditta per l’allarme, almeno per sapere quanto ti costa.”
“Okay, ma tu telefonami ogni tanto, non ti fai più sentire.”
“Promesso.”
Cenò a casa di Enrico e verso le dieci si mise in viaggio verso Novara ripensando all’impressione che gli aveva lasciato quello strano fine settimana.

14.

“Signori, adesso devo proprio chiudere” disse il gestore dell’Osteria della Santa.
Fulvio De Stefanis guardò l’orologio cercando di coordinare le pupille annebbiate e capì che non era il caso di insistere oltre. Erano già passati venti minuti dall’orario di chiusura. Ingoiò in un sorso l’ultimo bicchiere di Barbera insieme al suo amico Sergio Ravero, l’unico rimasto a tenergli compagnia..Insieme si alzarono dal tavolo per uscire. Restarono un po’ davanti alla saracinesca chiusa, parlando in pratica di niente, poi, molto lentamente, si diressero verso due opposte direzioni. Ravero procedeva zigzagando, Di Stefano faceva due passi al minuto. Poco dopo si appoggiò al parapetto di protezione sul Calendro. Dopo un paio di minuti riuscì a trovare il pacchetto di sigarette in una tasca della giacca, e dopo altrettanti riuscì ad accendersela. Le boccate che tirava avevano uno strano sapore.
Una bella sigaretta in riva al fiume e poi vado a letto felice. C’è anche un bel venticello.
In fondo la vita non era poi così male. Bastava qualche bicchiere di vino e tutto diventava più roseo. Che importava se suo figlio, dichiaratosi omosessuale, se ne era andato a vivere a Torino per lavorare in un gay club. All’inizio, quando la cosa si era saputa in paese, aveva provato un certo disappunto. Tutti quei commenti a voce bassa, le barzellette dei colleghi: Un finocchio entra in un bar e chiede al barista…
Ma sì! Al diavolo. Che fosse pure omosessuale, omosessuale ma felice. Era sempre suo figlio, no? E sua moglie? Sì, rompeva un po’, ma in fin dei conti bastavano due urli ogni tanto quando esagerava. Se solo lei avesse avuto ancora il fisico di una volta…Che fisico aveva una volta! Adesso se ne stava cadendo tutto. Una donna con un corpo ancora asciutto, ecco cosa lo avrebbe fatto ancora felice. Come quella cassiera a Groppiano. Bella, imponente, soda.
Nell’acqua si era formato una specie di gorgo. Cosa c’era là sotto? Sì, era una figura di donna. Ed era…no, non era possibile…Era nuda. Giovane, bella e completamente nuda.
No, non può essere. Ho davvero bevuto troppo, ho le allucinazioni.
Stropicciò gli occhi e poi guardò di nuovo. Eppure…si, la vedeva. Era sicuramente un’allucinazione, non ne aveva mai avute prima. Sembrava che l’acqua le passasse attraverso il corpo. O che il corpo fosse trasparente. Stava convincendosi che ciò che vedeva non fosse affatto vero quando lei gli fece cenno di raggiungerla. Si sporse ancora in avanti sul parapetto. Gli pareva anche di percepirne la voce.
Vieni…seguimi…è così bello qua sotto…
Il gorgo lentamente si innalzò e il movimento dell’acqua aumentò furiosamente.
Non è possibile.
Pochi istanti dopo la strada era deserta.

15.

Erano circa le 10,30 di mercoledì 31 agosto quando uscì dal negozio per il solito caffè al solito bar. Nello sbirciare distrattamente il Corriere notò un breve trafiletto che introduceva alla pagina otto. L’articolo intitolato, Un paese a rischio?, riguardava proprio Santa Clara ed i suoi lutti.
Quando una tranquilla cittadina di montagna subisce un trauma come la morte di un membro della comunità, l’emozione è sicuramente molto forte, non solo per parenti e amici, ma per tutti i concittadini in quanto vi si trovano un affratellamento ed una compattezza maggiori rispetto alle grandi città. Nel caso di Santa Clara il destino sembra voler mettere a dura prova la capacità di reazione dei suoi abitanti. Tre omicidi, due sparizioni, un apparente suicidio e tre morti accidentali. Tutto ciò in meno di un mese è davvero troppo per un piccolo comune del Verbano. E’ tutto frutto del caso? Quali collegamenti si possono fare tra casistiche così dissimili tra loro? Esiste un mostro a Santa Clara o il destino ha voluto concentrare nello stesso periodo tutte le sfortune di una città che da sempre non fa parlare di sé nelle cronache, se non per qualche festa dell’uva o del cinghiale? leggeva Walter, pensando a quanto fosse rilevante il fatto che un giornale nazionale desse tanto risalto a quanto successo di recente.
Dopo pranzo chiamò Kris per parlare un po’ con lei.
“Mi sembri giù. Qualcosa non va?”
“Te l’ho detto, c’è un clima strano qui, te ne sarai accorto.”
“Sì, capisco, ma perché non dormi la notte?”
“Non è che non dormo. Mi addormento poi dopo un po’ mi sveglio pensando che sono sola in casa, e che magari fuori c’è un assassino.”
“Ma hai visto qualcosa di strano nei dintorni?”
“No, solo…ieri sono uscita in giardino e c’era un odore…strano. Molto forte. Lo sento sempre più spesso, alla sera.
“Un odore? Di che tipo?”
“Non lo so, non ne ho idea. Magari è solo qualcuno che cucina qualcosa.”
O che brucia qualcosa pensò Walter, con davanti agli occhi l’immagine della colonna di fumo vista a casa di Lucio e rivista più volte.
Cercò di distrarla e, al termine della telefonata, ebbe l’impressione di averle un po’ risollevato il morale.
Durante la settimana fece in modo di poter partire il venerdì sera. Arrivò a Santa Clara verso le nove e mezza, appena in tempo per sistemarsi e raggiungere i ragazzi al bar. Qui consumò la sua cena: un panino con prosciutto e formaggio e un cestino con bocconi di pizza, che divise con gli altri.
“Domani volevo fare un piccolo ritrovo per festeggiare la casa nuova, un aperitivo, poi magari andiamo a mangiare fuori. A meno che non vogliate che cucini io. Ma ve lo sconsiglio.”
“E’ un rischio che non possiamo correre” ironizzò Enzo.
“Ho letto” intervenne a un certo punto Carletto, il più giovane della compagnia “che a Cavigliano, dopo il confine verso Locarno, hanno trovato in un cimitero tracce che fanno pensare a una setta satanica che celebra messe nere. Hanno trovato anche un cadavere bruciato irriconoscibile. Si firmano con un nome in latino che adesso non ricordo. Magari sono un branco di esaltati che si sono persi in una follia omicida. Potrebbero anche essere loro ad aver provocato tutte queste morti. In America succedono spesso queste cose. Non mi meraviglierei che cominciassero a capitarne anche qui.”
“E perché proprio a Santa Clara?”
“Mah, forse perché è un po’ il centro religioso della zona. Potrebbe essere, no?”
“E i suicidi, allora? Li hanno convinti ad amazzarsi?”
“Magari erano affiliati della setta. Non so, è un idea come un’altra.”
“Boh, a questo punto tutto può essere.”
“Assassinati da una congrega di satanisti svizzeri impazziti. Che fine del cazzo!” concluse ironicamente Marione. Ma nessuno rise.

(4-CONTINUA)