ostaggian.jpgdi Giuseppe Genna
“Finisce un incubo italiano, rischia di incominciarne un altro”. L’incipit dell’editoriale di Ezio Mauro, direttore di Repubblica, farebbe ben sperare. L’incubo che finisce, si dice uno, è quello degli ostaggi liberati in Iraq; l’incubo che incomincia, continua a dirsi quell’uno, è l’esplosione mediatica e l’indegna speculazione politica relative a tale liberazione. Uno fa male a ben sperare: Ezio Mauro, infatti, scambia un incubo per un altro. Ecco quello che intende dire: “Nel giorno della liberazione degli ostaggi, che sono vivi, e tornano finalmente dalle loro famiglie, il Paese deve fare ancora una volta i conti con il terrorismo interno, pronto a manifestarsi a quattro giorni dal voto europeo. Una bomba esplosa ieri sera a Bologna, sotto il palco del comizio del vicepresidente del Consiglio Fini, riapre una stagione buia e terribile di sfida alla democrazia, con sei feriti e la democrazia come bersaglio”. Ah, la bomba carta contro Fini, a Bologna.

Poi Mauro si riprende e spara le sue contro il vergognoso processo di appropriazione elettorale dei corpi viventi degli ex ostaggi. Ma è tardi. Ha già detto troppo. Troppo, ma non tutto. Nell’ombra resta l’autentica connessione che lega la questione degli ostaggi alla bombacarta di Bologna.
Quando si osserva che l’ordigno a Bologna è un attacco alla democrazia, bisogna chiedersi anzitutto di quale democrazia stiamo parlando. Stiamo parlando della democrazia trasfigurata da un governo che ha in spregio la libera circolazione di idee, una compagine politica che tiene in mano il Paese contando sul peggio del reazionariato che l’Europa abbia espresso insieme a Le Pen e Haider, una combriccola di gente che è a processo per vari latrocini e insulti, dal premier all’attuale ministro delle Riforme postcomatoso. Stiamo parlando di una democrazia a più riprese insultata dal ministro della Giustizia, che ha toccato il nervo scoperto dell’uscita dagli Anni di Piombo con la grazia di un pachiderma a Murano, uno che non si vergogna a farsi vedere mentre salta con giovani ipoteticamente padani e insulta l’istituzione Paese che dovrebbe rappresentare. Parliamo di una democrazia frustrata nella sua quintessenziale manifestazione di rappresentanza delle minoranze, sia in televisione sia sulla stampa. Una democrazia trascinata fuori dalle sue sedi e ricollocata in una villetta brianzola sul litorale olbiense, con tanto di amfiteatro greco emulato fallimentarmente, con feste di Stato a cui partecipano residuati bellici da night, con bunker antinucleari sbattuti in faccia agli italiani in tempi di terrore indotto. Ci riferiamo a una democrazia in cui maturano commissioni governative come quella Mitrokhin o Telekom Serbia, pensate e realizzate per sputtanare sul piano personale gli avversari politici, in assenza di ogni prova probante e in presenza di complotti gestiti direttamente da deputati di area governativa. Una democrazia in cui si dà la stura alle più becere libidini dei parùn de la melunera e in cui si flessibilizza il lavoro, distruggendo una summa epocale di diritti che con fatica furono acquisiti con cent’anni di lotte sociali. La medesima democrazia che si vede mutilata del diritto comune a un’eguale istruzione di eccellenza. Una democrazia che non ripudia la guerra, ma la pratica in maniera ipocrita e criminale, trascinando il Paese in un’avventura bellica che esso non desidera, nonostante milioni di suoi cittadini scendano a più riprese in piazza a urlare il loro sdegno. La stessa democrazia che ha in eredi diretti del fascismo alcuni dei suoi più alti rappresentanti istituzionali.
Ecco, dunque, la democrazia esasperante a cui Berlusconi e la sua ghenga hanno costretto gli italiani. Il che, sia chiaro, non giustifica in nulla che alcuni aspiranti assassini vadano a mettere una bombacarta sotto il palco di un comizio. Però, in sede di analisi, bisogna tentare di comprendere le cause di una simile deriva, di una patologia che da qualche anno sembra essere costantemente agli esordi. I gesti che hanno alta rilevanza sociale non nascono né crescono dal nulla e nel nulla. L’esasperazione del clima politico, gli interventi inauditi del premier e dei suoi ministri, l’aver valicato con nonchalance la soglia del garbo espressivo e istituzionale, l’avere inscenato performance allucinanti in ogni parte del globo in nome dell’Italia tutta, l’avere occupato e censurato tutto l’occupabile e tutto il non censurabile – sono atti che scatenano, secondo le leggi di retroazione, quegli incubi che il direttore di Repubblica paventa.
La vicenda della liberazione degli ostaggi è l’apice e il sunto di questa esasperazione climatica a cui viene sottoposta da anni la collettività italiana. Ascoltare per ore, in ogni tg e trasmissione in diretta, il premier che sta trasvolando sull’oceano verso l’America e telefona per attribuirsi i meriti con voracità speculativa, per appropriarsi dell’evento e commutarlo in voti – questo è esasperante. A 24 ore dalla liberazione, le dichiarazioni di un ministro della Repubblica, Maurizio Gasparri, che rivendica ad Alleanza Nazionale l’appartenenza politica di uno degli ostaggi – questo è già l’incubo che spaventa Ezio Mauro. Utilizzare gli ostaggi come carota per spronare alla cabina elettorale il cavallino del pubblico scemo – questa è la drammatica realtà che si veste di comico, come all’acme di ogni tragedia si sperimenta l’abisso del grottesco.
La tragedia nazionale non è dunque la bombacarta di Bologna: quell’ordigno costituisce un sintomo che manifesta una precisa eziologia. Se la mamma dei cretini è sempre incinta, non lo stesso dicasi per quella dei terroristi: ci vuole qualcuno che la insemini e da noi, oggi, purtroppo l’inseminatore sta al governo.