di Giorgio Boatti

andareairestiT.jpgQuello che Emilio
Quadrelli va a raccontare
in Andare
ai resti. Banditi, rapinatori,
guerriglieri
nell’Italia degli anni Settanta

è una storia di barbari. Non di
un’invasione barbarica, ma di
un’irruzione di barbari. E’ il racconto
delle vicende di un ribellismo
violento e illegale, spesso a
connotazione proletaria e con
qualche trascorsa esperienza
nelle organizzazioni della sinistra
tradizionale o extraparlamentare,
che esplode in quella
terra di nessuno, affilata come
una lama, che si pone tra le
«working classes» e le «criminal
classes» (per usare un lessico da
vittoriani). I nuovi barbari di cui
parla Quadrelli sono nettamente
estranei alla criminalità tradizionale,
e, la loro, costituisce «una
storia anomala e inconsueta le
cui tracce non è sempre facile
trovare. Un’anomalia barbara…
».
«A differenza del selvaggio,
continuamente vezzeggiato e
corteggiato da schiere di pensatori
e filosofi, il barbaro –
ricorda Quadrelli – è figura
perennemente rimossa e posta
in ombra. La sua comparsa è
sinonimo di distruzione, inciviltà,
rapina e saccheggio…».

Irrompono queste gang giovanili
nelle grandi metropoli
del triangolo industriale e nel
giro di brevissimo tempo si
trasformano in temibili «batterie» di rapinatori che vanno
all’assalto di quel che resta del
boom economico italiano. Decisi
a ritagliarsi, col salto del
bancone e la razzia del contante
dietro gli sportelli, la loro
parte di bottino di un benessere
da cui si sentono esclusi.
Ma, il loro agire – come
emerge dalle decine di interviste
riportate (asciutte testimonianze
di azioni spesso cruente
e con uno strascico di
sangue innocente) – non ha,
come obiettivo centrale, l’arricchimento
immediato e illegale.
Finalità che, invece, costituisce
il motivo conduttore
dei tradizionali «duristi» ( vale
a dire i professionisti della
rapina) che «stanno sul ciocco
» (ovvero entrano in azione).
I nuovi barbari di cui si sta
parlando amano, al contrario,
«andare ai resti»: ovvero giocare
il tutto per tutto, a cominciare
dalla vita stessa, in una
sfida di totale belligeranza
esplicitamente dichiarata verso
la società così come è
organizzata. A cominciare dalle
forze dell’ordine.
E’ forse questo l’aspetto che
immediatamente distingue le
«nuove batterie» di rapinatori
dalla malavita tradizionale.
Assieme al fatto che, spesso, i
protagonisti di questo nuovo
ribellismo, continuano a conservare
rapporti di frequentazione
e consuetudine con gli
ambienti e i quartieri da cui
provengono: «Noi facevano rapine,
loro andavano a lavorare,
noi eravamo ricercati o in
bandiera e loro no… Un certo
legame c’è sempre stato e
negli anni non è mai venuto
meno. Eravamo tutta gente
della stessa zona e avevamo
molte cose in comune».
Quando i primi banditi vengono
arrestati e arrivano nelle
carceri il confronto delle differenze
che emergono con la
malavita tradizionale non potrebbe
risultate più netto: «Loro
avevano paura degli sbirri –
dice uno delle nuove batterie –
e noi no. Allora in carcere se
dovevi cioccare invece di tagliarti
mettevi su un barricamento,
se uno aveva dei problemi
invece di mangiarsi i
chiodi saliva sui tetti. Se le
cose non andavano mettevi su
una rivolta. Ecco, per noi tra
dentro e fuori non c’era differenza.
Questo ha fatto cambiare
il carcere».
Il cambiamento risulta immediatamente
percepibile, sia
agli occhi dei boss della mala
tradizionale sia nell’osservazione
dei più sperimentati sottufficiali
della polizia penitenziaria.
Il mondo della criminalità
tradizionale è stato sempre,
ben più di quanto si
supponga, un mondo tutt’altro
che disordinato. Anzi, un mondo
in cui ci deve essere un
posto per ogni cosa e una cosa
per ogni posto: ossessivamente.
Questi nuovi arrivati – stando
alla testimonianza di un
vecchio boss – colpiscono per
«la mancanza, nel loro modo
di agire e di pensare, del senso
delle gerarchie. Tra di loro
non c’era nessuno che comandava
o che contava di più di
un altro. Con loro non potevi
neppure scendere a patti, perché
nella loro mentalità non
c’era la volontà di prendere il
tuo posto. A loro piaceva solo
andare in giro a rapinare,
sparare, combinare bordelli.
Mi facevano venire in mente –
conclude “l’uomo d’onore” – i
barbari che avevano distrutto
l’impero romano e pensavano
solo a saccheggiare».
Spiazzato anche il sottufficiale
della penitenziaria che
rammenta gli inizi di quella
fase, le prime entrate in carcere
dei nuovi banditi: «Non ci
voleva molto a capire che
questi ci avrebbero dato un
sacco di problemi… Mi ricordo
di gente che è evasa con
neanche sei mesi da fare. Questo
dà un’idea di come ragionassero…».
E infatti i «nuovi banditi»
arrivati nelle carceri sono protagonisti
di un radicale cambiamento
che il libro di Quadrelli
descrive con ampiezza e
profondità. I rapporti con i
detenuti politici, le rivolte,
l’istituzione delle carceri speciali,
la brutalità del sistema
repressivo che – gestito dall’
istituzione o delegato ai boss –
colpisce tutti coloro che non
accettano le consolidate gerarchie
e le regole. E poi la
stagione dei killers degli speciali,
il dominio totalitario
della nuova camorra organizzata,
la follia sanguinaria in
cui tutti sono nemici di tutti.
Ci sono pagine di violenze, e
soprusi, che fanno pensare
alle immagini di questi giorni
e rimarcano come il dominare
sia sempre anche padroneggiare
corpi. E poi c’è uno stravolgente
soffermarsi, in questo
libro, sul lato femminile
dell’«andare ai resti» – le capobanda,
le dure e le «pazze» –
che finisce poi, una volta represso
e incarcerato, col far
emergere la brutalità che ha
regnato anche nelle galere femminili.
Ultimo dato di fondamentale
interesse è il confronto,
fatto dai ragazzi delle «batterie
» di allora, con la realtà
carceraria di oggi. Ovvero «il
delirio dei carceri giudiziari di
oggi» – come dice un veterano
– «un carcere dove è evaporata
ogni idea di appartenenza e di
identità collettiva. Dove chi
sta un po’ più in alto schiaccia
chi sta in basso e guarda con
rispetto chi sta sopra». Proprio
come nella vita di ogni
giorno fuori. Solo che dietro le
sbarre, il basso e l’alto, si
misurano in brutale violenza,
nell’esercizio della forza e della
più selvaggia sopraffazione.
Insomma, dai nuovi barbari ai
nuovi selvaggi. Così, pare, funzioni
la ruota della civiltà.
[da ttL, supplemento de ‘La Stampa’]

Emilio Quadrelli – Andare ai resti. Banditi, rapinatori, guerriglieri nell’Italia degli anni Settanta – DeriveApprodi – 17.50 euro