di Valerio Evangelisti

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Nel numero di novembre del mensile Tutto Musica è apparsa un’intervista che Valerio Evangelisti ha fatto a Chuck Palahniuk, nel corso della visita in Italia effettuata dallo scrittore americano per il lancio del suo romanzo Ninna Nanna (Mondadori Strade Blu, € 15,00). La riproduciamo nella sua integrità, inclusi i brevi passaggi omessi da Tutto Musica per ragioni redazionali.

Avere a che fare con uno scrittore idolatrato da masse di giovani, in Italia e nel mondo, può essere meno difficile di quanto si pensi. Quando Chuk Palahniuk arriva nel bar in cui lo sto aspettando, non attende nemmeno la fine delle presentazioni per bombardarmi con una raffica di domande sul culto di Mithra. Gli hanno detto che mi interesso di antiche religioni: a quanto pare il tema lo appassiona.

In realtà dovrei essere io a intervistarlo per conto di Tutto Musica. L’argomento è l’ultimo romanzo di Pahlaniuk tradotto in Italia e fresco di stampa: Ninna Nanna (Mondadori, Strade Blu, 278 pp., € 15,00). Reduce da un viaggio all’estero, l’ho divorato in mattinata. E’ la prima volta che mi capita di leggere un romanzo intero in una sola mattina, per di più con appena quattro ore di sonno alle spalle.
Ninna nanna narra di una filastrocca apparentemente innocua, finita per caso in un’antologia, che possiede un potere inquietante: far morire le persone contro cui è recitata con intenzione. Il primo ad accorgersene è un giornalista, che indaga sulla morte di alcuni bambini. A lui si unisce una stranissima compagnia, formata da una venditrice di immobili infestati da spettri, da un’apprendista strega e da un bizzarro truffatore. I quattro si mettono in viaggio per gli Stati Uniti alla ricerca delle copie dell’antologia…
Questo abbozzo di trama, simile a quello della bandella di copertina, non dà che un’idea molto vaga di ciò che sia il romanzo. Dopo pochi capitoli di taglio realistico, si precipita in un mondo totalmente assurdo. I connotati sono quelli del delirio: dati concreti di fondo, ma amplificati a dismisura, fino a creare un universo in cui la regola è l’eccesso. Non è surrealismo; piuttosto è iperrealismo, condito da simbologie più o meno nascoste che alludono alla follia di un intero sistema, di vita e di potere. Leggendo mi tornavano in mente Ubik di Philip K. Dick, certe pagine di Vonnegut, le immagini di Natural Born Killers di Oliver Stone. Ninna nanna è però qualcosa di diverso: un libro complesso, difficile da decifrare malgrado la semplicità apparente.
Provo a farlo con Palahniuk. Gli chiedo perché, nelle pagine finali del romanzo, sia tornato su una tematica già accennata in Fight Club e centrale in Invisible Monsters: quello del cambiamento di sesso attraverso la trasformazione di un intero corpo, in Ninna Nanna attuata tramite possessione (quella che i cabalisti chiamavano dibbuq; ma non glielo dico, per schivare altre domande sulle antiche religioni). E’ una sua ossessione personale o il simbolo di qualcos’altro?
Pahlaniuk mi risponde che il mutamento di sesso corrisponde, nella sua narrativa, a una perdita o a un’acquisizione di potere. Nello specifico, in Ninna Nanna l’impossessarsi da parte di una donna di un corpo maschile vuole dire acquisizione di una capacità di comando sia pratica che metafisica, in sintonia con il folle percorso “teologico” che attraversa tutto il libro (che narra, in fondo, del sorgere di nuovi demiurghi). L’inverso di quanto accadeva in Invisible Monsters, dove la protagonista trasformava in femmina il suo ragazzo per togliergli potere. In sintesi, in Pahlaniuk la tematica maschio / femmina riflette le oscillazioni del comando, che però, nel primo termine dell’antitesi, equivale a dare morte e non vita. Di qui il facile riferimento (facile a chi sappia dipanarsi in un intrico di simboli; e qui il pensiero mi corre alla miseria di certi nostri recensori) all’attuale assetto politico statunitense, che però Pahlaniuk inquadra in una tendenza necrofila di portata quasi cosmica.
Mi chiedo, e gli chiedo, a quale tipo di pubblico Palahniuk si rivolga: parecchi lettori e moltissimi critici saranno incantati dalla suspense di Ninna Nanna e non sapranno leggerne i significati. Lui mi risponde, prevedibilmente, che scrive ciò che si sente, poi chi ha orecchie per intendere intenda. D’accordo, non fa una piega.
Mi ha colpito molto che nel romanzo siano amplificati fino all’esasperazione i piccoli fastidi quotidiani, dal chiasso dei vicini di casa al chiacchiericcio vacuo dei mezzi di comunicazione. A un certo punto del romanzo, con due battute secondo me memorabili, Palahniuk parla degli Stati Uniti come di paese “assediato dalle idee”. Mio dubbio: si tratta davvero di “idee” o non piuttosto di rumori di fondo? Lo scrittore mi risponde che sono idee ridotte a rumori assordanti dal dispotismo mediatico (è qui che mi viene in mente Natural Born Killers; ma anche Fame americana di Richard Wright, in cui si parla di un paese sommerso dalla “robaccia”); l’antitesi rumore / silenzio può essere equiparata a quella maschio / femmina, quale rappresentazione simbolica del potere e della sua vastità.
In effetti, penso, Palahniuk lo ripete in tutto il libro. Cresce in me lo scandalo per una recensione di Ninna Nanna apparsa su Alias (il supplemento del sabato de Il manifesto), peraltro firmata da uno scrittore di enorme talento. Vi si diceva che Pahlaniuk adotta uno stile tipicamente “americano”, cioè da bestseller (frasi brevi e incalzanti), al servizio di una sostanziale povertà di idee. E’ vero il contrario: Pahlaniuk sa sintetizzare in due battute concetti smisurati, in un quadro tematico vertiginoso.
Gli chiedo, in perfetta contrapposizione ad Alias, quale lavoro stia dietro le sue capacità di stilista. Un lavoro molto duro, mi risponde Palahniuk. Si tratta di creare gli “effetti speciali” e poi di nasconderli. Di “asciugare” un paragrafo di tutto il superfluo, in modo che alla fine contenga concetti e non orpelli. Il lettore distratto volerà di brano in brano, senza annoiarsi. Quello attento percepirà i meccanismi nascosti (qui penso al cinema di Hitchcock, tanto semplice all’apparenza quanto complesso nella sostanza).
L’intervista sta volgendo al termine, ed è un gran peccato. Mi sono riservato per il finale le domande più maliziose. Anzitutto se Palahniuk si rende conto di suscitare in certi lettori, con i suoi romanzi, i sentimenti più perversi (io ho una dirimpettaia che mi assorda con chitarra elettrica e amplificatore: tante volte ho sognato di conoscere una formula magica, magari una ninna nanna, capace di ucciderla). E poi perché Palahniuk stesso non si decide a organizzare l’élite dei suoi lettori, capaci di decifrare la simbologia che propone, in un Fight Club. Quando lessi il libro omonimo, e poi vidi il bel film di David Fincher che ne fu tratto, desiderai iscrivermi alla sezione più vicina.
Pahlaniuk si mette a ridere. I suoi problemi sono analoghi ai miei: l’idea di Ninna Nanna gli è nata da una vicina di casa che, con uno stereo tenuto a tutto volume, gli impediva di ascoltare musica. Lui però non se la sente di mettersi alla testa delle masse degli scontenti. Gli basta che lo capiscano e che riflettano sui concetti che espone, se riescono a decifrarli.
Il tempo dell’intervista è finito, purtroppo, e Palahniuk se ne va verso il duplice destino che lo attende. Quello bello: il bagno di folla tra i suoi lettori, tutti giovanissimi. Quello che più teme: una cena con un’anziana americanista che lui giudica inquietante, incaricata di presentarlo sulle piazze italiane. Alla cena parteciperò anch’io, a debita distanza: certo non per evitare Palahniuk, che mi ha completamente sedotto, quanto per tenermi alla larga dall’americanista e dai suoi fans muniti di chitarra.
Destino paradossale, quello di Pahlaniuk, venuto a presentare un libro il cui bersaglio sono i rumori di fondo: deve sorbirsi un De Andrè massacrato e una terrificante versione di Cielito Lindo. Ma la sua tempra di grande scrittore riluce persino nello stoicismo con cui si sottopone alla tortura. Ho avuto però l’impressione che cercasse di richiamare alla mente una certa cantilena…