di Biagio M. Catalano

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Giunti a metà dell’analisi di Biagio M. Catalano sul compendio di “storia universale” redatto da Rino Cammilleri e intitolato Fregati dalla scuola – Breve guida di liberazione ad uso degli studenti (da affiancare al normale manuale scolastico di storia), reperibile on line, abbiamo deciso di pubblicare a parte i passi cammilleriani riferiti al Medioevo e il loro commento. Ciò perché siamo di fronte a una sintesi di storia medioevale degna di un Le Goff, e della considerazione che si riserva a opere a loro modo uniche e irripetibili. Per un verso o per l’altro.
Dunque la “cultura di destra” cara a Marcello dell’Utri esiste, esclameranno alcuni. Certo che esiste: eccone un buon esempio.

Nascita del Medioevo
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Senza le legioni a garantire l’ordine pubblico e a tenere a bada i barbari che premevano ai confini l’Europa sprofondò nel caos. Proprio da questo caos nacque, in modo del tutto naturale, quello che chiamiamo con termine improprio Medioevo (infatti sarebbe più appropriato chiamarlo Cristianità).

> E qui concordiamo; il Medioevo fu il frutto di uno svolgersi di eventi naturali, la cui “naturalità” fu inizializzata dalla fine della struttura militare romana…

In una situazione di estrema insicurezza è istintivo cercare di mettersi sotto la protezione di un potente.

> A parer mio, piuttosto questo atteggiamento direi tipico delle società omertose, è proprio dei pavidi, dei clienti e dei personaggi privi di personalità.


Facciamo un esempio. Orde di banditi infestano le strade, quasi non posso nemmeno uscire ed ho tre figlie femmine da proteggere. Dall’altra parte del fiume c’è uno che ha sei figli maschi, giovani e forti; in più ha denaro, terra e armi. I banditi si guardano bene dall’attaccarlo. Allora gli chiedo protezione, dò le mie figlie in mogli ai suoi figli più grandi e mi dichiaro pronto a intervenire al suo fianco in caso di bisogno. Ecco nato il patto feudale,

> No: ecco nato il clientelismo, nel quale le persone (soprattutto quelle stesse donne di cui in altri contesti Cammilleri fa il “difensore”) sono vieppiù merce di scambio.

con l’ “omaggio” (che vuol dire “io sono uno dei tuoi uomini”) e lo scambio di protezione contro fedeltà. La parola “feudo” viene dal latino fides, che vuol dire appunto “fedeltà”, “affidamento”. Altri vicini seguono il mio esempio e, qaundo siamo in numero cospicuo, chiamiamo il nostro signore “barone” o “conte” (comitis = compagno; del re, in questo caso) e lo aiutiamo a costruire un castello fortificato. In esso ci trincereremo in caso di attacco. Il signore dovrà governarci, cioè dirimere le nostre controversie e difenderci. Egli, con tutti noi, suoi uomini, a sua volta ha giurato fedeltà a uno più potente, e così via. In cima ci sarà il re. Ecco creata una struttura politica dal basso, basata solo sulla parola data. Infatti nel Medioevo l’insulto più sanguinoso era “fellone”, cioè spergiuro. Sembra incredibile come un’intera società abbia potuto crearsi e durare mille anni sul solo fragile legame del giuramento.

> Non tanto incredibile, considerato il livello di creduloneria di un’epoca del genere.

Eppure è così. E’ un po’ quel che accade oggi nelle organizzazioni criminali di tipo mafioso: se ti rubano la macchina (non solo in certi centri siciliani, ma anche in Giappone, o nel Bronx) tu sai che se ti rivolgi alla polizia difficilmente rivedrai la tua auto. Ma se ti rivolgi al boss locale la riavrai la sera stessa e vedrai il ladro circolare con un occhio nero, se non peggio. Ovviamente quando il boss in questione avrà bisogno che tu gli ricambi il favore non potrai tirarti indietro.

> Non mi è chiaro se per qualche oscuro motivo si tenta di fare un’esegesi della mafia, o se si tratta ancora di banale autolesionismo.

Bene, si immagini un sistema del genere, però legale e addirittura istituzionalizzato per necessità. Certo poteva degenerare, ma qui intervenne la Chiesa. Infatti gli uomini di Chiesa erano gli unici ad aver conservato un minimo di organizzazione in mezzo allo sfacelo generale.

> Quindi, dato che poco fa abbiamo detto che c’era ordine nel sistema feudale, mentre ora il nostro parla di sfacelo introducendo la chiesa come unica organizzazione fondata su principii d’ordine, dovremmo concluderne che essa sia il background precursivo delle associazioni di spampo mafioso?

Essi sapevano leggere, I sapevano parlare in pubblico, sapevano stilare un atto giuridico e conoscevano le antiche leggi. In più erano disciplinati e provvisti dell’autorevolezza necessaria. Nei loro monasteri avevano conservato e salvato, copiando e ricopiando, tutta la sapienza, la cultura, i documenti del tempo in cui il mondo era civile e prospero.

> Tutto ciò non è semplicemente un traviamento della realtà fattuale: è soprattutto disonestà intellettuale, ben intuita dietro quel “del tempo in cui il mondo era civile e prospero” (ovvero al tempo dei romani).

I barbari, che restavano stupiti davanti ai palazzi romani in pietra e marmo, le statue, le terme, i teatri, capivano che conveniva loro farsi insegnare le regole di una civiltà immensamente superiore.

> Infatti, a differenza dei cristiani, conservarono i palazzi dell’Urbe.

(!SNIP!)

Re, regine e cavalieri
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Il re medievale aveva autorità, non potere. Esempio: mio padre è anziano e più bassino di me, ma gli obbedisco perché è mio padre, non perché può obbligarmi. Cioè egli ha autorità su di me, ma nessun potere. Così era il re medievale, solo primus inter pares, “fratello maggiore” tra i suoi baroni. Se voleva scendere in guerra doveva chiedere ai suoi baroni di seguirlo. E non poteva costringere chi rifiutava. Se ne aveva la forza allora poteva farlo, sennò doveva rinunciare. Le guerre medievali tra Francia e Inghilterra furono appunto dovute al fatto che il re d’Inghilterra, per via di matrimoni, era vassallo del re di Francia. Tutti i re, poi, erano (formalmente) soggetti all’autorità dell’Imperatore Sacro e Romano. Ma il Barbarossa, per esempio, dovette intervenire con la forza per far rispettare i patti ai comuni della Lega Lombarda che si erano unilateralmente dichiarati “liberi”. La Cristianità medievale non conosce distinzioni tra donne e uomini, tra bambini e adulti.

> Non capiamo il legame consequenziale fra l’esordio e l’incidentale su donne e bambini; difatti, in questo periodo nasce lo sfruttamento minorile e femminile.

Le cose le faceva chi le sapeva fare, maschio o femmina, vecchio o giovane. Ecco perché troviamo l’epoca medievale piena di regine (dunque le donne potevano accedere alla massima autorità politica) e di re -e pure cardinali- adolescenti.

> Direi piuttosto che è noto a tutti – tranne, probabilmente, al nostro novello Gorgia – come a quell’epoca vi fossero cardinali e persino papi anche dodicenni, e spesso criminali di risma peggiore dei peggiori Elogabali, perché la carica si trasferiva di padre in figlio; infatti, molti papi avevano dei figli, a loro volta spesso e volentieri avviati al mestiere del genitore.

La maggiore età giuridica praticamente non esisteva: la titolarità dei diritti era esercitata a partire dal momento in cui uno era effettivamente in grado di assumersela, cosa che poteva benissimo accadere a tredici anni.

> Come accadeva già a suo tempo anche in Egitto; e pure a Roma, specialmente data l’aspettativa di vita di allora, salvo che in queste due civiltà ben si guardavano dal ritenere un moccioso responsabile di affari delicati come dare il voto a un potenziale truffatore.

L’infanzia, come la giudichiamo oggi, non esisteva. Cioè i bambini venivano trattati come gli adulti. Infatti, secondo la concezione dell’epoca, l’infanzia era (ed è) un periodo di totale soggezione, dal quale era carità cercare di farne uscire al più presto i bambini. Non esistevano i giocattoli, solo attrezzi di lavoro più piccoli per imparare osservando l’opera del padre. Anche per gli uomini d’arme era così. Manovrare un cavallo con una sola mano in mezzo a una battaglia e combattere con l’altra richiedeva un’addestramento continuo e iniziato da piccoli, per una “carriera” che durava suppergiù quanto quella di un calciatore odierno. Da qui i tornei continui, per tenersi in allenamento in periodo di pace. Da qui anche la decima parte dei prodotti della terra da versare al signore; il quale, dovendo occuparsi di giustizia, amministrazione e difesa, non aveva certo tempo per lavorare.

> Una gran bella società, non c’è che dire. Se non ricordo male, la stessa cosa accadeva nelle pagane Grecia e Roma, solo che perlomeno l’infanzia e il diritto alla ricreazione erano molto più tutelate.

Il cosiddetto “diritto di maggiorasco”, secondo il quale tutta la proprietà andava in eredità al figlio maggiore (e gli altri restavano a bocca asciutta), come tutte le cose che riguardano il Medioevo è un concetto che va rivisto. Innanzitutto ogni luogo aveva le sue usanze, che per giunta variavano nel tempo. Per esempio in certi posti della Francia e della Germania il “maggiorasco” era un “minorasco”, poiché era il figlio minore a ereditare tutto. Perché? Perché era quello che restava più a lungo con i genitori, provvedendo così alla loro vecchiaia.

> Oggi, a quanto pare, esistono vari istituti di previdenza sociale; ma le cose ovviamente vanno peggio che nel glorioso medioevo cristiano.

Comunque il maggiorasco aveva una sua logica: la maggiore ricchezza era la terra la quale, se troppo spezzettata, non produce più niente. Non solo. Il figlio maggiore era anche quello che prima degli altri era in grado di difendere il feudo e la proprietà. Gli altri figli, se maschi, potevano combinare buoni matrimoni, darsi alla Cavalleria o al clero. Per quelli di non alto lignaggio il problema non si poneva neppure.

> Potevano, difatti, darsi al brigantaggio o alla prostituzione, se non volevano fare la fine degli sfruttati dai “nobili signori”…

Il feudo
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Jus primae noctis e servitù della gleba. Due leggende da revisionare.

> Siamo tutt’orecchi.

Il primo fu trovato dai missionari cristiani in qualche tribù pagana del Nordeuropa, e subito fieramente combattuto. Rimase, in alcuni posti, come tassa da pagare al signore. Poiché il linguaggio medievale era molto fiorito “diritto della prima notte” rimase a significare la tassa matrimoniale da versare al signore. Il quale doveva contraccambiare con un regalo e porre la sua mano sul letto nuziale nel corso della cerimonia. Ma anche questa forma castigata sparì presto, per l’opposizione della Chiesa: una tassa sul matrimonio collideva con la libertà del sacramento.

> Crediamo ci sia stata più di una “mano” da revisionare, più che confondere il maritagium con lo jus primae noctis, se consideriamo ad esempio che fino al XV secolo alcuni esponenti dello Stato Pontificio pretesero di esigerlo – non certo pecuniariamente né figuratamente – nella vicina Vetralla; ciò scatenò l’ira della popolazione, che si ribellò violentemente, e la notte dei vespri del 1493 – quarant’anni dopo che Shakespeare fa parlare Jack Cade in merito – venne ucciso il promotore di tale sopruso. Stessa cosa accadde al cattolico Francesco Campitelli, per aver tentato di ripristinare questa “tassa” dopo che il padre l’aveva abolita; siamo nello stesso periodo in cui, a Circello, un individuo si sostituiva alla sorella per ammazzare il principe nella sua alcova, unendosi poi al gruppo di Masaniello. È noto, peraltro, che questo sistema fosse esistito in Scozia fino al tempo di Malcom III, che fu il primo a proibirlo per incitazione della moglie, devota cristiana, che gli sostituì l’imposta matrimoniale, balzello comune in tutta la cristianità poi abolito nel 1809. Sono noti, peraltro, parecchi tirapiedi papali adusi a tale consuetudine, come il barone Margani, sgherro di Giulio II, noto papa libertino. O forse, a dispetto delle evidenze, a Cammilleri preme ergersi sulla scorta di Veuillot contro i plays di Voltaire e Rousseau in tal proposito? Che questa pratica, peraltro nota e usata sin dal tempo dei sumeri, fosse o no “un’invenzione illuministica” (ma più che altro dovuta al cristianissimo Boezio), non crediamo che la sua “revisione” possa contribuire ad emendare in blocco tutto un periodo e il suo sistema. Credo, invece, che considerare cose del genere in questa luce pongano piuttosto l’accento sulla fondamentale morbosità e moralismo della mentalità scandalistica cristianizzata.

Servitù della gleba. Il temine fa pensare a poveri cristi pressoché schiavi perché “comprati e venduti” con il feudo.

> In verità, era anche peggio.

Anche oggi si parla di “mobilità del lavoro”, solo che i lavoratori non ne vogliono sapere. Infatti a loro interessa più la “stabilità” del lavoro. Cioè la sicurezza del posto.

> Non voglio arguire semmai questo interesse sia deprecabile e indegno dei bei tempi del self-made man o meno, ma il problema è dovuto alla contingenza dell’assetto sociale derivato da problematiche che hanno radici tradizionali abbastanza ben individuate, di cui Cammilleri non farà fatica ad accettare l’evidenza.

Infatti, se guardiamo le cose dal suo punto di vista, il servo della gleba era sì legato alla terra, ma nel senso che non poteva essere licenziato se la terra cambiava padrone. Il quale era direttamente interessato alla sua prosperità (altrimenti avrebbe percepito la decima di niente). La tassa matrimoniale serviva appunto a scoraggiare i matrimoni fuori dal feudo, perché avrebbero finito per far spostare lo sposo o la sposa.

> Quindi togliendo manodopera per fornire tasse ai parassiti.

Quando lo zar Alessandro II, nel secolo scorso, abolì in Russia la servitù della gleba, provocò una mezza rivolta di servi della gleba che non ne volevano sapere: intuivano perfettamente che ciò avrebbe significato per loro la perdita della sicurezza del posto di lavoro.

> Non tutti i riformatori sono immediatamente compresi dalle classi sfortunate, oramai inserite in un meccanismo cristallizzato tale che vedono impossibile alienarsene: come tutte le riforme volte a mutare assetti favoritistici e penalizzanti cristallizzati da secoli, ci vuole sempre del tempo prima che l’ingranaggio torni in sincronia produttiva. Il problema, come Cammilleri evita di tenere a mente sfornando “deduzioni” deprecabili, risiedeva nella cristallizzazione del sistema, non certo nell’attaccamento al servilismo da parte della “plebe”. Forse dimentica casi come le jacqueries, probabilmente perché verificatisi in Francia, esecrata patria dell’Illuminismo.

L’organizzazione del feudo funzionava pressappoco così: il re concedeva a un suo vassallo una terra da amministrare e su cui vivere, lui e i suoi comites, cioè compagni d’arme. Essi stavano nel castello, al centro, sempre pronti a ricoverarvi i contadini in caso di pericolo.

> Ripetiamo: più che attestato di umanità nei confronti di altri uomini, si trattava piuttosto di utilitarismo, dacché senza i lavoratori i nobili rischiavano la fame.

Su quella terra viveva e lavorava un certo numero di famiglie, le quali erano tenute a versare parte dei prodotti al signore.

> CVD

A turno avevano diritto al pascolo, a raccogliere la legna, a cacciare. La mietitura non poteva essere effettuata con la falce lunga perché i poveri avevano diritto di spigolare quel che restava dopo la mietitura. La caccia grossa spettava al signore per un motivo di praticità: il cinghiale, per esempio, richiedeva destrezza a cavallo e una vera e propria battuta.

> L’impudico candore mascherativo di Cammilleri qui esige un no comment.

Comunque questo condominio era regolato da leggi severissime, alle quali tutti, anche i nobili, erano soggetti.

> Se il nostro novello Gorgia vorrebbe dare a bere che i nobili fossero sottoposti al medesimo regime penale del volgo profano – come vedremo a proposito di certe distinzioni inquisitorie -, si accomodi pure; non sarà certo questo rocambolismo, a demolire sette secoli di seria storiografia in contrario, convergente su posizioni a dir poco intuitive, data la loro evidenza.

Al signore conveniva amministrare bene il feudo, che poteva essergli tolto dal re in qualsiasi momento per, appunto, cattiva amministrazione o infedeltà, e dato ad un altro. Praticamente, dal punto di vista giuridico, si trattava di una serie concentrica di contratti di gestione.

> Noto con piacere che ogni tanto salta fuori qualcosa di corretto, da tutto il conglomerato cammilleriano; purtoppo, incidentali del genere non corroborano affatto il resto del discorso.

(!SNIP!)

La famiglia
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Nella concezione medievale la famiglia era tutto, l’individuo e lo Stato niente. Il ragionamento era semplice: se l’unica ricchezza è la terra, e la terra dura per sempre, per possederla e amministrarla ci vuole un’entità che abbia la stessa durata. L’individuo muore, la terra rimane. Lo Stato? Lo Stato esiste quando esiste un’autorità fornita del necessario potere, cosa che nel frastagliatissimo periodo feudale era solo un ricordo, il ricordo di Roma.

> Quindi, a livello di autorità centrale, chiaramente questa è un’involuzione.

Non rimane che la famiglia, la quale dura per sempre, così come la terra. Da qui le norme che prevedevano il ritorno alle famiglie d’origine dei beni dei coniugi morti senza figli. Il concetto di proprietà non era più, dunque, quello romano, cioè il “diritto di usare ed abusare” della cosa posseduta. L’individuo non ha praticamente titolo a possedere; solo la famiglia lo ha. E le famiglie, a loro volta, sono riunite in “famiglie” più larghe, i cosiddetti “corpi intermedi”: le associazioni di mestiere (corporazioni), le parrocchie, i feudi, i regni. Tutti, poi, sono sotto una madre, la Chiesa, e un padre, l’imperatore e sopra tutti Cristo Re.

> Ergo, in ultima analisi l’individuo – quindi la famiglia – non è altro che un servo della chiesa. O forse il “giro lungo” di Cammilleri gli fa credere di poter cancellare le tracce del processo di finalità?

Da questa concezione “familiare” discende una concezione diversa della proprietà. Sì, questa cosa è mia, ma nel servirmene devo ricordare che ci sono anche gli altri. Insomma uso “sociale” della proprietà. Come si ricorderà il feudo era praticamente di tutti quelli che ci vivevano; ognuno aveva su di esso dei diritti che erano solo diversi da quelli degli altri. Il termine “privilegio”; deriva dal latino privata lex, cioè “norma valida per il singolo”. Tutti avevano dei privilegi in questo senso. Oggi per “privilegiato” si intende uno che ha qualcosa che gli altri non possono avere, perciò la parola ha un senso odioso. Ma, a ben pensarci, daremmo una sola sedia, come a tutti gli altri, a uno che pesa duecento chili? Sarebbe giusto dargliene due, e nessuno troverebbe da obiettare. Questo è il senso che il termine “privilegio” aveva nel Medioevo.

> Su miserande trovate demaistriane del genere, già confutate in precedenza, avremo modo di diffonderci ad hoc per quel che riguarda le loro trascendenze pratiche.

Spessissimo, poi, il privilegio era puramente onorifico (ma non per questo meno ambito). Ne il principe e il povero di Mark Twain, il soldato, grazie al quale ha riavuto il trono, riceve dal principe riconoscente il privilegio di poter stare seduto davanti a lui, mentre tutti gli altri devono alzarsi in piedi. Potrà trasmettere questo diritto ai suoi discendenti.

> Citare Mark Twain, acerrimo avversario del cattolicesimo, e proprio quella novella, che mette in campo le contraddizioni del potere (oltreché un poco velato riferimento al concetto del substition trick di stampo cireneo dei vangeli), è più che altro masochistico.

Quando il re di Francia rientrò in possesso del regno grazie a Giovanna d’Arco il paese natale della Pulzella ricevette, per riconoscenza (lei era già morta), l’esenzione perpetua dalle tasse.

> Quindi, chi – e sappiamo chi – la fece giustiziare fece buona cosa? Altrettanto buona di chi oggi l’ha canonizzata?

La prima rivoluzione industriale
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Il Medioevo è l’unico esempio di società sottosviluppata che si sia sviluppata da sola.

> Se desideriamo metterla sul punto dell’ironia, si accomodi pure Cammilleri, visto che sembra addirittura non poterne fare a meno: se vogliamo parlare di cose serie, possiamo anche considerare fattori autarchici dovuti a problemi di ricostruzione, dopo i trascorsi costantiniani e bizantini.

La liberazione dalla paura superstiziosa delle forze della natura,

> Qui Cammilleri farnetica più dell’usuale.

la santificazione cristiana del lavoro, l’abolizione della schiavitù e la parità tra uomo e donna, produssero quella che è stata chiamata “la prima rivoluzione industriale”.

> Quanto a queste asserzioni, la dimostrabilità è completamente fuori della portata del nostro, che difatti si limita a ripetere luoghi comuni revisionisti confutati non tanto già dalla storiografia seria, bensì anche dalla semplice documentazione del tempo. Che invitiamo a leggere, Cammilleri per primo.

Il termine “lavoro” deriva dal latino labor. Solo che labor significava “travaglio”, “fatica”. I Romani usavano il termine negotium, composto di nec e otium, cioè “assenza di ozio”. Essi distinguevano le attività in “servili” (quelle degli schiavi) e negotia, quelle amministrative, politiche, letterarie, le uniche degne dei ceti superiori. Il Cristianesimo ribalta questa concezione e fa del lavoro, anche servile, un mezzo di santificazione e ascesi.

> Come nel caso di certi passi paolini nella prima lettera ai corinzi.

Infatti la maledizione di Adamo, nella Genesi, non consiste nel dover lavorare, bensì nel “sudore della fronte”, cioè nella penosità del lavoro.

> Ergo, c’è lavoro e lavoro… Lo dice il libro de’ libri!

Come alleviarla in mancanza di schiavi? La cristianità medievale rispose: con le macchine. Certo anche gli antichi pagani conoscevano le macchine e le usavano ma, avendo a disposizione gli schiavi, si limitavano a quelle essenziali. Non solo. Essendo, adesso, l’alleviamento della pena un’opera meritoria, ecco che lo scienziato si piega sul mondo del lavoro e delle attività economiche: nasce la tecnologia.

> Ciò è erroneo; la tecnologia post-romana nacque soprattutto a seguito del forte sviluppo della siderurgia tesa a supportare le crescenti richieste dell’industria bellica. Nel medioevo di “macchine” abbiamo ben poca evidenza; semmai, è nel Rinascimento che nascono i primi macchinari “industriali”. Gli schiavi mancavano – ma non tanto; ecco perché questo “commercio” ebbe una ripresa, con l’avallo del Vaticano, già a partire dal tempo delle crociate, per non dire all’epoca della Conquista – a seguito del forte ridimensionamento della densità demografica causata dalle continue guerre; e il cristianesimo fu comunque favorevole allo schiavismo, non solo per gentile e “coraggiosa” ammissione del Cammilleri.

I Greci conoscevano tutti gli automatismi principali e la geometria di base (pensiamo ad Archimede o a Eratostene). Ma per i loro sapienti si trattava di “amore del sapere” (philosophia), e nient’altro. Platone cacciò dalla sua scuola un allievo che gli aveva chiesto a cosa servisse la geometria. Infatti per i Greci la scienza non doveva avere alcuno scopo pratico.

> Il “doveva” è erroneo, pensando soprattutto, per l’appunto, ad Archimede ed Eratostene…

I Romani, che erano grandi costruttori, invece utilizzarono le macchine, ma non in modo intensivo, perché l’energia gratuita era fornita dagli schiavi. E dalle donne.

> Mi pare di ricordare che il nostro abbia già precisato che prima del cristianesimo le donne – quelle stesse vituperate dai vari Tommaso, Agostino, Tertulliano etc. – non compivano alcuna attività.

Infatti, ancora oggi, in certi documentari, vediamo le donne del Terzomondo intente a macinare a mano i cereali e ad accudire i figli.

> Non capiamo quale nesso sussista – forse subliminale? – fra la premessa e questa conclusione. Forse si vorrebbe dire che il tanto decantato mondo romano, quello stesso che i cristiani continuavano, in comode condizioni specifiche diventa “Terzo Mondo”?

Il Medioevo, invece, applicò la massima di san Paolo: “Non c’è più né donna né uomo, né libero né schiavo, né giudeo né greco”;, perché tutti sono figli di Dio. Ecco allora l’uso intensivo dei mulini (ad acqua e a vento) che libera le donne da una schiavitù antica e dà loro più tempo per dedicarsi alle attività dello spirito.

> Ciò è erroneo: l’uso dei mulini fu escogitato per alleviare proprio quel “sudore” cui alludeva il nostro all’esordio. Cade a proposito Bloch, medievalista di chiara fama: “Nel 1295, narra l’annalista di Dunstable, fra’ Giovanni le Charpentier fece costruire un mulino a cavalli dotato di una nuova struttura: un solo cavallo – egli assicurava – era in grado di farlo girare. Quando però la macchina fu compiuta, ci si accorse che a fatica quattro bestie vigorose pervenivano a metterla in movimento. Fu quindi necessario abbandonarla”. Bloch aggiunge pure che “il declino della schiavitù non ha seguìto le trasformazioni del modo di attaccare i cavalli. Esso le ha precedute”. E invito il buon Cammilleri a leggere meglio – o forse ad avere l’etica di riferire quello che sà già – il buon Tarsiota in merito alla “uguaglianza dinnanzi a dio”.

Il Cristianesimo, infatti, a differenza del mondo pagano, riconosceva alle donne un ruolo in religione e, immediatamente sotto Cristo, venerava una donna, Maria. Che, pur non essendo una dea, era madre di Dio.

> Intercalare slegata con il procedere “lineare” del pensierino cammilleriano, ma comprensibile: si tratterà forse di un lapsus freudiano.

Nel mondo antico non mancavano inventori, ma si trattava di geni isolati, e l’invenzione era nient’altro che uno sporadico colpo di intuizione. Invece, per il Medioevo, l’investigazione della natura era una forma di lode tributata a Dio Creatore.

> In effetti, tutti gli inventori medievali – pochi, anonimi e poco fecondi – sono tutti ignoti come il loro dio.

Si ribalta il concetto di invenzione: non più cosa “scoperta”, bensì cosa “ricercata”. La ricerca scientifica nasce lì. Esempio: il carbon fossile fu scoperto proprio perché da secoli si cercava un’intensità di calore molto più alta di quella del carbone da legna.

> Ciò è erroneo: il carbon fossile era probabilmente noto già agli etruschi, mentre il coke venne scoperto e utilizzato per la prima volta da Darby, nella anglicana Albione, nel 1709-1711. Per la siderugia, solo nel trecento si raggiunse lo sviluppo tecnologico a cui già erano pervenuti etruschi e romani; la lavorazione dei metalli subì un declino che dall’Impero Romano d’Occidente si protrasse fino nell’alto Medioevo, talché per oltre duemila anni la tecnica siderurgica non subisce mutamenti significativi.

Per fondere certi metalli, infatti, ci vuole un calore intensissimo. Senza un metallo particolarmente resistente alla corrosione della salsedine si poteva sì pensare di navigare al di là delle Colonne d’Ercole, ma non farlo davvero.

> Mi viene da pensare come mai i vikinghi, ignari delle leggende sulle Colonne d’Ercole e sulla Terra piatta, riuscissero a compiere traversate transoceaniche con delle imbarcazioni idrodinamicamente straordinarie per l’epoca, ma in fondo ancora meri gusci di noce. E lo fecero pure molto tempo prima i fenici di Annone, che si spinsero oltre Gibilterra per conto del già biblico Necho II.

Nascono così il verricello e la carrucola, la ferratura dei cavalli, le staffe, l’arco rampante, la volta a crociera, la carriola, l’aratro meccanico, l’aggiogatura a spalla, la vite elicoidale, il martinetto, lo specchio, il sapone, il bottone. Eccetera. Più il perfezionamento e l’utilizzazione su larga scala di invenzioni precedenti, come la bussola, il vetro, la polvere da sparo, la carta.

> Bussola (nota anche ai vikinghi, arabi, turchi), polvere pirica, carta, sono invenzioni già note, anzi plagiate, ai cinesi. Per quanto riguarda il resto, le staffe furono già in uso agli scito-sarmati, mentre gli zoccoli dei cavalli furono introdotti dai normanni, non certo dall’ingegno dei cristiani. La loro carenza nel mondo classico è spiegata col fatto che il clima caldo e secco della Grecia rendeva lo zoccolo solido e resistente, mentre i romani contavano sulle legioni, non tanto sulla cavalleria; a ciò, già verso il declino dell’impero – prima dei contatti con i popoli celtico-gallici, ossia gli antenati degli odiati illuministi – entrarono in uso una sorta di stivaletti di pelle con suole metalliche per la protezione degli zoccoli, chiamati ipposandali. I galli, che conoscevano la ferratura sin da prima del p450, inventarono anche il prototipo sapone nel d200, e, au pair coi cugini germani, il bottone, poi perfezionato dai loro epigoni nel XII-XIII secolo e dal francese Parent nel 1800. Quanto agli specchi in senso moderno (vedasi Plinio), quindi il vetro, i fenici ne sapevano già qualcosa (anzi, è noto che i romani conoscessero vetri infrangibili). Piuttosto, fino a tutto il medioevo fu usato lo specchio di tipo romano classico, quello costituito da una semplice lastra di metallo levigatissima. Lo specchio moderno nacque nel 1500 a Venezia, allora non certo piena di baciapile. Quanto all’aratro “meccanico” (?), forse il nostro si riferisce all’aratro a orecchio, che non fu certamente un’innovazione rivoluzionaria, per quanto utile. Quanto alla vite, già nota dal tempo del pitagorico Archita ed Archimede, la produzione era effettuata già dal p100, e quella massiccia cominciò dopo il XVI secolo, in Germania. Per il resto, confidiamo che la carriola, il martinetto, gli “eccetera”, siano senza dubbio delle invenzioni utili, ma è la pretesa esegetica cammilleriana ad essere roba da chiodi.

Due parole per dare un’idea dell’importanza capitale di queste invenzioni. Per esempio la staffa. La sua introduzione rivoluzionò l’arte della guerra e pose le basi della potenza dei Franchi: puntando i piedi sulle staffe il cavaliere poteva porre la lancia “in resta”, cioè sotto il braccio; così cavallo e cavaliere formavano un tutt’uno, con una potenza d’urto dirompente.

> Possiamo capire che Camilleri goda nell’esaltazione della maschia tenzone de’ cavalieri, ma questo non costituisce prova a favore di grandeur e civiltà.

L’aggiogatura “a spalla” permise di sostituire il cavallo al bue nell’aratura, con notevoli vantaggi di velocità. Infatti prima i cavalli erano imbracati al collo; il collare da spalla permetteva all animale di tirare con l’intero corpo.

> L’allusione alla pena – preoccupata – per il povero equino è evidente.

La concezione cristiana del corpo come “tempio dello spirito” introdusse l’igiene personale, cosa fondamentale nella lotta alle epidemie.

> Non desidero speculare semmai Cammilleri dia ulteriore saggio della sua dinamica comicità, nel caso specifico.

I Romani avevano si il culto del corpo, ma le loro terme erano luoghi di rilassamento, non di pulizia. I bagni pubblici furono il boom del Medioevo.

> E continua a spararla grossa.

Ci andavano uomini e donne, e anche suore e frati. Infatti la nudità non era considerata affatto scandalosa, e la verginità diventerà un valore” religioso solo in epoca molto tarda.

> La comicità assume connotazioni grottesche, tali da far sospettare la provocazione.

Anzi fu per colpa delle accuse luterane alla rilassatezza del clero cattolico che il peccato sessuale soppiantò l’avarizia nei manuali per confessori. Sessuofobia del Medioevo cristiano? Già. E Boccaccio? E l’Aretino?

> Già: Boccaccio e l’Aretino, noti fustigatori del bigottismo e dell’ipocrisia chiesastiche… Quindi Cammilleri asserisce che è per colpa dei luterani che la chiesa si vide costretta a riconoscere, secoli dopo le prime accuse di Liguori, Sanchez, Damiani e tanti altri, quel che ha sempre sostenuto, ossia l’esecrabilità immonda del sesso?

Infine la beneficenza. L’amore del prossimo, è inutile dirlo, era un’idea sconosciuta ai pagani. I mercanti medievali tenevano una voce apposita (“messer Dio”;) nei loro bilanci: la somma da destinare alla beneficenza.

> Beneficienza chiaramente farisea – di cui Boccaccio ci illustra vasta copie -, dato che per massima parte era devoluta alla chiesa.

Non solo. Grazie agli ordini religiosi l’assistenza, l’istruzione e la redistribuzione della ricchezza a favore dei più svantaggiati divenne organizzata e su larga scala.

> Semplicemente continuando l’accorta politica demagogica di Costantino, che attribuì questi compiti – attuati peraltro in maniera ben più da ridimensionare – al clero.

L’apporto dei monaci medievali
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Il “buio” Medioevo ci ha lasciato le cattedrali, la Summa di san Tommaso e la Divina Commedia.

> Quanto a Dante, non credo siamo in un campo molto integrabile, datosi l’aperto anticlericalismo di un perseguitato come il Fiorentino; per quel che concerne le cattedrali, vedasi in seguito. Su Tommaso, beh… avremmo molto da dire: ma non precorriamo i tempi.

Cosa viene a vedere il turista in Europa? Le banche? I palazzi moderni? Le stazioni ferroviarie? No. Le chiese e le città medievali e rinascimentali. Questo fatto, da solo, testimonia che nulla di bello è più stato fatto, da allora. Come se la bellezza fosse finita con quel lunghissimo tramonto della Cristianità che, nello stile e nei gusti, arrivò quasi alla fine del Settecento.

> Quindi, il Pantheon, il Colosseo, il Discobolo, le tante statue di cui i vari papi – che usarono i monumenti antichi come comode cave – ornarono le loro sale, e tanto altro che purtroppo ci è giunto rimaneggiato a cagione della distruzione cristiana del passato, sono roba da buttare. Cammilleri è chiaramente una miniera inesauribile di falso ideologico misto a candidismo di stile agostiniano; purtroppo, non così grande come il Depretis di Tagaste.

Certo si può ammirare il Colosseo o entrare in una piramide egizia. Ma il freddo spettacolo del primo (ci ammazzavano la gente)

> I cristiani non avevano problemi ad ammazzare in luoghi meno convenzionali.

e la sensazione angosciosa che dà la seconda (è una tomba difesa da maledizioni)

> Questa costituisce, a parte il tono, un’affermazione generalizzativa e folkloristica. Non è dato a sapersi da quali documentazioni si può asserire che, consideratane una, tutte le tombe egiziane sono tempestate esclusivamente da maledizioni.

non sono certo paragonabili allo stupore estatico e gioioso che dà l’interno di una cattedrale gotica.

> “Stupore estatico e gioioso” in una cattedrale gotica, ossia il pre-barocco “noir”… O forse sensazione opprimente volutamente dovuta allo stile di questo tipo di costruzioni, così escogitate per associare lo slancio verso il cielo (già tipico delle piramidi ed altri monumenti ben più imponenti) ad una sensazione di nullità umana?

Quelle costruzioni arditissime, la cui edificazione durava secoli e dava lavoro a intere generazioni,

> Leggasi, dava lavoro a buon mercato, dato che tutti lavoravano con più piacere, pensando che si trattasse della gloria di dio.

quelle guglie svettanti, quelle trine di pietra, quelle immense vetrate policrome, creavano problemi che gli architetti medievali dovettero risolvere inventando una infinita serie di marchingegni. A chi verrebbe in mente di erigere un edificio a forma di croce?

> Concordiamo: verrebbe in mente solo a dei folli fanatici autoconvinti. Il prodotto, per quanto ardito e – per i gusti anelanti al “divino” di certuni – piacevole, non giustifica il mezzo né il fine.

Eppure proprio perché così doveva essere, i costruttori cristiani si costrinsero a risolvere problemi pazzeschi.

> Non meno “pazzeschi” di quelli cui si sobbarcò chi costrui la piramide di Cheope, il Pantheon o Angkor Wat. Tra l’altro, Cammilleri qui “dimentica” – difatti, lo “ricorderà” in contesto meno sospetto – che la massima espressione del gotico nacque ancora una volta nell’odiata Francia, ad opera dei precursori dei massoni.

E poiché la cattedrale doveva poter contenere tutta la popolazione cittadina in Europa si scatenò la gara a chi aveva la cattedrale più grande, più alta, più bella, più ardita. Infine chi mai, oggi, investirebbe i suoi soldi in un’opera che sarà ultimata tra quattro secoli? Solo la fede cristiana poté creare quelle opere.

> Direi piuttosto che quelle opere furono create con mezzi molto più prosaici, prescindendo dalla spinta che il fanatismo può infondere nel compiere qualsiasi cosa, anche la più ardita.

“Cercate il Regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in sovrappiù”; dice Cristo nel Vangelo. Così i cristiani medievali, cercando solo di costruire una chiesa col suo campanile, hanno fatto vivere di rendita noi posteri.

> Ed è questo, quel che conta, a quanto pare.

La Torre di Pisa (capolavoro dell’arte mondiale, che tutta la terra viene ad ammirare), infatti, è un campanile.

> Capolavoro perché è un campanile, o perché i suoi costruttori – cristiani – ignari di elementi di geologia, previdero che con quella sua particolare inclinazione avrebbe attirato frotte di turisti a beneficio dei posteri?

Così i monaci. Perché san Benedetto è patrono d’Europa?

> Beninteso, secondo le attribuzioni del Vaticano, che si picca di attribuire un santo protettore a qualsiasi cosa, anche quelle più sconvenienti alla sua istituzione, dagli omosessuali a internet.

Perché è la sua Regola (“ora et labora”, “prega lavorando”, poiché “il lavoro è preghiera”) che ha fondato la civiltà occidentale e la sua superiorità sulle altre.

> Ritengo estremamente pericoloso in primo luogo distorcere il significato di certe frasi, vaneggiando inoltre a primati di sospetto sentore.

Oggi si parla molto di “etnie” e “culture etniche”, riferendosi ai pellerossa, agli africani, ai terzomondiali in genere. Eppure queste “culture” non potrebbero nemmeno sopravvivere senza il cibo e i medicinali occidentali.

> Questo salto discorsivo, oltremodo pericoloso, mi incita a pensare che il nostro sia vittima di una “certa qual” confusione.

Paradossalmente proprio l’odierno piagnisteo sulla scomparsa di quelle “culture” ribadisce la superiorità della nostra.

> Se Cammilleri vuol fare retorica paradossale, le premesse – alle quali già la pedestre sintassi e la folkloristica forma d’espressione non rendono giustizia – sono visibilmente antinomiche e raffazzonate alla menopeggio, oltreché venate da un “sano” animus campanilistico che smentisce le pretese precedenti, non fosse per altro motivo che per ribadire la “superiorità” rispetto ai “terzomondisti” nei cui confronti l’Europa “potrebbe” prodigarsi in beneficienze.

Solo agli intellettuali occidentali infatti interessa la sopravvivenza museale e folclorista di quelle “culture”.

> Forse non quegli intellettuali d’occidente che fanno parte dell’Europa cristiana consolatrice.

Ma i poveri cristi del Terzomondo non sognano altro che una casa col riscaldamento, il frigo, l’automobile, la tivù e il telefono.

> O splendidi templi come la cattedrale di Yamoussoukro, anziché vili gadgets dell’epoca consumistica, così scadenti di fronte all’austera spartanità degli anacoreti del primo millennio.

Benedetto, Bernardo, Francesco, erano personaggi che, desiderosi di consacrarsi unicamente a Dio, con un gruppo di amici si allontanarono dal mondo (tra parentesi: Francesco, santo “animalista”? Nel suo Cantico delle creature non c’è nemmeno un animale. Sì, amava la natura perché opera del Creatore, ma mangiava il pollo, e l’agnello a Pasqua. Come Gesù).

> Come dire, l’anticristo è animalista, oltreché ecologista, dice Biffi. Il santo Francesco quindi ci autorizza a mangiare animali, come Gesù, perché non cita alcun animale nel suo cantico.

Scelsero posti impervi, paludi, dirupi, selve impenetrabili, e vi si stabilirono proprio per staccarsi dalla folla.

> Il “profanum vulgus”; quello stesso che, altrove, Cammilleri ha beneficiato dell’opera assistenziale dei presuli.

Piazzata la loro comunità in un luogo deserto e lontano, ebbero il problema di mantenersi. E giù allora a dissodare, arare, vangare, per procurarsi il pane e il vino per il proprio sostentamento e per la messa. Ma non avevano molto tempo da dedicare al lavoro, dovendo prima di tutto pregare.

> Nota bene, la sintesi pauperistica, del “sudore”, dello “sgobbare”, quasi a volerne compartecipare avidamente, ampiamente onomatopeizzata da espressioni appunto retoricamente humiche… “E giù a dissodare, arare” etc. per “il pane e il vino”, secondo una concezione di vita “spartana”, naturalmente.

Furono così costretti a letteralmente inventare la “razionalizzazione del tempo”, ciò che oggi non ci permette di vivere senza un’agenda, un orologio e un calendario. Quando tutti si regolavano col sole i monaci avevano la campana che scandiva le ore canoniche. Cioè la giornata divisa in modo matematico e preciso.

> Bisognerebbe, però, assodare da quale metodo, o quantomeno da quale principio, essi sincronizzarono la campane all’orario solare, di modo da dividere la giornata in modo “matematico”, anziché convenzionale. Va da sé che poco a poco ci si avvide che sussistevano dei problemi di sincronia molto seri, tali che le pretese delle campane cammilleriane suonano assai stonate.

L’obbedienza, la disciplina e l’assenza di scopo di lucro immediato,

> Notasi il senza scopo di lucro immediato; il qual shibboleth implica che ci fossero altre circostanze nelle quali sussisteva non solo scopo di lucro, ma anche immediato.

dopo qualche tempo cominciava a dare frutto e quel luogo arido e desolato prendeva a fiorire. Ma, non dimentichiamolo, i monaci erano lì soprattutto per pregare. Dunque il poco tempo rimasto doveva essere speso benissimo. Ecco perché i monaci inventarono la “ragioneria” e la partita doppia, l’apicoltura (miele e cera per le candele), la piscicoltura (per i giorni di astinenza), l’erboristeria medicinale, le tecniche di conservazione del cibo (formaggi, birra, elisir, digestivi: ancora oggi, su molte etichette, campeggia la figura di un monaco).

> Anche oggi è così, soprattutto perché i monaci erano proverbialmente i primi voraci consumatori di alcoolici. Nondimeno, è assai impopolare intercalare concetti sconvenienti ad altri edificatorii, per non dire completamente banali (da cui comprendiamo perché mai la “ragioneria” è scritta in virgolette); l’autarchia del monachesimo, che poi si estende a tutto il Medioevo, è un fatto assodato, ma non certo tale da costituire capisaldo d’esegesi. Piuttosto, è un asino di Buridano.

Il mondo monastico, egalitario ed elettivo, prevedeva elezioni, turni, ballottaggi, assemblee, meeting internazionali (certi ordini religiosi erano diffusi in tutta Europa). Quando un monastero si allargava, poco a poco i contadini venivano a stabilirsi nelle vicinanze. Infatti quella terra, prima desolata, adesso era fertile. I monaci cedevano il lavoro ai contadini per poter meglio dedicarsi alla preghiera.

> Ecco che giungiamo al nodo del contendere.

Sorgeva così, attorno al monastero, un intero villaggio, il quale attirava artigiani e mercanti. Con la chiesa al centro la vita si svolgeva al suono delle ore canoniche, non più col sole. I monaci aprivano allora una scuola gratuita per insegnare le nuove tecniche. La comunità civile, prendendo esempio dai sistemi monastici, si strutturava in modo democratico, con consigli, elezioni, eccetera. Oggi l’Europa può, da sola, sfamare il mondo. Prima dell’avvento dei monaci essa era un coacervo di paludi, selve impenetrabili, burroni senza fine. Ricordate il “Varo, rendimi le mie legioni”;? Ben tre legioni romane erano entrate nella selva germanica e non ne erano più uscite. I monaci crearono l’Europa “verde”, la democrazia “laica” e la cultura cristiano-latina (ricordiamo la loro attività di copisti delle opere antiche).

> A tutto questo magnificat, mi chiedo come mai Cammilleri non abbia ancora abbracciato il monachesimo. Seriamente parlando, in tal modo, il nostro novello Gorgia chiude, come al suo solito farneticando con comicità, il suo ennesimo capitolo di sconcezze mistificatorie e di miseri panegirici velleitariamente demaistriani. Ma non è ancora finita.

L’opera della Chiesa
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Poiché l’ha fatto meglio di quanto noi possiamo sperare di fare riportiamo, sull’argomento, una memorabile pagina dello storico e Accademico di Francia Pierre Gaxotte.

> Nato il 19 novembre: ma non vogliamo apparire irriverenti o preconcetti. Passando a dettagli più seri, Gaxotte non fu uno specialista, “epperò” è molto citato da tutti gli esegeti cristiani, poiché fu un conservatore legato agli ambienti di destra. Ammiriamo comunque l’obiettività, dato che, di norma, tutti i francesi possono essere sospetti di giacobinismo. Ma in fondo, è un pregio poter citare opinionisti “al di sopra di ogni sospetto”.

“Al tempo dei Romani, un’epoca rude e razionale, la Chiesa aveva recato la consolazione nella miseria, il coraggio di vivere, L’abnegazione, la carità, la pazienza, la speranza di una vita migliore, improntata a giustizia. Quando l’Impero crollò sotto i colpi dei barbari, essa rappresentò il rifugio delle leggi e delle lettere, delle arti e della politica.

> Perché i barbari, come qualsiasi povero di spirito, temevano gli anatemi e l’autorevolezza autoconvinta in cui si vela qualsiasi shamano che si rispetti.

Nascose nei suoi monasteri tutto ciò che poteva essere salvato della cultura umana e della scienza. In piena anarchia la Chiesa era riuscita, in sostanza, a costituire una società viva e ordinata, la cui civiltà faceva ricordare e rimpiangere i tempi tranquilli, ormai passati.

> Va da capirsi se questi “tempi tranquilli” cui si allude fossero quelli della civiltà romana, poco prima definita “rude e razionale”.

Ma c’è di più: essa va incontro agli invasori, se li fa amici,

> Potremmo completare l’inferenza arbitraria dicendo semplicemente che se li fece amici e basta, cercando di usarli allo scopo di perpetuarsi.

li rende tranquilli, ne opera la conversione, ne convoglia l’affluire, ne limita infine le devastazioni. Davanti al vescovo che rappresenta un aldilà misterioso, il Germano viene assalito dal timore, e retrocede.

> Quod erat demonstrandum. Molto più semplice che usare il gladio, senza spargere sangue (quello di chi lavora per il benessere dei preti e soprattutto il loro, s’intende).

Egli risparmia le persone, le case, le terre. L’uomo di Dio diventa il capo della città, il difensore dei focolari, del lavoro, l’unico protettore degli umili su questa terra.

> L’unico protettore di sé stesso, piuttosto che di quegli stessi umili che, sgobbando per il “difensore dei focolari”, ne garantivano la sussistenza.

Più tardi, quando l’epoca dei saccheggi e degli incendi sarà passata, quando occorrerà ricostruire, amministrare, negoziare, le Assemblee e i Consigli accoglieranno a braccia aperte gli uomini della Chiesa, gli unici capaci di redigere un trattato, portare un’ambasceria, eleggere un principe.

> Perché avevano opportunamente escluso l’istruzione.

Fra le continue disgrazie (…), mentre nuove invasioni ungheresi, saracene, normanne

> Regolarmente mandate a chiamare da questo o quel pontefice.

assillano i paesi, mentre il popolo disperso si agita senza alcun indirizzo, la Chiesa ancora una volta tiene fermo.

> Viceversa, sarebbe stata la sua fine, soprattutto.

Essa fa risorgere le tradizioni interrotte, combatte i disordini feudali, regola i conflitti privati, impone tregue e opera accordi. I grandi monaci Oddone, Odilone, Bernardo innalzano al di sopra delle fortezze e delle città il potere morale della Chiesa, l’idea della Chiesa universale, il sogno dell’unità cristiana. Predicatori, pacificatori, consiglieri di tutti, arbitri in ogni questione, essi intervengono in ogni caso e dappertutto, veri potentati internazionali, di fronte ai quali ogni altro potere terrestre non resiste che a malapena.

> A cagione del terrore di dio con cui si imboniscono gli stolti, chiaramente.

Attorno ai grandi santuari e alle abbazie si intrecciano relazioni e viaggi. Lungo le grandi strade, dove camminano le lunghe processioni di pellegrini, nascono le canzoni epiche. Le foreste spariscono di fronte all’assalto dei monaci che dissodano la terra.

> Le foreste, piuttosto, spariscono di fronte all’assalto di fanatici che distruggono i nemora sacri per innalzare abbazie.

All’ombra dei monasteri le campagne rifioriscono (celebre è la canalizzazione della pianura padana); i villaggi già rovinati rinascono. Le vetrate delle chiese e le sculture delle cattedrali sono il libro pratico nel quale il popolo si istruisce (…).

> L’unico “libro” pratico, da cui è facile immaginare che tipo d’istruzione persistesse allora.

Appannaggi, ricchezze, onori, tutto si mette ai piedi degli uomini della Chiesa, e l’imponenza di questa riconoscenza basta da sola a far valutare la grandezza dei benefici seminati da essi”;.

> Le varie donazioni, i documenti falsi, gli espropri coatti, la manomorta… Piuttosto, sarebbe più corretto e conveniente dire che la chiesa incettava beni dai creduli, anziché farneticare che li ricevesse per fantomatici benefici elargiti ai poveri di spirito.

L’intero Medioevo è popolato di Santi e Sante (cioè gente che ha praticato la virtù in grado eroico): Francesco, Caterina, Bernardo, Domenico. Tra questi moltissimi i re e le regine. Si può dire lo stesso, oggi? Quale modello umano viene ormai proposto ai giovani? Il cavaliere senza macchia e senza paura, difensore dei deboli e degli oppressi? Il santo benefattore e campione dell’autodisciplina? No: l’attore debosciato, la soubrette oca e di facili costumi, il cantante nichilista e tossicomane, il calciatore arricchito e smargiasso, il politico furbo.

> Encomiabile preoccupazione per i giovani, seguaci di facili chimere, anziché di virtuosi esempi come quelli decantati dal sagace “storico” Rino Cammilleri.

E’ la Chiesa medievale a inventare l’Università. Universitas studiorum = luogo in cui sono radunati tutti gli studi.

> Cosa che continua tuttora, con l’ingerenza di “dottori” forgiati su “storia” del genere. Fortunatamente, pochi sono coloro i quali hanno deciso di remare contro la “disinformazione illuminista”, così allergica al latinorum interstiziale.

L’Università è un corpo separato; esso dipende giuridicamente dalla Chiesa.

> Donde spiegato come mai solo la chiesa possedesse la cultura.

Gli studenti hanno propri magistrati e amministratori; per indicare la loro indipendenza dalle autorità civili porta no l’abito ecclesiastico (da qui il proverbio “l’abito non fa il monaco”;: poteva essere infatti uno studente).

> Il risibile diventa, adesso, abbastanza fastidioso; il proverbio indica che non tutti i monaci sono santi solo per indossare un saio, così come, ad esempio, il fatto che un individuo ignobile goda di vasta diffusione mediatica, non lo rende automaticamente attendibile, agli occhi di chi sa ben vedere. Chierico e “studente” in certi periodi del Medioevo erano quasi dei sinonimi, dato che il clero – ripetiamo – deteneva il monopolio della “cultura”.

La Chiesa crea in tutte le parrocchie scuole gratuite e comuni, uguali per tutti. Carlomagno, vergognoso di essere analfabeta,

> E vergognatosi, a sopraggiunta canizie, anche di quel che fece per arricchire la chiesa.

rimproverava i figli dei nobili perché non profittavano negli studi come i figli dei popolani. La differenza con l’oggi è che la scuola non era obbligatoria. Ma chi non ci andava veniva guardato con sufficienza.

> Altro che articolo 34 della “plagiata” Costituzione Italiana! Può mai competere, sì gran cristiana carità ed eguaglianza, con la giacobina scuola dell’obbligo attuale, ove insegnano le falsità della “storiografia illuminista”?

Infine le pitture e le vetrate delle chiese erano “libri a fumetti”,

> Giusto di fumetti si tratta, come certi macabri comics da proporre ai giovani – altrimenti definiti vittime di esempi discutibili – di cui il nostro è soggettista.

immagini non solo sacre (vi erano rappresentati anche l’astronomia, i mestieri, le scienze, gli eventi storici e politici) che istruivano anche gli analfabeti

> “Istruivano” anche gli analfabeti? Cammilleri vaneggia sapendo di vaneggiare?

in un’epoca in cui i libri (dovendo essere copiati a mano, uno ad uno) erano costosissimi.

> E soprattutto, inarrivabili.

L’Islam
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La storia del Cristianesimo è sinistramente punteggiata da due personaggi, entrambi appartenenti al segno zodiacale dello Scorpione: Maometto e Lutero. Curiosamente anche Giuda era uno Scorpione (così infatti lo rappresentò Leonardo ne L’ultima cena); ma anche sant’Agostino lo era.

> Esordio anomalo, direi. A quanto pare, il nostro non disdegna l’astrologia, di cui le strutture di molte delle sue amate cattedrali facevano bella mostra, e di cui parecchi presuli furono cultori, a dispetto delle proibizioni ufficiali e delle persecuzioni comminate a danno dei “mathematici” (come li chiamava Agostino, ex manicheo, ex pagano, ex astrologo, Scorpione). Va da notarsi che anche Cammilleri è uno Scorpione (del 2 novembre), come dice la sua bios; non saprei dire se il nostro abbia l’intimo vezzo – umanissimo e comprensibile – d’esaltarsi intellettualmente con l’indiretto accostamento elettivo a personaggi ben più famosi. Quel “sinistramente” potrebbe costituire una prova a carico, ma non vorrei pronunziarmi per preconcetto. Ho voluto documentarmi in merito a superstizioni come l’astrologia, giusto per non dismetterla apriori fra le sue pari, e ad es. leggo in una nota rivista del settore che lo “Scorpione-tipo” incarna la lussuria, il mendacio, il travisamento della realtà, la falsa amicizia, l’inganno, la predilezione per il mistero, l’oscuro e il macabro, ed è un “segno” molto adatto per chi desidera intraprendere la carriera religiosa, calcistica o spionistica: se dovessimo tirare in ballo Jung, magari qualcosa di vero potrebbe esserci.
Ma Cammilleri si tranquillizzi: a causa della precessione degli equinozi, egli sarebbe piuttosto un bilancino, sebbene in fondo lo Scorpione – come qualsiasi altro “segno” – non possiede soltanto qualità negative, poiché è il simbolo della necessaria fine cui tutto volge, da cui è comprensibile come Giuda fosse uno strumento necessario al compimento del divin disegno, “epperò” è oltremodo singolare come l’opera leonardesca possa fornire spunto valido – altrimenti negato – per l’elaborazione zodiacale della conclave gesuitica, nelle righe di un apologeta.
Possiamo comunque asserire che tutto quadra, nella sua equazione, salvo un veniale errore di calcolo: Mohammad nacque esattamente il 20 aprile 570, pertanto fu un Ariete. Al massimo condivideva il pianeta tradizionale dello Scorpione, Marte, ma non appartiene al segno assegnato all’anticristo, e tutt’al più potremmo accostarlo a Leonardo, Chaplin, Hitler, van Gogh, Elton John, Max Weber; dipende.

(!SNIP!)

L’espansione cattolica, impedita a Sud e ad Est dall’Islam, e poi dal protestantesimo a Nord, provvidenzialmente si diresse a Ovest, sulla rotta di Colombo. Ne riparleremo.

> E fu proprio una gran provvidenza, che il veleno delle menti malate cristiane potesse diffondersi nel Nuovo Mondo.

I musulmani, adesso a contatto con l’ambiente greco-bizantino e romano-africano, si dotarono di una raffinata cultura:

> Più che altro, se ne dotarono grazie alla commistione con la cultura indiana (vedasi i numeri) e alessandrina.

filosofi e scienziati crearono l’alcool, L’alchimia, L’algebra, i logaritmi, i numeri “arabi” con lo zero.

> E parecchi di quei macchinari che Cammilleri ascrive al genio cristiano.

Termini astronomici come “zenit” e “nadir” sono arabi, si sa. Furono anche audaci navigatori e fini costruttori. Da essi i cristiani impararono molto. Dividevano il mondo in due: i seguaci del Profeta e gli altri.

> Ma anche i cristiani, se non erro, divivevano il mondo in due.

Tra questi ultimi i fedeli del Libro (ebrei e cristiani) erano tollerati, ma considerati cittadini di second’ordine.

> Lo stesso, e forse peggio, accadeva nell’occidente, ove i cristiani maltolleravano e perseguitavano chiunque non era del gregge.

Tutti gli altri potevano essere trattati da schiavi o uccisi se non si convertivano.

> Come fece Carlo Magno coi sassoni.

Ma l’Islam non fu mai un’entità monolitica; conobbe quasi subito divisioni e scuole di pensiero.

> Accadde lo stesso con la teoria di sétte cristiane.

Quando quelli che oggi definiremmo “integralisti” presero il sopravvento le cose precipitarono e la pacifica convivenza non poté più continuare. Per questo sorsero le Crociate.

> Le crociate, come tutti sanno (ma chiaramente, la maggior parte di noi è malinformata da storiografi immorali), sorsero per cercare di arginare l’avanzata verso occidente dell’islam in sé per sé; a quel tempo, come Cammilleri ignora o finge d’ignorare, non esisteva “integralismo islamico”.

Non solo. Dal XV secolo in poi la cultura islamica comincia a decadere, perdendo per strada scienza e filosofia. Mancò loro infatti la sintesi di fede e ragione operata da san Tommaso e dalla Scolastica.

> No; più propriamente, mancò loro una qualche sorta di papa.

Per il musulmano Dio è impenetrabile, inconoscibile ed arbitro assoluto di tutto.

> Come lo è per il cristiano, che magari non se ne accorge per il fatto che interpone il “figlio” a cortina del Dio padre, confondendoli.

Di fronte a lui l’unico atteggiamento giusto è quello del muslim, “il sottomesso”.

> Vedasi le prediche alla sottomissione incondizionata dei vari Agostino, Lattanzio, Bernardo et similia. Ma ragioniamo: dall’altro lato, è pur vero che i medesimi predicavano che esiste il libero arbitrio. Altrimenti, come giustificare il male nel mondo? Facendo entrare in ballo il diavolo?

La pioggia cade in giù perché Dio vuole così; ma potrebbe volere anche il contrario. Dunque è inutile chiedersi perché la pioggia cada anziché ascendere; inutile investigare i misteri della natura, tempo perso.

> Non era così anche per i cristiani? Se dovessimo portare esempi di difensori della fede cristiana che predicavano l’inutilità dell’investigazione delle cose, dovremmo fare capitolo a parte. Ma forse è su questo che contano personaggi come Cammilleri.

Invece dice san Tommaso che Dio non può sovvertire le leggi fisiche che Lui stesso ha posto, perché, essendo sommamente razionale, non può contraddirsi.

> Somma virtute de li padri antichi! Quindi fu questo sistema di ragionamento, a fornire la spinta per il progresso cristiano?

Da qui la spinta in avanti del Cristianesimo. Il Cristianesimo è l’unica religione con una “teologia”, cioè una disciplina apposita che studia Dio.

> Capirei che se Cammilleri ignora la teologia islamica potrebbe anche essere una colpa veniale. Quindi, i compilatori islamici di scritti come il Sahih Muslim non si chiamano teologi? Sono teologi solo i contorsionisti cristiani? Forse fa bene a mettere il termine fra virgolette.

Dunque Dio è conoscibile, e l’uomo (che ha una ragione fatta a immagine e somiglianza di Dio) può investigarlo.

> Quindi, sovvertiamo ad es. le premesse del Dio inconoscibile e imperscrutabile di Tertulliano e Agostino, cui Tommaso si rifaceva (e in verità si rifaceva molto più ad Aristotele, cui si rifaceva anche l’arabo Averroé).

Anche attraverso lo studio della natura e la riproduzione dei fenomeni naturali in laboratorio.

> Per caso Cammilleri vuol dire che nel DNA gli scienziati, senza saperlo, scoprono il modo in cui Dio ha creato il genere umano? Di quali fenomeni naturali parla, il nostro?

Insomma anche l’uomo può fabbricare fulmini, come Dio, e non c’è nulla di male in questo.

> Il candore assume tratti parossistici. Peraltro, ricordo in che modo Yahwéh punì i figli di Aronne per aver fabbricato fulmini “magici”…

Anzi. Tutto è buono, a patto di usarne bene. Tra parentesi è il Cristianesimo a introdurre il concetto di “progresso”: la storia del mondo, dice, ha un inizio (la Creazione) ed avrà una fine (L’Apocalisse e il trionfo finale di Cristo), dunque va “avanti”, e si deve preparare il terreno perché tale trionfo giunga presto.

> Inferenza arbitraria, pregna di usuali astrazioni selettive ed eccesso di generalizzazione, assai risibile, direi.

Il mondo pagano, invece, era fatalista, cioè credeva nel Fato, entità cieca che regola i destini degli uomini come gli pare, senza un scopo preciso;

> Va da sé che quanto testé riportato sia una forma di fatalismo aggravato, ossia di tendenza a porre un fine predeterminato. L’introduzione dell’idea di un dio giudice mistifica questa visione.

il mondo pagano non andava da nessuna parte: così era, così era sempre stato e così sempre sarebbe stato. Dunque l’idea di migliorarlo non era nemmeno concepita.

> Ergo, la grandeur del cristianesimo è stata…?

Le due altre “religioni del Libro” (Ebraismo e Islamismo, che si rifanno al solo Antico Testamento) diversamente dal Cristianesimo sono religioni del “comportamento”. Cioè basta seguire puntigliosamente i precetti (non mangiare maiale, pregare le volte prescritte, osservare i periodi di digiuno, etc.) per avere diritto al Paradiso. II Cristianesimo, al contrario, basa tutto sull’intenzione retta, e non ha praticamente alcun precetto, a parte i sacramenti.

> Una via comoda, per il paradiso… Quindi, non c’è precetto nella regola aurea, nel porgi l’altra guancia. Cammilleri vorrà forse dar prova di disconoscere anche i vangeli, oltreché l’etica e la linearità ragionative?

Libere da impacci ritualistici ed allenate al continuo perfezionamento interiore,

> Liberi da impacci ritualistici? Mi chiedo perché mai Cammilleri mostri una propensione così gratuita ad infierire in codesto modo su sé stesso. E su chi è costretto a leggerlo per confutare perniciosità siffatte, se non fosse che troverei più congeniale che personaggi del genere si limitino ad inventare sceneggiature per fumetti, anziché pretendere di fare propaganda d’indottrinamento a danno degli ignari.

oggi le nazioni cristiane sono le più avanzate e potenti. Infatti, come si è detto, anche l’idea di “progresso” è cristiana (continuo miglioramento per tutti), così come l’idea di evangelizzazione (fare partecipi tutti i popoli dei vantaggi della civiltà cristiana).

> Ecco quindi che i cristiani sono migliori di qualsiasi altro credulo. Ergo, dato che una società è frutto della mentalità che la intride, per la proprietà commutativa si può concludere che le patologie psicotiche di chi appartiene al mondo cristiano siano proporzionalmente più preoccupanti.

Per lo stesso motivo, paradossalmente, L’ateismo e l’agnosticismo sono fenomeni nati in casa cristiana: poiché il Cristianesimo fa appello alla ragione e l’apostolato si basa sulla capacità dell’altro di capire che la verità è Cristo, deve ammettere che ci sia qualcuno che, a furia di ragionare, possa arrivare a conclusioni opposte. Che Dio, cioè, non esiste.

> Non c’è che dire: il nostro è indubbiamente un personaggio fuori dal comune. Ma in fondo, non tutti sanno che per quanto riguarda l’orbe occidentale, l’ateismo e l’agnosticismo sono nati in Grecia quantomeno mezzo millennio prima del beninteso messia cristiano.

Illuminismo, positivismo, comunismo, tutti gli “ismi”, insomma, sono nati in Europa.

> Sfortunatamente per Cammilleri e soci: e fortunatamente per il resto del mondo, diremmo. Non è dato a sapersi, però, se questo sia un tentativo di ricondurre anche gli “ismi” più sfavorevoli ad un crogiolo “europeo” cristiano suo malgrado.

Nel bene e nel male la storia del mondo è stata fatta (e continua ad essere fatta) dall’Europa cristiana, e dalla sua appendice americana.

> Ciò è erroneo; nel male, la storia è stata fatta indubbiamente dai cristiani, nel bene da tutti i veri uomini di buona volontà. Come Cammilleri.