di Marco Galeotti

Tutti i capitoli di “Poco di buono. Il romanzo”

Pocodibuonocop.jpg[Parte oggi la pubblicazione del romanzo a puntate di Marco Galeotti.Titolo: Poco di buono. Una serata senza pretese si trasforma in qualcosa di diverso. I buoni e i cattivi che finalmente si scontrano. La voglia di amare e la paura di farlo. Il mar Mediterraneo. La terra e i suoi odori, La strada. C’è poco di buono in giro, ma ne vale la pena.
Marco è un sopravvissuto di varie annate messicane passate tra l’indomabile Distrito Federal, alias Città del Messico, e il profondo Sud azteco. In quell’epoca venne alla luce questo libro che, però, parla dell’Italia, della Liguria, dei bar, della generazione X (com’è stata chiamata), degli anni novanta, degli amici e dei poco di buono. Il romanzo esiste anche in cartaceo, uscì nel 2007 con EnnePiLibri e oggi risorge con Carmilla per qualche domenica. F. L.]


A quelli che non ci sono piú.
A mio padre, che c’è sempre.

…E ovunque mare.
Senza oasi di pace.
In mezzo
l’amato amore
della terra scorbutica.

…E ovunque monti.
Senza oasi di pace.
In mezzo
l’odiato odore
della terra scorbutica.

Prima parte

UNA SERATA SENZA PRETESE

L’appuntamento era alle otto meno un quarto circa al bar del porto (circa). Dovevano parlare di molte cose: del destino del mondo, di come stavano gli amici, se tutto filava liscio o meno. Dovevano discutere di politica, di economia e di cosa bere.
Arrivarono all’appuntamento con 112 minuti di ritardo, così ripartiti: 49 Ito, 63 l’Altro.
Come sempre, Ito prese a rimproverare aspramente l’Altro per il ritardo di 63 minuti, e come al solito l’Altro sapeva che Ito barava, che in realtà era appena arrivato. Lo sapeva perché barava anche a poker 10 anni prima e lui gli sgamava i bluff. Lo sapeva, pure, per l’irrisoria quantità di pigato che aveva fino a quel momento ingurgitato.
D’altro canto l’Altro, fine calcolatore, decise di mettersi in pari per evitare polemiche e tracannò mezzo bicchiere di quel vino prima ancora di sedersi. Bevevano quasi sempre le stesse bevande e le stesse quantità di bevande.
Non sapevano da dove iniziare, ed è sempre così quando si deve parlare di tante cose e si ha bevuto solo un bicchiere di vino.
Non volevano avere a che fare con nessuno, almeno per qualche ora, poi Nessuno poteva dirlo.

Fu così che arrivarono alla saggia decisione di non ordinare altri due bicchieri, bensì una bottiglia di pigato.
C’erano infatti due vantaggi derivanti da quella scelta: innanzitutto non avrebbero rivisto il gestore, pur simpatico, visto che aveva già portato anche gli stuzzichini, mantenendo quindi fede alla loro volontà solipsistica. In secondo luogo, avrebbero assunto un tono ben diverso rispetto agli altri avventori che, quasi impauriti al cospetto della scelta della bottiglia, se ne stavano lì a svuotare i loro bicchierini, sorsetto dopo sorsetto, risatina dopo risatina.
Loro, invece, avevano intenzione di ridere, gridare, piangere, urlare a crepapelle. Di non limitarsi.
Per mantener fede alle intenzioni, cominciarono a fumare nervosamente, in barba ed alla giornata mondiale della lotta contro il fumo e, visto l’accanimento del periodo, anche contro i fumatori.
Fumavano tantissimo, di gusto, beati ed in qualche modo anche sani.
Il primo discorso che affrontarono fu “dove andiamo a mangiare dopo”. Una conversazione stupida, sapevano entrambi che chissà se avrebbero poi mangiato e chissà cosa, eventualmente, e dove.
Ma era così, per rompere il ghiaccio dopo ben 5 giorni senza vedersi e senza bere. Cinque giorni di sano lavoro, di sani rompimenti di coglioni, di sani gas di scarico dalle macchine dagli autobus dalle fabbriche dalle persone da tutto di Milano.
Le 5 giornate di Milano.
Dopo tutta la salute che la settimana milanese gli aveva inflitto si erano rivisti e avevano deciso di bere e fumare e parlare fino a stare male.
Era dura. Ma il vino, comunque, aiutava.
Decisero di interrompere il discorso su dove e come e quando e cosa mangiare, sicuri di riprenderlo più tardi e presero così la seconda e ultima saggia decisione della serata.

Parlavano di calcio, mentre un’avvenente barista apparve dinanzi al loro cospetto.
“E questa figa da dove cazzo esce?” — fece Ito, quasi contrariato per il fatto che non ne sapessero niente, che il Jolly non gli avesse detto che, dopo anni da barista solitario, aveva finalmente deciso di farsi aiutare da qualcuno e che questo qualcuno fosse, nella fattispecie, una figa.
L’Altro decise di brindare alla fica e brindò. Dopo, diede un’occhiataccia al Jolly il quale, pur comprendendo subito il disagio che la ragazza provocava nelle dinamiche relazionali interne al bar, fece finta di nulla. La figa, dal suo canto, continuava a fare la figa.
Ito era un play boy o forse un viveur, noto nella bassa come nelle riviere per accoppiarsi spesso, sapendosi accontentare all’occorrenza.
L’Altro, molto più riservato e selettivo, non parlava quasi mai delle sue conquiste, ma si vociferava che dava in realtà dei punti a Ito e non solo a lui: taluni lo accostavano addirittura al Pessimo, un gigolò professionista, conosciuto e rispettato dalla Versilia fino a Saint Tropez.
La fica ficheggiante ficheggiava fra i tavoli tutta tette e sorrisi e un bel culo anche. Era assolutamente evidente il link fra quelle curve ammalianti che non smettevano di muoversi in un ipnotico gioco erotico e il bisogno impellente di bere.
L’Altro e Ito ci stavano riuscendo, tutto sommato, a bere e a rientrare nel loro amato guscio, a dispetto di chi tentava di distogliere la loro attenzione dai programmi stabiliti.
Ci stavano riuscendo quando entrarono nel bar quattro tizi palestrati abbronzati volgarmente profumati probabilmente scimuniti, giovani ma non troppo.

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SPASMI DA CONSUMO, GENTEMERCE, SOCIETÁ MORENTE E POI, TUTTO D’UN TRATTO…

Il mare.
Era il mare che li faceva tornare.
E valeva la pena, anche, di sottostare alle sporche regole del gioco per rivederlo, il mare.

I quattro entrarono e parlarono di molte cose, essendo sempre tutti d’accordo e mantenendo posizioni diametralmente opposte alle loro.
Ito e l’Altro erano due persone diverse, due metà che, se fosse stato possibile riunire positivamente in un unico essere, avrebbero molto probabilmente generato uno dei migliori esemplari di essere umano vivente nella morente società del terzo millennio.
Avevano, insieme, la possanza della forza e la dolcezza della debolezza, erano sicuri ed insicuri, calmi e nervosi, sapevano aspettare e agivano d’istinto. Da soli, generalmente, ottenevano risultati opposti. Rimanevano, cioè, due mezzi uomini.
La tremenda cagata che fecero agendo individualmente ne è testimonianza: i quattro parlarono in pochi minuti in modo razzista degli immigrati, delle donne, degli omosessuali e di tutte le altre forme di diversità dall’ormai esigua maggioranza di normali nella quale si identificavano; si vantarono della loro forza e lodarono la forza del denaro, dei ricchi, dei famosi.

L’Altro, allora, pensò bene di alzarsi, guardarli uno ad uno negli occhi e… Ito aveva già capito, si alzò anche lui, nel tentativo di precederlo e disse cose tipo “il mio amico ha bevuto un po’ troppo”.
“Ma che cazzo dici?”. Gli fece l’Altro.
“il mio amico ha subito un trauma ed è nervoso”.
“Ma che cazzo dici?”.
“il mio amico… non statelo a sentire… non prendetelo sul serio…”.
In realtà, Ito aveva già capito, anche, che l’Altro avrebbe comunque fatto la troiata.
Difatti l’Altro, continuando a guardare con odio negli occhi i quattro, che peraltro erano già nervosi, urlò:
“Porci fascisti figli di troia!”. Nel silenzio più totale.
Chissá perché sentiva il bisogno di intervenire. Forse manifestava solo la necessitá di avere un colore per cui battersi, di non ammettere che non esistevano piú i colori o che non ne valeva la pena.
Uscí rosso sulla roulette.

La fica ficheggiante ruppe un bicchiere. Ito urló:
“No, dai, non arrabbiatevi, è solo una citazione* , non …”.
I quattro si alzarono, cominciarono a minacciarlo e a quanto pare aveva anche beccato effettivamente dei fascisti, almeno uno, quello che mostró con orgoglio una croce celtica tatuata (male) sull’enorme avambraccio destro.
Va detto che l’Altro non era di certo corpulento e nemmeno particolarmete alto e non aveva un’espressione cattiva.
Va specificato, inoltre, che l’Altro non amava i fascisti e che, come detto, era uscito il colore rosso al tavolo dove scommetteva.
In questi casi generalmente Ito non perdeva la calma: faceva, razionalmente, ciò che gli sembrava più opportuno: cercava con lo sguardo il padrone del locale, continuando nel mentre a parlare per cercare di rasserenare il plumbeo cielo del litigio che minacciava piogge di cazzotti; tentava di scovare le vie di fuga più prossime alla loro posizione e studiava gli eventuali punti deboli di quelli che vedeva inevitabilmente come rivali.

C’erano però alcune cose che Ito proprio non accettava e, pensando di essere a suo modo decisamente coerente, tali faccende potevano trasformarlo.
Faceva parte di questo insieme di cose, ad esempio, l’ingiuria verbale pronunciata con noncuranza da un palestrato rasato abbronzato che poneva l’accento:

1) sulle sue qualità di “uomo”
2) sulla sua buona fede
3) sui suoi affetti.

Si dà il caso che uno gli disse:
“Stai zitto frocio di merda figlio di troia se no ti ammazzo”.
A quel punto Ito cambiò la canzone della sua colonna sonora che fino ad allora, in quei momenti di amicizia, era stata ritmata da Stand By me, New kid in town e Starway to Heaven degli Zeppelin (all’apparire della fica ficheggiante). Partì Rigurgito Antifascista ed il nostro, forse memore di una delle ultime scene di “Lo chiamavano Trinità”, prese due dei quattro tipi – quello che lo aveva ingiuriato e quello di fronte a lui – e li fece sbattere uno contro l’altro, poi tirò un destro in pieno muso a staizittofrociodimmerdafiglioditroiasenotiammazzo. E sputò in faccia all’ultimo, mordendolo poi all’altezza della spalla destra.
Incredibile.

L’Altro ne approfittó per tentare di ordinare da bere qualcosa di forte.
Intervennero tutti gli astanti, specialmente a parole, ma quando una sirena si udì in lontananza — probabilmente solo una Croce Rossa che passava di lì per andar chissà dove — Ito e l’Altro si guardarono, lasciarono 20 euri sul tavolo e scapparono.

*Da Underground di Emir Kusturica.

Marco Galeotti è nato nel 1977 ad Imperia, a Borgo Fondura. Sotto il livello del mare. Ha vissuto tra Italia, Spagna e Messico, lavorando come professore, interprete, traduttore, impiegato, attore e formatore. Adora il calcio e le carte. Gli piacerebbe tanto poter volare.