di Sandro Moiso

revfrancaise.jpgC’erano ufficiali civili senza alcuna nozione di pubblica amministrazione e prelati dalla faccia di bronzo della peggior mondanità. Non ce n’era uno che fosse adatto alla professione a cui era chiamato e tutti mentivano sfacciatamente pretendendo di essere quel che non erano, ma tutti erano stati assegnati a un qualsiasi pubblico impiego in cui ci fosse da rubare. E faccendieri c’erano, capaci di trovar rimedi per ogni piccolo malanno da cui era afflitto lo Stato, eccettuato quell’unico rimedio che consisteva nel mettersi a lavorare sul serio su ogni singolo problema.” (Charles Dickens, Una storia tra due città, 1859)

l’düra minga!”*

Da quanto leggo sui giornali di questi giorni, mi trovo a vivere nel cuore del cuore del paese ovvero in quella fascia di paesotti compresi tra la provincia di Brescia e quella di Varese in cui si giocheranno i centomila voti destinati a segnare il destino di chi governerà l’Italia. Dalle rovine del sistema Lega e del sistema Formigoni potrebbe risorgere il radioso futuro d’Italia. Cazzo, emozionante davvero! Chi l’avrebbe mai detto?!


Tale è la situazione a poche settimane dalle elezioni politiche, ma “ ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”.
Certo l’inevitabilità di un Monti-bis è rimasta e le minacce di manovre e i primi scricchiolii dello spread confermano la tendenza già da lungo tempo individuata su queste pagine. La novità è però costituita dall’arroganza con cui il Professore si è buttato nella mischia.

Aggressivo, minaccioso, petulante, arrogante e voltagabbana, il nostro stimato docente bocconiano sembra aver completamente perso la tramontana ed essersi buttato in una campagna elettorale in pieno stile berlusconiano, cui mancano solo le ragazze pon-pon a cui ci aveva abituati il precedente presidente del consiglio. Uno stile che non si addice, però, al risultato che il rappresentante della Goldman Sachs vorrebbe ottenere. Ovvero il trionfo elettorale.

Continuare a ripetere ossessivamnete, come un replicante uscito dalla penna di Philip K. Dick,“Io sono la sola la salvezza e la sola speranza!” non basterà più a convincere un elettorato disperso e deluso che nome non ha. E l’attacco, ormai quotidiano, al PD alternato ad altrettanto frettolose riappacificazioni, pur rispondendo alle esigenze della società dello spettacolo, potrebbe finire con l’indebolire troppo un partito già in calo di preferenze elettorali e devastato dalle attuali vicende legate al Monte dei Paschi di Siena. E che è stato, fino ad oggi, il massimo sponsor politico del governo Monti e anche il suo più fedele alleato.

Mostrare troppo i muscoli da parte di Super Mario potrebbe finire con il compromettere la durata del governo che deve ancora venire e che rischia così di nascere morto.
Tutto pieno di sé il professore sembra non accorgersi o non tener conto dell’odio e dell’insofferenza accumulati nella società italiana nei confronti delle sue politiche finanziarie e filo-bancarie. Non rendersi conto, soprattutto, che il ricatto e l’arma dell’aumento dello spread, che tanto funzionarono nell’inverno del 2011, oggi risultano essere strumenti alquanto spuntati.
Senza contare che i crolli di borsa che accompagneranno tutta la campagna elettorale erano talmente prevedibili da lasciare stupefatti per la totale mancanza di creatività politica da parte dello staff internazionale del Professore.

E a dirlo non sono solo gli estremisti e gli eterni antagonisti cui appartiene certamente anche il sottoscritto. Sono i risultati delle inchieste della Abis — Makno pubblicati sul Sole 24ore del 31 gennaio, che confermano come, proprio in una delle aree più produttive del paese, Lombardia e Nord-Est, il mondo delle piccole e medie imprese e dei professionisti “non riesce a scegliere, resta ancora nell’astensione e non ha deciso se e come voterà” (Lina Palmerini, Il blocco produttivo del Nord in “stand by”).

Questa indecisione è tanto più interessante da “monitorare -ora e al Nord- perché è la prima volta da quando è nata la seconda repubblica che si va a votare con la recessione. Oltre che con una delegittimazione forte verso politica e banche” (ibid.). E proprio un’altra indagine, fatta questa volta dalla Fondazione Nord-Est nel dicembre 2012 su un campione di 300 imprese , conferma che “la fiducia nella politica è crollata, non c’è mai stato un tasso così basso: a livello regionale è passata dal 42,8% del 2008 al 30,7% del 2012; a livello nazionale dal 36,6% al 23% […] Vista da qui, quest’area produttiva si sente senza più una rappresentanza forte, il numero di indecisi resta molto alto. Non si possono escludere sorprese: dalla quota di astensione all’emergere di nuove forze” (Palmerini).

Questi sono gli elementi di novità che già ora si possono cogliere e che, insieme ai dati sulla propensione politica delle piccole e medie imprese del Nord-Ovest, potrebbero confermare un exploit delle liste 5 stelle e grilline da una parte e dell’astensionismo dall’altra. Di Grillo si è già parlato a sufficienza su Carmilla, ma ciò non toglie che un superamento della soglia del 20% a livello nazionale da parte della sua lista rappresenterebbe sicuramente un motivo di instabilità politica e di sostanziale ingovernabilità.

Questo, lo si ripete qui ancora volta, non tanto per le qualità intrinseche del Movimento 5 stelle (demagogia e populismo associati ad un capo carismatico più affabulatore che politico), ma per l’erosione delle liste di centro-sinistra e centro-destra che questa affermazione elettorale rappresenterebbe. Senza nulla portare alla coalizione Monti, destinata ad arenarsi poco sopra il 10% e già in crisi al suo interno per il timore di Casini e Fini di non raggiungere nemmeno il quorum con i propri simboli.

Soprattutto una significativa erosione del centro-sinistra ed un elevato tasso di astensionismo potrebbero portare al secondo governo Monti a tre (PD, PdL, Scelta civica) che non potrebbe, però, assolutamente durare cinque anni e forse neppure uno. Con un PdL destinato certamente, nonostante le promesse sempre più macchiettistiche del suo leader, a non ripetere nemmeno lontanamente i risultati elettorali degli anni passati e un PD sempre più in crisi di rappresentanza, come già preannunciato da Casini, si potrebbe dar vita, al massimo, ad un governo semestrale atto ad eleggere soltanto il nuovo Presidente della repubblica.

Il paradosso è questo, ma forse non lo è nemmeno tanto: pur in assenza di lotta di classe la borghesia non riesce a governare e a governarsi. Troppe le discordie interne, troppo lontane le esigenze del capitale finanziario da quelle delle piccole e medie imprese che rischiano, ancora una volta, di farsi stritolare dalla macchina della speculazione internazionale, dalla concorrenza dei BRICS e dalle diatribe interne all’amministrazione pubblica italiana. Mentre l’aumento abnorme delle ore di cassa integrazione, cresciute del 61,6% nel solo 2012, e le previsioni sulla diminuzione ulteriore dell’occupazione, almeno 80.200 posti di lavoro in meno nel solo primo trimestre di quest’anno a livello nazionale, la dicono lunga sull’efficacia economica dei provvedimenti adottati dai “tecnici”.

Di questi 80.200 posti, quasi 10.000 saranno persi nella sola Lombardia e questo rimanda all’attuale attesa elettorale sui risultati politici che usciranno da alcune province lombarde. In un contesto socio-economico dove già in passato le scelte elettorali di una classe operaia delusa dalla sinistra istituzionale hanno finito col combaciare con quelle espresse dagli imprenditori delle piccolissime, piccole e medie aziende. Scelte che, nel caso degli anni novanta, finirono col determinare l’effimero successo della Lega di Bossi.

Nell’attuale contesto, proprio il passaggio rappresentato dalla elezione del nuovo presidente della repubblica potrebbe rivelarsi cruciale. Infatti il presidente uscente ha già preparato lo scenario censorio ed autoritario utile alla nomina di un Presidente forte, formalmente in grado di nominare governi di emergenza anche in assenza dei voti e dei consensi formali necessari. Come è già stato sperimentato in occasione della formazione del governo tecnico che, pur con tutto il disprezzo che il precedente governo era riuscito ad attirare su di sé, non è stata altro che un autentico e subdolo colpo di stato.

Monti-PD, Monti-PD-PdL oppure Monti autoritario senza altre aggiunte: questo sembra attenderci dopo le elezioni, ma nel gran disordine che sembra destinato a regnare nei prossimi mesi forse potrebbe tornare ad aggirarsi lo spettro della lotta di classe. Che da un significativo ridimensionamento elettorale del PD e dei suoi miserabili accoliti di ogni colore potrebbe aver parecchio da guadagnare e che costringerebbe ad una riflessione più ampia ed approfondita sui programmi o, meglio, sul programma da portare avanti con le lotte future.

* “non può durare!”

N.B.
Le opinioni fin qui esposte sono da addebitare esclusivamente all’autore dell’intervento e non alla redazione di Carmilla nel suo insieme.