dell’Assemblea contro il carcere e la repressione

AssembleaCarcereStriscione.jpg[Ci eravamo già occupati di alcuni dei “brigatisti potenziali” arrestati il 10 giugno dell’anno scorso: Manolo Morlacchi e Costantino Virgili (vedi qui e qui), Bruno Bellomonte (vedi qui). Quest’ultimo non ha nemmeno potuto votare alle elezioni di Sassari, in cui era candidato sindaco per la lista A Manca pro s’Indipendentzia e ha ottenuto un migliaio di voti; in più, è stato licenziato da Trenitalia, sebbene non colpito da sentenza definitiva.
All’udienza preliminare del 27 maggio tutti gli arrestati del 10 giugno 2009 sono stati rinviati a giudizio malgrado la fragilità delle prove a loro carico, cadute del tutto nella maggioranza dei casi. L’Assemblea permanente contro il carcere e la repressione, nata a sostegno dei detenuti, ci manda due suoi interventi sul tema. Li pubblichiamo con piacere. Il nostro punto di vista è ovviamente diverso, almeno in parte: lo abbiamo esposto e lo esporremo con calma. Tuttavia nessuna voce dell’antagonismo sociale, in un momento come questo, va tacitata.] (V.E.)

Si può fare solo una cosa cioè far valere e sostenere con tutte le forze
quello che nelle concrete situazioni sociali e politiche
può condurre ad una società di uomini liberi.
Se non si fa questo vuol dire che ci si rassegna
a che l’uomo sia solo un pezzo di fango.

J.P. Sartre

La sequela di inchieste che si stanno succedendo in Italia con una scadenza ormai semestrale testimonia la volontà dello Stato di sconfiggere l’opposizione manifesta a un sistema sociale ed economico che ormai non ha da offrire che razzismo, sottomissione e disgregazione, andando a punire condotte reali o potenziali in qualche modo lesive dello stato di cose presenti.
L’inchiesta del 10 Giugno perfettamente si inserisce in questo panorama come tutte le altre che vedono coinvolti rivoluzionari sia anarchici che comunisti.
Quello che vogliamo ribadire è la nostra solidarietà ai compagni prigionieri in un percorso che, al di là delle sterili differenziazioni, senza vittimismo e commiserazione, sia capace di continuare e rafforzare le lotte nelle loro molteplici espressioni e modalità, e di sostenere quel filo che ci unisce ai compagni reclusi, che è lo stesso filo che unisce i compagni più esperti con quelli più giovani e volenterosi, tramandando la rivoluzione. Crediamo infatti che le lotte di questi compagni vadano tutte nel senso del rovesciamento di un dominio, di un intero sistema sociale, politico ed economico che ben conosciamo e tutto questo ci pone, noi e loro, dalla stessa parte della barricata.
In questo scenario l’unica solidarietà possibile è quella che si esprime come azione politica militante, è quella che dice agli arrestati che non sono dentro per nulla, che fuori non c’è il vuoto pneumatico, ma ci siamo noi che continuiamo la loro e la nostra lotta, consapevoli del prezzo che viene e verrà fatto pagare ogniqualvolta qualcuno alzi la testa.
È possibile sostenere i compagni prigionieri e dare prospettive alla nostra opposizione, arricchendola della coerenza, determinazione, dignità e coraggio di coloro che vengono colpiti dallo Stato, impedendo che spiragli di pratiche rivoluzionarie siano messi al bando.
E se la politica e la lotta entrano nel carcere allora la reclusione, che ha il solo obiettivo di isolare e disgregare, è resa inutile.
Solo affrontando la prigione da un punto di vista politico, e non con il codice di procedura penale in mano, le si dà la sua giusta dimensione, evitandoci anche di lottare inutilmente contro l’obiettivo sbagliato, come succede a garantisti e democratici.
Consideriamo quindi i nostri compagni semplicemente trasferiti in un altro settore di intervento.
E se è vero che il carcere è funzionale al mantenimento dell’ordine dato, allontanando dalla vista le contraddizioni del sistema e imprigionando i rivoluzionari, sappiamo che esso, al pari di qualsiasi altro luogo di aggregazione e segregazione, può trasformarsi nel suo contrario e produrre rivoluzionari e liberazione, da George Jackson a tutte quelle forme di organizzazione politica e di rivolte che hanno attraversato l’Italia dagli anni Settanta in poi.

Assemblea contro il carcere e la repressione
assembleacontrolarepressione@gmail.com

Per chi volesse scrivere ai prigionieri rivoluzionari detenuti nel carcere-confino di Catanzaro, l’indirizzo è questo: Casa Circondariale
Via Tre fontane 28
88100 Siano (CT)

Rinvio a giudizio per gli imputati del 10 giugno

Il 27 maggio 2010 si è svolta l’udienza preliminare che vede alla sbarra gli imputati dell’inchiesta del 10 giugno.
Il procuratore aggiunto Pietro Saviotti ha ottenuto il rinvio a giudizio per tutti gli otto compagni per partecipazione ad associazione terroristico-eversiva costituita in una banda armata denominata Per il comunismo — Brigate Rosse; alcuni sono anche accusati di atto di terrorismo con ordigno esplosivo e micidiale alla caserma Vannucci della Folgore, a Livorno; detenzione e porto di un mortaio artigianale e di candelotti di esplosivo al fine di sovvertire l’ordinamento dello Stato; detenzione di armi. Le persone considerate offese nella richiesta del pm sono il presidente del Consiglio dei Ministri e il Ministro della Difesa.
Il processo inizierà il 16 settembre 2010, presso il tribunale di Roma.
Non ci stupisce questo esito che era scritto, come noto era già il fatto che la fermezza rivoluzionaria nel ventre della bestia si scontra inevitabilmente con il carcere.
Non ci preme sapere se i nostri compagni abbiano fatto ciò che viene loro contestato perché sappiamo bene da che parte stare e siamo consapevoli che ribellarsi a questo sistema di sfruttamento significa scontrarsi con chi lavora unicamente per annientarci, nelle galere come nelle strade, il che fa scattare la logica intimidatoria e punitiva delle istituzioni democratiche.
Ma la loro prigionia non induce a piegarci ed a rinunciare alla nostra identità politica autonoma rispetto ai modelli borghesi.
Se lo Stato democratico pensa di difendersi a colpi di sentenze, è destinato a un’amara delusione, perché la rivoluzione dice: io ero, io sono e io sarò.
Non ci sfuggono certo le difficoltà: oggettive, quelle dovute all’attuale condizione politico-economica e alle violenze che la democrazia parlamentare si concede con il plauso dell’opinione pubblica; e soprattutto soggettive, quelle legate all’espressione del pensiero e della pratica rivoluzionari.
I nostri attrezzi sono l’unione, la determinazione e la lotta, gli unici di cui disponiamo, ma che sono anche più che sufficienti per ribaltare un meccanismo globale strutturalmente in agonia, perciò non ci lamentiamo.
I ribelli di ieri e di oggi, e ovunque nel mondo, hanno affrontato condizioni ben peggiori per giungere infine alla vittoria.

LA RIVOLUZIONE E’ UN FIORE CHE NON MUORE