di Fabio Deotto

LeonardoTorriciniSoldatiniSS.jpgC’è una storia che meriterebbe di essere raccontata in eterno. Una storia che ora riposa sotto un memoriale in un cortile dalle parti di via Baracca, ad Arcore. È la storia di un gruppo di ragazzi poco più che maggiorenni che ha lottato contro una dittatura e un esercito invasore, alcuni sacrificando una vita appena fiorita, altri riportando ferite che non si sarebbero mai più rimarginate. Dove ora invecchia una scatola di cemento a quattro piani, sessant’anni fa si allungava un campo di aviazione, presidiato da soldati tedeschi al soldo del nazismo, li chiamavano SS. Una sera di fine dicembre, 24 ragazzi dei comuni del vimercatese hanno imbracciato mitra scadenti per liberare le loro città da un nemico verso cui il resto dello stato Italiano non aveva il coraggio di puntare il dito.

E’ la storia di una notte di battaglia, di un popolo libero contro una dittatura che consumava le sue ultime feroci cartucce. Erano ragazzi come me, spesso più giovani, alcuni sono morti e hanno dato il nome alle strade delle nostre città, altri sono sopravvissuti fino a oggi, e portano con sé una storia che non dovremmo mai stancarci di raccontare.

Si parla spesso di memoria, in questi tempi, della necessità ogni ora più attuale di non lasciar spegnere il ricordo della Resistenza, di impedire che quanto è successo torni ancora. Perché per far sì che tante vite non siano andate perse invano è necessario passarci il testimone di generazione in generazione, impresa sempre più difficile, anche per colpa di chi è rimasto in disparte ad attendere l’oblio per cambiar di vestito.

C’è un tentativo in atto, un tentativo subdolo, a volte sfacciato, spesso politico, di riscrivere una Storia nuova sulle pagine sbiadite di quella autentica, di sostituire insomma il sangue con l’inchiostro. Ed è proprio per questo che sono le nuove generazioni le prime a dover stringere i denti e respingere questi attacchi. Se sapranno arginare oggi la tendenza revisionista renderanno più semplice il compito a chi verrà dopo di loro. Ora, a più di sessant’anni dalla fucilazione di Farinacci sul selciato del municipio di Vimercate, per la prima volta mi trovo ad affrontare il pericolo di un cedimento della memoria alle spinte revisioniste. E senza la vostra memoria, senza il reiteramento del ricordo di tutti, una barriera che fino a oggi è stata intoccabile andrà sgretolandosi come terra al vento.

Negli ultimi anni ci sono stati parecchi dibattiti attorno ai libri scritti da Gianpaolo Pansa. Ora, questo non è il momento né il luogo per discutere del contenuto di questi scritti. Ma voglio lo stesso fare un piccola considerazione su questa faccenda, perché rientra esattamente nel discorso che stiamo facendo oggi.

Pansa, antifascista, ha intitolato il suo libro più famoso Il Sangue dei Vinti. Titolo che si riferisce all’uccisione di gerarchi fascisti da parte di partigiani anche dopo che la guerra era finita.

Vinti. Parla di Vinti. Come in una qualsiasi guerra, come se si trattasse di Romani contro Cartaginesi, i Romani conquistano Cartagine e ci entrano da vincitori, gli altri abbassano la testa sconfitti, vinti. Poi penso all’Italia, al Fascismo, alla Repubblica Sociale di Salò, all’invasione Nazista, all’esercito Partigiano di Liberazione. Ed ecco che la parola sfodera i suoi artigli, nel giro di poche lettere i fascisti sono passati da dittatori a Vinti, da squadristi a vittime, da sovrani a invasi. E’ un meccanismo perverso, silenzioso, che scavalca l’attenzione più in fretta della memoria storica, ti salta al collo e chiede pietà. I Vinti suscitano tenerezza, compassione, i Vinti non possono confondersi con gli oppressori, non possiamo permetterlo. In italia c’è stata una dittatura, una DITTATURA, ragazzi, con tanto di assassinii, soppressione della libertà di stampa e leggi razziste. Parliamo di regime allora, di errori storici, di vergogna. Chiamateli disgraziati, se proprio volete. Ma mai, né oggi né in futuro, non vi azzardate a chiamarli Vinti.

Da anni mi interrogo sul significato della memoria storica e sulla soluzione da adottare per renderla eterna. E allora mi tornano alla mente i poemi epici, e prima ancora gli aedi, i cantori professionisti dell’epoca greca, che impegnavano la propria vita a farsi messaggio e messaggeri della Storia, senza poter usufruire di un testo scritto, ma affidandosi completamente alla propria memoria. Penso al loro rendere favola la tragedia, a rendere immortale la morte di migliaia e migliaia di esseri umani. Il loro era un compito difficile, che veniva rispettato e riconosciuto da tutta la cittadinanza. L’aedo era intoccabile, poichè portatore di Verità.

Oggi Verità è una parola abusata, sfruttata come arma e come spauracchio, mitragliata come sprone e dispensata in dosi massicce come sedativo. E’ l’epoca della svalutazione delle parole, realtà intangibili, astratte come libertà e democrazia sono state svuotate del loro significato, rese pericolose. E’ il momento di nuovi aedi, di scrittori, cantautori che si affianchino a storici e giornalisti nel primo vero sforzo per rabboccare il calice vuoto della verità storica. L’Italia è un paese ricco di storia ma povero di memoria, ha bisogno di costante ripasso, di gente che racconti. E allora ascoltiamo, noi che abbiamo il prezioso privilegio di prestare orecchio a chi questa storia l’ha scritta con i denti e con le lacrime. Ascoltiamo e prepariamoci a raccontare, a diventare ognuno di noi aedo della nostra storia.
Consci del fatto che questa volta non si tratta di narrare le gesta di un popolo guerriero, ma del guizzo vitale di ragazzi partigiani che hanno saputo liberare una terra e dare un significato concreto alla parola Libertà.