lospaziodelreale0003.jpgdi Massimiliano Coviello

Lo spazio del reale nel cinema italiano contemporaneo
A cura di Riccardo Guerrini, Giacomo Tagliani, Francesco Zucconi
(Le Mani, Recco 2009; 144 pagine, brossura, ill. colori, 14 €)

Negli ultimi anni la critica cinematografica, ma lo stesso si potrebbe dire per quella letteraria, sembra aver riscoperto la propria fame di realtà. Questo di per sé non può che essere un bene, perché è una buona occasione per tornare a riflettere sul rapporto che il cinema stabilisce con il mondo e con i suoi significati, e soprattutto possiamo farlo alla luce degli eventi storici recenti. E’ però vero che “il ritorno alla realtà” nel cinema italiano contemporaneo viene spesso declinato nelle forme brutali di un realismo tematico. In altre parole un film come Gomorra sarebbe realista perché parla di Camorra e in questo senso si potrebbe addirittura invocare un “ritorno al neorealismo”. Il limite evidente di una tale posizione, tutta interna ad un’idea di realismo ideologicamente impegnato, è di ignorare completamente il discorso formale del cinema, ossia le procedure e le tecniche con cui l’immagine cinematografica interroga, costruisce, decostruisce e ricompone il reale.

E’ questo aspetto di “costruzione della realtà” ad essere indagato in Lo spazio del reale nel cinema italiano contemporaneo [1] (Le Mani, € 14, pag. 144). Una raccolta di saggi che, sebbene presentino approcci metodologici anche molto diversi tra di loro, sono tutti attraversati dal comune tentativo di oltrepassare una lettura meramente tematico-sociologica del realismo cinematografico. A dire il vero lo scopo di questo libro sembra essere ancora più ambizioso e promettente, ossia andare aldilà del concetto stesso di realismo per proporre quello ben più complesso di testualizzazione del reale, una formula esplicitamente ripresa dall’uso che ne faceva il più deleuziano dei teorici italiani, Maurizio Grande [2]. Una proposta che ha il vantaggio di allargare le maglie del realismo, inteso come una costruzione stilistica che risponde a determinati codici compositivi, e di guardare alla capacità di un film (anch’esso un testo) di esporre e costruire uno spazio socio-culturale rappresentabile e comunicabile.
Secondo Giorgio de Vincenti sono proprio le pratiche che “lavorano il reale” a caratterizzare la “modernità cinematografica” (p. 29). Come ci ricorda Federico Montanari, nel suo saggio dedicato alla teoria di Grande, il cinema è un dispositivo che produce e riproduce “quadri di senso atti, si badi bene, non solo a percepire il ‘reale’ non solo a categorizzarlo e ‘inquadrarlo’, ma ad interagire attivamente con la sua produzione. Filtrare è costruire e ricostruire” (p. 19). Ciò significa che la testualizzazione del reale riguarda anche e soprattutto le strategie con cui il cinema interroga le fonti documentarie appartenenti al passato, per poi connetterle al presente attraverso una fitta serie di rimandi intertestuali. Seguendo questa direzione, il saggio di Marco Dinoi (Inserti, prelievi, innesti. Per una tipologia di figure del reale nel cinema contemporaneo) è un vero e proprio campo di elaborazione teorica sui modi con cui il cinema attrae e mette in forma materiali e documenti storici [3]. Un’intertestualità che nulla ha a che fare con i ripiegamenti linguistici postmodernisti, ma che anzi ci aiuta a comprendere la portata etica e politica che il cinema, in quanto forma artistica sempre più “ibrida” e transmediale, può e deve esercitare. Diversi sono i saggi che indagano le possibilità diagnostiche del cinema nei confronti della storia personale e collettiva, con l’obiettivo di smascherare i processi di costruzione del reale, inteso come affermazione/imposizione del consenso.
Riprendendo le riflessioni di Pier Paolo Pasolini sulle possibilità del montaggio di compiere un’organizzazione narrativa del tempo esistenziale [4], il saggio di Francesco Zucconi investiga la capacità di Un’ora sola ti vorrei (2002), straordinario “oggetto documentario non identificato” di Alina Marazzi, di ri-articolare l’archivio delle immagini familiari sino a farne una storia collettiva che va ben aldilà del passato personale della regista.
Il cinema di Crialese, sottoposto alla lente analitica di Dimitri Chimenti, articola un discorso sul reale e non un semplice effetto di scrittura. Tra l’evocazione di un mondo storico, che non raggiunge mai una completa attualizzazione, e la sua ricostruzione “arrichita” da elementi finzionali, passano procedure che mettono in forma alcune costanti formali e compositive nelle relazioni tra spazi e corpi. Ad esempio, in Nuovomondo si verifica “una coercizione posturale che diviene ancor più evidente nello spazio geometrico-vettoriale dell’ufficio immigrazione di Ellis Island” (p. 125).
Giacomo Tagliani, nell’analizzare Le conseguenze dell’amore (2004) di Paolo Sorrentino mette in luce la perdita di soggettività all’interno dei nonluoghi — è il caso, ad esempio, dell’albergo in cui il protagonista Titta di Girolamo è ridotto a trascorre la sua esistenza.
Sulla capacità testimoniali, di “rappresentare il presente” attraverso la lente deformante del grottesco, e quindi sottraendosi alla pedissequa riproposizione di eventi ed esistenti della realtà politica italiana dell’ultimo ventennio, si sofferma con puntualità il saggio di Roberto De Gaetano su Il caimano (2006) di Nanni Moretti. Il lavoro di Roy Menarini traccia una mappatura dei generi che influenzano il recente cinema italiano ed esplicita così le tendenze “latenti” del grottesco rinvenibili nella produzione di Matteo Garrone e Paolo Sorrentino. Infine, il saggio di Bruno Roberti individua nel grottesco una delle componenti centrali per il trattamento dei corpi e degli spazi nel cinema di Ciprì e Maresco.

Di sicuro una sfida quella intrapresa dai giovani curatori del libro, dedicato alla memoria e all’insegnamento di Marco Dinoi, che chiede di essere raccolta e nuovamente messa in causa. Testimonianza di questa sfida è stato il seminario di ricerca multidisciplinare “Lo sguardo e l’evento. Letture incrociate”[5] che ha raccolto contributi originali che partivano dal libro di Marco Dinoi “Lo sguardo e l’evento. I media, la memoria, il cinema” per riflettere sui rapporti tra estetica e teoria del cinema, sulle potenzialità testimoniali e storiche delle immagini.

Note
1. Il volume riprende ed amplia l’omonimo convegno svoltosi presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena nel maggio del 2007.
2. Cfr. M. Grande, La commedia all’italiana, a cura di O. Caldiron, Bulzoni, Roma 2003, pp. 8-20.
3. Il saggio è stato precedentemente pubblicato all’interno del capitolo “La scena della memoria”, in M. Dinoi, Lo sguardo e l’evento. I media, la memoria, il cinema, Le Lettere, Firenze 2008, pp. 176-192.
4. P. P. Pasolini, “Osservazioni sul piano sequenza”, in Empirismo eretico, Garzanti, Milano 1972.
5. È possibile scaricare tutti i materiali relativi al seminario (interventi audio e saggi in pdf), svoltosi presso la sala Cinema della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena tra gennaio e maggio 2009, sul sito www.level5.it