INTERVENTO AL 2° CONVEGNO NAZIONALE DEI GARANTI TERRITORIALI, BOLOGNA, 20 MARZO 2009

di Valerio Guizzardi (Ass. Culturale Papillon-Rebibbia ONLUS)

JacoboSilvaNogales.jpgGli ultimi provvedimenti governativi in fatto di sicurezza, Giustizia e carcere ci suggeriscono che un vento di restaurazione sta spazzando il nostro paese portando con sé diritti civili acquisiti in anni di lotte sociali e garantiti dalla Costituzione nata dalla Resistenza. In un contesto politico in cui ai valori si sostituiscono gli interessi di mercato, arrivano a flusso imponente e continuo decreti legge d’urgenza, per sfuggire al confronto parlamentare, che impongono pesanti restrizioni ai più elementari diritti di cittadinanza. Si va dalla limitazione del diritto di sciopero e di manifestazione, a una scorretta e non veritiera informazione, allo smantellamento del Welfare e delle politiche sociali, alla saturazione del Codice Penale con una produzione inaudita, tutta ideologica, di nuove fattispecie di reato e aggravamento delle pene.

Per non parlare dell’irresponsabilità della gran parte dei media e di certi schieramenti politici nel creare emergenze continue prendendo di mira, di volta in volta, particolari gruppi sociali e usare le vittime dei reati per incitare l’opinione pubblica all’odio razziale e xenofobo. I media per aumentare l’audience e quindi i guadagni, i politici per incassare vantaggi sul piano del mercato elettorale. In ambedue i casi a nessuno importa dei danni procurati alla coesione sociale, di scatenare guerre tra poveri se possono perseguire i loro privati interessi materiali. L’estorsione del consenso a mezzo di terrore è un meccanismo perverso che produce una infinità di danni collaterali tra i quali, ogni giorno più evidente, la carcerazione non necessaria. E, per essere brevi, si minimizza e non si interviene come si dovrebbe per arginare una crisi devastante dell’economia reale come mai si era vista dal 1929, ma nello stesso tempo ci si attrezza per prevenire con misure sempre più illiberali e repressive il conflitto sociale che inevitabilmente arriverà. L’idea di una gestione autoritaria della crisi economica, infatti, esige uno stato di eccezione legislativa permanente. Si tenta così di conservare ricchezze, potere e poltrone da parte di una casta impolitica corporativa e oligarchica, scaricando la crisi sul lavoro dipendente e su milioni di famiglie appartenenti agli strati meno abbienti della popolazione.
Ma come l’esperienza ci insegna, se si risponde con lo Stato Penale alle turbolenze sociali, non si può ottenere che la radicalizzazione, spesso incontrollata, delle stesse. Se si assume come strutturale la precarizzazione del rapporto di lavoro, si aumentano i profitti d’impresa ma si implementa di conseguenza l’allargamento dell’esclusione sociale, universalmente riconosciuta come principale fonte di devianza. Se si assume come normale che la pena insista non più solo sul reato, ma sull’individuo per le sue caratteristiche, si riempiono le carceri e i Cie di immigrati. Se al disagio giovanile si risponde con politiche proibizioniste, si riempiono le carceri di tossicodipendenti e di consumatori occasionali. Se, più in generale, si persegue l´ideologia indotta da un paradigma produttivo e dal modello sociale che esso ha creato, che porta le persone a rincorrere il feticcio del denaro e l´arricchimento ad ogni costo, non si fa altro che istigare al reato.
Ecco perciò come la pena detentiva assume un’importanza strategica, ancora di più oggi, travolti da una recessione globale di cui ancora non si conoscono la reale portata e i confini. Il carcere, dunque, come contenitore del conflitto, come discarica sociale, come non-luogo ormai deputato solo all’incapacitazione di donne e uomini relegati a classi sociali subalterne ritenute pericolose. Definiamo quindi di tutta attualità ed emergente il concetto di Carcere Sociale quale dispositivo normalizzatore bio-politico statuale per il controllo e il disciplinamento dei corpi.
Ciò nondimeno assistiamo sgomenti, dopo aver sorpassato la soglia di 60.000 detenuti, al ripetersi sempre uguale del teatrino dei politici di turno intento a proporci soluzioni populiste, a effetto mediatico di solo annuncio, come la costruzione di nuovi istituti di pena in “project financing” o altri dispositivi non meno fantasiosi se non illegittimi, come il ricorso al denaro della Cassa Ammende. In altre parole si continua a ballare spensierati sul ponte del Titanic nonostante l’iceberg sia già bene in vista.
Ma noi dell’associazionismo e del volontariato carcerario quell’iceberg lo conosciamo bene, la sua parte immersa c’è nota: carceri sovraffollate all’inverosimile, detenuti ammassati e abbandonati in celle di pochi metri quadri, spesso infestate da topi e scarafaggi, chiusi ventidue ore il giorno, come all’Ucciardone dove si tocca il record per cui in celle da quattro dormono anche in dodici in grappoli di quattro letti a castello. Per dormire si fanno i turni tra il giorno e la notte. Altrove, dove mancano le brande, per aggiungere detenuti, è frequente buttare materassi per terra. Il mix tra sovraffollamento e mancanza cronica di educatori e psicologi provoca l’impossibilità di attivare percorsi di responsabilizzazione e reinserimento. Il drastico taglio dei finanziamenti rende impossibile fornire pasti anche solo minimamente decenti, rende impossibile eseguire manutenzione e disinfestazione degli istituti, procura turni massacranti al personale di custodia il cui nervosismo si scarica poi sui detenuti, rende impossibile una sanità adeguata alla situazione.
In questa emergenza di degrado e regressione, non a caso, sono in aumento i detenuti che presentano malattie psichiche, che s’infliggono pratiche autolesionistiche, che si suicidano, che si abbandonano a risse tra loro e ad atti violenti sugli agenti della Penitenziaria. E come se tutto ciò non bastasse, si presenta persino un disegno di legge per eliminare la legge Gozzini, una buona legge che ha dato solo ottimi frutti, favorendo il graduale reinserimento sociale e lavorativo e abbattendo così la recidiva a percentuali risibili. Un atto, questo, puramente ideologico e populista, teso unicamente a soddisfare, in cambio di voti, istinti primordiali e vendicativi presenti in strati minoritari di popolazione irretiti dall’ignoranza, dal rancore e dalla crudeltà. La propaganda politica chiama questo “certezza della pena”. Per noi è l’articolo 27 della Costituzione preso a calci.
Detto quanto sopra, ascoltando i segnali inquietanti che vengono dalle galere, stante un irrefrenabile trend in entrata di mille persone al mese, perlopiù stranieri, è logico aspettarsi nel breve periodo, pensiamo durante la prossima estate, sommovimenti incontrollati di detenuti dati dall’esplodere della disperazione. Ne prevediamo l’inizio con conflitti interetnici nelle carceri più sovraffollate, che potrebbero poi espandersi velocemente. Se è questo che si vuole nel rafforzare a dismisura lo Stato Penale, nell’ignorare i continui richiami del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, di Amnesty International e di Medici senza frontiere, bene, siamo certamente sulla buona strada.
Nel maggio 2006 è stato promulgato un indulto che ha contribuito a deflazionare le presenze in carcere, a donare sollievo a chi ci è rimasto, a riportare un minimo di legalità nel circuito, ma soprattutto a cogliere l’occasione per intervenire velocemente nel rendere stabile quella nuova situazione. Poco prima che si emanasse quel provvedimento, mentre ancora i detenuti erano impegnati nelle loro proteste pacifiche per ottenerlo, noi della Papillon nazionale avevamo detto, e con noi tanti della società civile che ci hanno appoggiato in quei momenti difficili, che l’indulto, per essere veramente efficace e risolutivo nel lungo periodo, avrebbe dovuto essere l’apripista alle improrogabili riforme del Codice Penale, del Codice di Procedura Penale e dell’Ordinamento Penitenziario.
Si trattava, dicevamo allora, di ridurre drasticamente le fattispecie di reato, di depenalizzare i reati minori, di abolire l’ergastolo, la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi sulle droghe e la ex Cirielli sulla recidiva, di potenziare la legge Gozzini e renderne omogenea l’applicazione su tutto il territorio nazionale, di limitare fortemente la custodia cautelare in carcere, ché il problema non è costruire nuove carceri ma, al contrario, far scendere drasticamente il numero di detenuti tramite i provvedimenti di cui sopra, e tantissimo altro che per questioni di spazio non riuscirei qui a elencare. Avevamo avvertito che in difetto tutto sarebbe tornato come prima nel volgere di due anni. Lo diciamo con la morte nel cuore: siamo stati facili cassandre.
Oggi, di fronte alla gravità dello stato della Giustizia e del circuito carcerario, di fronte al più che probabile prodursi di eventi violenti incontrollabili, vogliamo ribadire, se possibile, con ancora più determinazione le proposte già avanzate nel 2006 più altre due: la rapida istituzione del Garante nazionale con l’estensione delle prerogative e dell’intervento dei Garanti territoriali. E la rapida introduzione del reato di tortura, perché già solo questo obbligherebbe le autorità preposte a cambiare radicalmente le odierne modalità di applicazione dell’esecuzione penale in carcere. Insistiamo, dunque, pur consapevoli che le forze politiche sorde e cieche alle evidenze sono straordinariamente preponderanti a fronte di un’opinione pubblica annichilita dalla paura, artificialmente indotta da un’informazione mediatica eterodiretta che ha sostituito la verità dei fatti con la propaganda di parte. In conclusione, preso atto dell’assenza di una reazione democratica della società civile, essa nostra unica speranza, non ci resta, pur nel rifiuto di ogni rassegnazione, che prepararci al peggio.