efccapX.jpgdi Enzo Fileno Carabba
[Illustrazione di Liza Schiavi – cliccare per ingrandire]

10. L’onda chiara

In un punto imprecisato della Francia mia madre dice: “Potrai tornare qua quando vorrai. Hai tutta la vita davanti a te” e partiamo. Io ho nove dieci anni, mettiamo, i miei sono molto giovani. Mi portano spesso nei loro viaggi in macchina, viaggi avventurosi, e quando le cose scorrono fuori dal finestrino il mondo mi sembra un luogo incredibilmente profondo. Andiamo per deserti, montagne, promontori marini, attraversiamo fiumiciattoli, sempre con una Volkswagen cabriolet rossa, abbastanza ammaccata, che non sembrerebbe adatta per questo genere di impresa. Nelle terre remote, quando le tappe sono lunghe, il pranzo è a base di biscotti, e la macchina non si ferma, non c’è tempo di fermarsi. Penso che anche il Dio del mondo mangi biscotti al cioccolato, mentre guarda e crea le cose dal suo finestrino. Non ha il tempo di fermarsi. Miracolosamente, però, è del tutto rilassato.

Ora comunque io e i miei siamo semplicemente in Francia, non ci sono tappe interminabili in mezzo al vuoto, e non c’è bisogno di biscotti. Mia madre ha appena detto “Potrai tornare quando vorrai. Hai tutta la vita davanti a te”. Ma quando siamo a qualche chilometro da lì – o anche solo appena voltiamo le spalle – un vento speciale, un’onda chiara, spazza via quel paesino dalla faccia del mondo, per sempre, e nessuno se ne accorge, neanche i suoi abitanti.

*

Raggiunta a modo mio l’età adulta, mi sono più volte chiesto dove fosse quel posto, ma non c’è stato verso di capirlo. I miei non sapevano nulla dell’episodio, e io sono sempre stato scarso in geografia. So solo che ero ansioso di visitare il paesino, chissà perché, e invece eravamo andati da un’altra parte, dato che avendo tutta la vita davanti sarei potuto tornare quando volevo. Ora so anche che non basterebbero mille anni per trovarlo, e d’altra parte se avessi mille anni a disposizione, probabilmente non li utilizzerei in questo modo. Inoltre, a pensarci, immagino che i miei avessero le loro buone ragioni per non volerlo visitare, doveva essere il buco più insignificante d’Europa. Chissà cos’era a attrarmi là… Là dove, poi. Non c’è un là se non lo puoi indicare, suppongo.

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Trasparente e regale, l’onda armonica passa sulle cose e le sposta. E così nascono i laghi erranti, e le città erranti, e tutte le cose erranti: cioè tutte le cose. Ho sentito dire da uno con l’ aria sapiente che anche noi siamo identità provvisorie, oppure identità in movimento.

Un giorno ho capito davvero cosa è il movimento, anche se non lo posso spiegare. Per la prima volta in vita mia ero in montagna d’inverno. Un’incredibile montagna bianca mi guardava dall’alto in basso. Era così maestosa, sembrava una Madonna immobile.

Ero con una bambina, peraltro mia figlia: Nicoletta, tre anni. Mi assicurarono che sulla seggiovia potevo portare anche lei, se la tenevo stretta. Non c’erano rischi. Nessun problema. Intanto la piramide bianca, pur non facendo nulla, faceva di tutto per farsi guardare.

Quando la seggiovia è partita, con me sopra e Nicoletta sopra di me, ho intuito che qualcosa non andava. A parte noi, non c’era nessuno che scendeva o saliva, negli altri seggiolini scossi dal vento gelido attraversato dalla luce. Ma non era questo il punto.

Immagino che chiunque dovrebbe sapere come funziona una seggiovia. Invece no. Io, in particolare, ignoravo che ci fosse una sbarra metallica da abbassare per evitare di finire sotto. Ingolfati dalle giacche e dagli zaini, io e Nicoletta non formavamo un blocco compatto, per quanto stringessi il braccio destro attorno a lei, mentre col sinistro mi tenevo alla spalliera. Comunque all’inizio procedevamo abbastanza vicini alla neve. La situazione non era preoccupante.

A poco a poco, con perfidia progressiva, la distanza dal suolo è aumentata. Stringevo Nicoletta sempre di più, ma le nostre giacche a vento e gli zaini rendevano la presa relativa. I guanti di lana, bagnati, diventavano ogni secondo più scivolosi. Tutto tremava, avevo il braccio indolenzito e in pochi minuti sono entrato dalla testa ai piedi in una specie di incubo.

Mi avevano assicurato che la gente portava abitualmente i bambini su quella seggiovia. Non riuscivo a capire. Se non erano infanticidi, che razza di persone erano? Dovevano avere braccia lunghissime, prima di tutto, a meno che montassero senza giacca a vento e senza zaino; braccia dotate di una resistenza mostruosa, dato che quella salita non finiva mai. Inoltre le dita di almeno una mano – la mano con cui reggersi al seggiolino – dovevano avere i polpastrelli adesivi. Solo questo poteva spiegare la tranquillità con cui – mi dicevano – la gente saliva coi bambini su quella seggiovia. Oppure erano i bambini ad avere qualità prodigiose, tipo artigli al posto di mani e piedi, e magari una ventosa sul sedere. Comunque non vedevo nessuno, eravamo assolutamente soli. Magari stavo davvero sognando. Ma dovevo stare attento, a pensarla così. Il falso sogno dei freni rotti mi ammoniva.

Nicoletta era entusiasta. Diceva: “Voliamo. Voliamo per sempre”. Questa frase mi piaceva ma mi faceva anche parecchia impressione. Soprattutto quel “per sempre”. Cercavo di radicarmi al seggiolino, cercavo di non muovere neanche la pancia mentre parlavo, e cercando di sembrare perfettamente tranquillo sussurravo: “Non parlare. Non cantare (in certi momenti per la gioia cantava). Non ti muovere”. Infatti avevo paura che a forza di cantare e muoversi mi sfuggisse precipitando. Se cadeva mi dovevo buttare continuando a tenerla o dovevo precipitare separatamente? E se poi le crollavo addosso? Non riuscivo a capire cosa fosse più consigliabile. Mi facevo un sacco di domande del genere. Temevo soprattutto che, presa dalla paura, cominciasse a divincolarsi in modo incontrollabile. Ma per il momento non sembrava proprio. Rideva. Cantava. “Voliamo per sempre” ripeteva radiosa e treenne.

Proprio mentre passavamo sopra a un isolotto di rocce aguzze, mi sentii sicuro che non saremmo caduti. Tra poco saremmo arrivati lassù, in piena luce ventosa, e un’onda chiara ci avrebbe posati in un punto imprecisato della Francia.