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Non c’era ragione per non continuare a polverizzare di grigio sottile oltre il vetro decorato d’ovatta: la cenere non sa del Natale. La cenere non sa nulla, la cenere viene giù: cade, e basta. Sottile, grigia, impalpabile: avrebbe mai smesso? Abbiamo fatto prima a smettere di chiedercelo, pensò distogliendo lo sguardo. Non era riuscito ad abituarsi. I suoi figli non avevano mai conosciuto un mondo senza cenere: lui ricordava il brillare dei verdi, i gialli e i rossi caldi e splendenti, l’azzurro del cielo.

Il pranzo sarà servito tra mezz’ora, si scusò il cameriere: purtroppo…
Non preoccuparti, rispose: i ragazzi giocano, gli adulti discutono… possiamo aspettare. L’improvvisa scomparsa della cuoca aveva variato una nota al monotono ripetersi del rito natalizio. Da quando la cenere aveva cominciato a cadere, tutto era diventato più monotono… dopo.
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Prima c’era stata la sorpresa: nessuno sapeva il perché quell’interminabile pulviscolare verso il basso di non si sapeva bene cosa. Non c’era stato molto tempo per chiederselo: la cenere era penetrata all’interno delle apparecchiature, s’era posata sui circuiti, aveva infiltrato i microprocessori. La crisi grigia, l’avevano chiamata: le comunicazioni saltavano, le centrali esplodevano, i depositi militari s’incendiavano. Il mondo aveva smesso di prendere istruzioni dai software velati di cenere. C’erano voluti anni per uscirne, e ancora il gap tecnologico era lontano dall’essere recuperato. I camini avevano ricominciato a bruciare legna, per dire. Travolti dalla crisi, non s’aveva fatto caso al resto, almeno all’inizio. La stessa cenere che infiltrava le macchine, penetrava nei sistemi respiratori degli animali. I volatili e i piccoli mammiferi si erano estinti. I grandi mammiferi erano stati decimati dalle malattie respiratorie, dai bronchi intasati, dalle asme: gli umani non avevano fatto eccezione, gli anziani erano stati sterminati nel giro di un decennio. Il freddo aveva dato il suo contributo: il filtro perenne aveva abbassato di due-tre gradi la temperatura. I ghiacciai avevano cominciato ad avanzare. Centimetro su centimetro, la cenere s’era impastata d’acqua nei mari e nei fiumi, tracimando il livello delle acque in inondazioni che lasciavano un limo infertile. La fanghiglia predominava nella nuova geografia degli acquitrini popolati da grandi rettili anfibi: serpenti, iguane, coccodrilli che sembravano usciti da un racconto di Ballard. L’agricoltura scarseggiava, la carne animale era diventata immangiabile: la cenere dava un sapore disgustoso, nessuna cottura o spezia aveva potuto cancellarlo.
Com’era la selvaggina, nonno?, chiese la nipotina: come risponderle? Più buona dell’anatra delle paludi? Si, rispose accarezzandola: più buona… meno dolce…
L’anatra delle paludi: un nome ingannevole. Era evidente che la nuova carne bianca, rara e costosissima, era un prodotto d’allevamento, di serra, immune dall’altrimenti onnipresente cenere. Un organismo ogm, forse: le zampe palmate e il tronco di coda testimoniavano l’appartenenza ai volatili. Ma nessuno aveva mai visto l’anatra delle paludi intera: veniva venduta, sottovuoto, la sola porzione posteriore. Un privilegio per pochi: ma del resto, gli umani cominciavano ad essere pochi. La maggior parte delle gravidanze s’interrompeva spontaneamente dopo poche settimane, nessuno sapeva perché. Le gravidanze che superavano il primo periodo erano, per la maggior parte, a rischio: più della metà bisognava interromperle chirurgicamente. Il tasso di natalità era crollato.

Dici che la cuoca torna, nonno?, chiese ancora la nipotina mentre la famiglia attendeva il taglio dell’anatra palustre: un’altro dei riti del Natale, riservato al vecchio chirurgo in pensione. La cuoca?, chiese distrattamente mentre una porta sbatteva: venga, signore, la prego, venga giù, accorse la cameriera col suo stentato parlare, tu vieni e salva la ragazza, ripeteva mentre lo trascinava giù nelle cantine dove s’era allestito un allucinato presepe. La cuoca piangeva cercando di tenere ferma la figlia straziata dalle doglie. Bastò tastarla per capire che il bambino era rivoltato con i piedi in avanti.
Perché l’avete tenuta nascosta?, chiese mentre passava sulla fiamma la lama del bisturi pronto al cesareo. Tu salva mia figlia e suo bambino, diceva la cuoca, tu non fai morire bambino. No, mormorò: non faccio morire il bambino, promise.

Procedette al taglio con la mano ritornata ventenne, quando il cielo era azzurro e la cenere sconosciuta.
La prima cosa che vide furono le zampe palmate.

© 2007 by Girolamo De Michele — Published by arrangement with Agenzia Letteraria RobertoSantachiara