LA GRANDE GUERRA

di Danilo Arona

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UNIONE TELEPATICA – NORME INIZIALI

1. Chiunque giunga in possesso di una copia della progettata azione telepatica è pregato di darne comunicazione integrale, colle presenti norme, ad altre due persone amiche, le quali alla lor volta saranno tenute a fare altrettanto più sollecitamente possibile, affinché la Guerra Telepatica possa avere al più presto esecuzione.

2. Per l’unificazione delle energie psicofisiche occorrerà si formino gruppi di dieci persone, le quali deleghino una di loro per le ulteriori comunicazioni. Ognuna delle persone così delegate dovrà mantenersi in rapporto con altre dieci persone egualmente delegate, le quali alla lor volta creeranno un incaricato di centuria, e così di mano in mano verranno a crearsi rappresentanti di migliaia, di centinaia di migliaia di individui.

3. Ogni delegato, incaricato o rappresentante, dovrà nominarsi col consenso del rispettivo aggruppamento persona di fiducia per la sostituzione nelle proprie mansioni, quando si renda necessario.

4. I gruppi di diverso grado, e in particolar modo i minori, si riuniranno frequentemente per abituarsi a porsi nelle migliori condizioni per il collegamento telepatico, in giorni e ore determinate. Come inizio e per comodità si stabiliscono le sere di ogni sabato, alle ore 22,30 dell’ora legale italiana al presente concordante con l’ora francese anticipata.

5. Salvo quanto potrà suggerire in seguito l’esperienza, per ragioni puramente fisiche, le quali sarebbe al momento troppo lungo spiegare, sarà necessario che durante il collegamento telepatico le persone si volgano a levante.

Queste norme necessarie a formare il grande organismo telepatico, dovranno praticarsi con animo tranquillo, senza timore o senza coercizioni, ma con fermo volere. I recapiti provvisori dell’Unione Telepatica, sinché abbia preso una certa consistenza, saranno in Torino, via Vassalli Eandi 7, presso il sottoscritto ing. Vittorio Galli, e in Bassavilla, via Urbano Rattazzi 22 presso il signor Giancarlo Prigione.

Torino, 28 aprile 1916.

Camillo Albanese finì la lettura a voce alta delle cosiddette “norme iniziali” della Guerra Telepatica prospettata dall’ingegner Galli e passò il foglio al cognato Prigione scuotendo la testa con espressione rabbuiata. Pochi giorni prima i due, assieme a un altro centinaio di “imboscati” di Bassavilla (la maggior parte dei quali veleggiava oltre il sessantesimo anno di età), avevano assistito alla conferenza del Galli tenutasi al Dopolavoro Ferrovario e intitolata “Applicazioni di psicofisica in tempo di guerra”. La loro presenza nella natìa Bassavilla in piena campagna bellica, nonostante la loro relativamente giovane età (il Prigione aveva 36 anni e una figlia di 11, Melissa, mentre l’Albanese ne contava 39 e un figlio di 14, Giovanni), aveva una spiegazione più che solida.
Il 24 maggio dell’anno precedente l’Italia aveva dichiarato guerra all’Austria ed era stato affisso il bando di chiamata alle armi di diverse classi, che comprendevano le leve sino al 1874. Come ben ci spiega Massimilano Galasso sul sito www.cimetrincee.it, l’esercito italiano, prima dell’entrata in guerra, risultava suddiviso in tre categorie nette: l’Esercito Permanente (cioè gli ufficiali e i soldati in ferma breve o lunga oppure sotto leva, dai 20 ai 28 anni), la Milizia Mobile (tutti gli abili già passati di leva dai 29 ai 32 anni tenuti in riserva ma, in tempo di pace, richiamati periodicamente in caserma per alcuni giorni di addestramento; e quelli dai 20 fino ai 28 non idonei al servizio di leva, cioè di II° o III° categoria) e la Milizia Territoriale (uomini dai 33 ai 39 anni, con compiti di terza linea in caso di mobilitazione e in tempo di ace non più sottoposti ad addestramenti). I rivedibili dovevano invece ripresentarsi a visita l’anno successivo mentre i riformati erano esentati completamente dal servizio; era il caso di uomini alti meno di 154 cm, oppure invalidi per menomazioni gravi o malattie croniche invalidanti. All’inizio del 1915 gli uomini della classe del ’94 che stavano già prestando servizio militare si videro rinviare a tempo indeterminato il congedo e la classe 1895 fu chiamata tutta a visita di leva anticipatamente. Subito dopo cominciò il sistematico richiamo alle armi degli uomini in congedo illimitato tramite una cartolina-precetto, prime tra tutte le classi 1889, 1890, 1891, 1892, 1893, (solo però quelli che a loro tempo erano stati giudicati di I° categoria ed arruolati nell’E.P.); poi quelle dal 1888 al 1886, destinati alcuni all’E.P. e alcuni alla M.M., a seconda del Corpo di appartenenza. Dal maggio 1915 scattò poi l’ordine di mobilitazione generale, e tutti gli uomini, anche quelli che a loro tempo vennero esonerati dalla leva, dovettero ripresentarsi a visita militare, e lo seppero non più tramite la cartolina-precetto, ma leggendo i grandi manifesti che vennero appesi ovunque riportando modalità e tempi per la presentazione in caserma. Dovettero così presentarsi tutte le altre classi, fino a quella del 1874: da destinare alla Milizia Mobile (dal 1882 al 1885) e alla Milizia Territoriale, che arruolò nei suoi ranghi gli uomini dalla classe 1881 alla cl. 1874, cedendo però i più validi e robusti alla M.M. Nella foga di costruire un esercito il più numeroso possibile i medici militari arruolarono utilizzando criteri insensati, sordomuti, balbuzienti gravi, minorenni presentatisi con generalità false, tisici, alcolizzati, ritardati mentali; le visite furono pura formalità e centinaia furono i casi di soldati fatti abili e poi rimandati indietro una volta arrivati in reparto dal loro comandante perché neppure autosufficienti.
A tutto questo il Prigione e l’Albanese erano risultati, per loro fortuna, estranei. Essi, infatti, a differenza della maggioranza presente al fronte espressa per lo più dalle classi contadine, facevano parte in qualità di operai specializzati dell’industria bellica e, come segnale dal loro esonero dal servizio militare, portavano quasi sempre al braccio una fascia tricolore. Come altre migliaia di persone, Carletto e Giovanni erano stati esonerati perché le loro competenze tecniche li rendevano indispensabili nelle produzioni di guerra. Né si trattava soltanto delle industrie di guerra in senso stretto, bensì di svariati settori industriali: dal tessile al calzaturiero, dall’alimentare al chimico, dalla produzione di auto, camion e vagoni ferroviari, alla produzione di apparecchiature ottiche, fotografiche, telefoniche e telegrafiche, dai cantieri navali alla fabbricazione degli aerei. Nella fattispecie i due cognati lavoravano nelle fonderie di ghisa dei fratelli Thedy, impegnate nella produzione di proiettili in ghisa acciaiosa e in quell’anno in piena euforia da commesse belliche. Solo alla fine della guerra Camillo Albanese avrebbe aperto in via Umberto I un negozio di fiori che sarebbe divenuto celebre e più che frequentato sotto la conduzione del figlio Giovanni.
“Per quale motivo hai voluto impegnarti in prima persona? Addirittura l’indirizzo di casa”, stava giusto rampognando l’Albanese. “Non hai paura di vederti arrivare qui tutti i vecchi sfaccendati che non sanno come impiegare il loro tempo?”
I due cognati stavano seduti nella cucina dell’appartamento al pianterreno in cui Prigione abitava con la famiglia. Era di venerdì. La moglie e la figlia in quel momento si trovavano da una vicina al primo piano. Prigione, alle considerazioni di Camillo, alzò le spalle e disse con voce strascicata: “Qualcosa dobbiamo pur fare per la causa. Sono stanco di essere guardato di traverso perché non sono in trincea a combattere.”
“In trincea si perde la vita, altro che combattere. Tu che frequenti i socialisti dovresti saperlo meglio di me. In ogni caso, se ci rivolgiamo a levante, verso che cosa dovremmo puntare lo sguardo?”
“Da qui vedremmo solo la casa dirimpettaia. Ma, se ci riuniamo a casa tua che sta all’ultimo piano in via Umberto I, abbiamo la visuale del fiume. Mi sembra l’ideale.”
“Ci concentriamo sul Tanaro?”
“E acqua che scorre. Non la trovi rilassante?”
“E’ triste.”
“Meglio. Dobbiamo colpire il nemico e fargli male. Domani sera, allora?”
“Sì.”
“Chi viene?”
“Ce ne sono soltano tre. Sono anziani che lavorano negli orti, ma sono arzilli e bendisposti. Si chiamano Marola, Galtieri e Ferrarese.”
E, come già successo una volta nelle pagine finali di Cronache di Bassavilla (Dario Flaccovio, 2006), il cronista a questo punto deve ricordarvi i cognomi dei tre testimoni dell’avvistamento di Melissa nella nebbiosa mattina del 29 dicembre 1999: Thomas Ferrarese su Mercedes, ore 5,20, autostrada A4 all’altezza di Brescia; Renato Marola su camion non precisato, ore 5,20, autostrada A27 al casello di Treviso Sud; Sandro Galtieri su un’utilitaria, ore 5,20, autostrada A1 allo svincolo di San Martino.
Quelli che, 83 anni dopo il primo tentativo di “Guerra Telepatica”, hanno visto Melissa camminare nel buio.