Una lettera a Carmilla di Simone del Gruppo Brescia 1911 Curva Nord

striscione_paolo.jpg24 Settembre 2005. Il gruppo Brescia 1911 si sta recando, a bordo di due treni speciali, allo stadio Bentegodi di Verona per assistere al derby con l’Hellas.
Le nuove leggi che impongono biglietti nominali (in barba alla legge sulla privacy) e vengono applicate con tolleranza zero stanno per scatenare un inferno. Già il giovedì sera, due giorni dopo l’inizio della prevendita dei tagliandi, ci viene detto di arrivare muniti di copia della carta d’identità, tutti quanti. Cosa impossibile vista l’enorme utenza (circa 1000 le persone) e il breve preavviso. Decidiamo di partire per Verona lo stesso, con tutti i biglietti, e alla stazione ci accolgono con enormi cordoni di polizia. Alcuni agenti ci sussurrano: “Come a Modena… Come a Modena” (a Modena, qualche anno prima, siamo stati vittime di un’imboscata della polizia che si è conclusa con il ferimento di alcuni ragazzi e di due agenti della Digos che ci stavano scortando), “Vediamo se dopo ci andate ancora, in trasferta”, e altre frasi intimidatorie.

Con mille persone al seguito, più di tanto non possono fare, se non ammonirci di avere copia del documento, la prossima volta, perciò ci scortano su diversi pulmann allo stadio, dove i primi gruppi sono già arrivati e stanno per entrare. Notiamo che ci sono anche parecchie auto private e scopriamo che otto di quei tifosi non hanno con se il biglietto. Onde evitare problemi cediamo loro i nostri biglietti affinché possano entrare, e noi, come di solito accade, ci avviciniamo al responsabile di turno, denaro alla mano per acquistare gli otto tagliandi mancanti (anche di un settore più caro del nostro). Stavolta ci viene detto di no, perché le nuove norme vogliono che i biglietti siano venduti solo fino al giorno prima. Noi insistiamo, ma dopo varie telefonate il responsabile, stranamente aperto al dialogo, dice di avere avuto ordini dall’alto (Ministero degli interni? Lega calcio?) e il no diviene irrevocabile. Decidiamo così di restare tutti (gruppo Brescia 1911) fuori dall’impianto. Anche gli altri gruppi vogliono uscire, ma vengono chiusi dentro l’impianto con lucchetti (sequestro di persona?).

La partita, senza alcun attimo di tensione, volge al termine. Ci viene detto di salire sugli autobus per essere scortati alla stazione. Nel frattempo, all’interno dello stadio, una porta che divide il settore ospiti da quello dei locali viene “inspiegabilmente” lasciata aperta, e alcuni bresciani partono per cercare il contatto con i veronesi. Piccoli attimi di tafferugli e tre ragazzi vengono portati via (e qua già mi chiedo: ma chi doveva sorvegliare i tifosi, non sapeva di quella porta? Chi l’avrà mai aperta? Forse proprio la polizia per avere il pretesto di arrestare qualcuno?). La polizia fuori inizia a comportarsi in modo strano. La tensione aumenta, gli uomini sembrano quasi drogati, bava alla bocca e occhi sbarrati, pronti al massacro. Per il momento non accade nulla di grave, se non il ferimento di un anziano tifoso veronese, colpito alla gamba da un lacrimogeno lanciato ad altezza d’uomo (da chi?).
Arriviamo alla stazione e aspettiamo il secondo carico di tifosi. Intanto la gente comincia a occupare i posti del treno, mentre molti se ne stanno su di un binario morto ad aspettare i compagni. Arrivati gli altri gruppi, i responsabili vanno dalle forze dell’ordine per sapere qualcosa di più in merito alle persone arrestate e cercando, ovviamente (cosa fareste voi?) di riaverli indietro.
A questo punto succede l’immaginabile. Dalla testa e dalla coda del treno partono cariche feroci che spingono i ragazzi sulle carrozze. Queste hanno entrambe le porte aperte così, visto che la carica prosegue anche sopra il treno, molti scendono dalla parte opposta. Anche da dietro parte una carica. Sembrano le solite cariche di alleggerimento alle quali siamo abituati, per spingerci sul treno e farci partire alla svelta, ma stavolta la cosa va avanti: è molto di più della solita carica. Gli scontri non risparmiano donne (ferite al volto, al ventre e al seno – tutto documentato da foto), uomini di una certa età e ragazzini molto giovani. Gli agenti colpiscono con manganelli rigorosamente impugnati al contrario, come vuole l’etica professionale, lanciano lacrimogeni ad altezza d’uomo, lanciano pietre (con le quali rompono vetri del treno), spray urticante sparato in volto, ecc. Tra le frasi minacciose (“Puttana, ti ammazziamo!”) e i gesti di collera, sembravano più belve che uomini.
In questo frangente accade il fatto più grave. Durante una carica Paolo S., ventinovenne di Castenedolo, riesce dapprima a scappare sul treno, trovare i suoi amici e raccontargli cosa è successo (“Mi hanno manganellato in cinque sulla testa e mi hanno stordito con lo spray!”), dopo di che si sente male, fatica a respirare e viene fatto scendere dal convoglio. La polizia chiama l’ambulanza e, visto lo stato di Paolo, lo fa con un codice Giallo-Due. Intanto le sue condizioni si fanno sempre più gravi. La respirazione si fa più difficoltosa, vomita verde e comincia a perdere conoscenza.
Dopo 25 minuti arriva l’ambulanza. Gli operatori, constatando le gravissime condizioni in cui versa Paolo, chiamano un secondo automezzo con codice Rosso-Tre che in 5 minuti arriva e porta Paolo all’ospedale di Borgo Trento, dove sarà immediatamente operato per la rimozione di un grosso ematoma alla testa.
Nel frattempo, allontanatasi l’ambulanza, parte una seconda carica, ancor più violenta. Altri quattro ragazzi vengono portati via dalla polizia. Alcuni, storditi dallo spray, vengono aiutati dagli agenti della Polfer, spettatori inermi e sbigottiti del massacro (perchè è di questo che si è trattato). Altri riferiscono di aver chiesto a dei celerini se non si vergognavano di cosa stavano facendo i colleghi e di essersi sentiti rispondere “Sì, infatti è per questo che siamo qua fermi”. Ma perché, visto che a noi vogliono imporre il biglietto nominale, non impongano a certi macellai la divisa nominale come, per esempio, in Inghilterra o in Germania? Là, quando uno sbaglia, paga. Alla richiesta di parlare con un responsabile, viene riferito che al momento no, non è disponibile. Agenti della Digos non ce ne sono. L’unica cosa che accade è che un uomo, da dietro, dà l’ordine di partire con le cariche, quasi un “Al mio segnale scatenate l’inferno”. Il tutto dura più di un’ora.

Partito il treno (uno solo con a bordo 1000 persone, anziché due come all’andata – alla faccia della sicurezza), i primi feriti gravi vengono fatti scendere a Desenzano del Garda, per essere portati in ospedale.
Il treno arriva a Brescia verso le nove e mezza. Subito ci dirigiamo alle sedi dei due giornali locali, il Giornale di Brescia e Bresciaoggi, per mostrare i feriti e raccontare la nostra versione dei fatti. Ci raggiunge un corrispondente dell’Ansa, al quale raccontiamo i fatti.
Per due giorni le nostre versioni si alternano a quelle della questura di Verona che, casualmente, discordano dalle nostre. Poi il silenzio, o quantomeno un clamoroso tentativo di censura dei fatti accaduti. Le nostre deposizioni sono state date al legale che ci difende. E’ stata aperta un inchiesta, ma sappiamo che la verità non salterà mai fuori e il colpevole mai pagherà.
La sera stessa il questore di Verona si permette di diramare un bollettino medico sulle condizioni di salute di Paolo, dicendo che il taglio di 5 cm sulla testa è compatibile con il lancio di una sasso da parte di un gruppo di veronesi (mai visti alla stazione) oppure il risultato di una brusca caduta a terra. Il giorno dopo invece pensa bene di supporre che Paolo sia rimasto ferito addirittura all’interno dello stadio.
Dal canto loro, i medici non hanno ancora diramato un bollettino ufficiale. Parlando con i familiari, chiedono loro come Paolo abbia potuto ferirsi in maniera tanto grave, escludendo tutte le varie versioni fornite dal questore. Giornali e telegiornali invece, dando per vera e certa la notizia fornita
dalla questura, smettono di parlare del caso.
Per tre mesi Paolo rimane ricoverato in prognosi riservata nel reparto di neurochirurgia dell’ospedale di Borgo Trento a Verona. Durante quel periodo, invece di andare in trasferta, noi andiamo tutti i sabati a Borgo Trento, per stare vicini al nostro amico.

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Il 5 gennaio 2006 il gruppo Brescia 1911 indice una conferenza stampa insieme alla famiglia di Paolo. Per la prima volta anche chi non era presente a Verona può vedere coi propri occhi quello che i mille tifosi hanno subito. Nei mesi precedenti sono state raccolte fotografie, videoriprese da cellulari, testimonianze su quel tragico giorno. Sono momenti di commozione e rabbia. Da pochi giorni Paolo è stato dichiarato fuori pericolo. Ha cominciato la lunga riabilitazione e, nei week end può persino tornare a casa, nella sua Castenedolo. Gli amici di Paolo, i gnari del Brescia 1911, riprendono ad andare in trasferta senza mai dimenticare neppure per un attimo quel loro amico vittima di veri e propri criminali.
Dopo un vergognoso comunicato congiunto dei sindaci di Brescia e Verona per il derby di ritorno, nel quale stranamente il fatto appare come opera dei soliti facinorosi, il 18 febbraio, a Brescia ha luogo una manifestazione aperta a tutti, ultras e non solo, di ogni colore e fede, dedicata a Paolo, alla verità, alla giustizia. Partecipano diversi gruppi provenienti da tutt’italia, di ogni categoria. E finalmente il primo aprile Paolo torna nella sua Curva Nord, riabbracciato dai suoi amici e dal calore del tifo.

Tra qualche giorno sarà passato un anno da quella tragica vicenda. E, poiché solo il caso può essere così tremendo, sabato 23 settembre andiamo in trasferta proprio a Verona, un anno dopo, li. Tornarci sarà dura, per tutti. E più duro ancora sarà accettare che nulla è cambiato, che la verità non è ancora venuta a galla e che nessuno ha pagato per questo.
Anzi, no. Il questore di Verona sembra abbia subito un provvedimento. Si dice che sia passato da Servizio Stadio Hellas Verona a Servizio Stadio Chievo Verona. Bella soddisfazione. Tutto questo per colpa di chi infanga la divisa che porta abusando di quel briciolo di potere che ha. Perché non si può ridurre un uomo in fin di vita per una partita di calcio. Bisogna che i colpevoli vengano a galla, che chi sa si faccia onore e parli della vicenda. Non credo che in tutta la stazione non ci siano telecamere a circuito chiuso. E’ impossibile. Non credo che un poliziotto con un minimo di decenza, di dignità, non si sia reso conto di cosa stava accadendo in quel momento. Avrei voluto vedere se Paolo fosse stato loro figlio. E poi i politici locali (non dico nazionali: locali)… dove sono? Cavalli, Corsini? Cosa interessa a loro dei cittadini che li hanno votati (la maggioranza, s’intende)? Solo uno sporco e misero voticino? Non sono forse bresciani anche loro? E c’è anche chi a Verona c’era ma non vuole esporsi, non vuole testimoniare. Ha paura, chissà cosa teme? Che salti fuori la verità? Io dico tutto e sono orgoglioso se mi sento di poter dare una mano a Paolo ad avere giustizia. Popolo di omertosi. Ci sono gruppi ultras e non solo che da tutta Italia e anche oltre (Norimberga e Saint Etienne per esempio) esprimono solidarietà a Paolo e ai ragazzi coinvolti. A Brescia, invece, a parte noi nessuno vuole parlare. L’unica cosa che conta è la squadra, in questo momento. Paolo invece sta ancora lottando per tornare a vivere, a cantare e a gioire con noi in curva come una volta.

Ora un’inchiesta è stata aperta e l’on. Paolo Cento ha fatto un’interrogazione parlamentare in merito. Ma è ancora poco. A nome del gruppo Brescia 1911, a nome di Paolo e dei suoi famigliari: bisogna parlare di quel che è accaduto e aiutarci a giungere alla verità. Per il bene di Paolo. E per la dignità di essere liberi cittadini. Basta soprusi.

* Documenti, immagini, materiali vari sul sito del Gruppo Brescia 1911 Curva Nord.