singer_peter.jpgdi Helga Khuse

Si comincia con sei conigli albini. Si prende ciascun animale e si controlla che i suoi occhi siano in buone condizioni. Poi, tenendo saldamente l’animale, si distacca la palpebra inferiore da un bulbo oculare in modo che formi un piccolo invaso. In questo invaso si mettono 100 milligrammi di ciò che si vuole testare. Si tengono chiuse le palpebre del coniglio per un secondo e poi lo si rilascia. Il giorno dopo si ritorna e si controlla se le palpebre sono gonfie, l’iride infiammata, la cornea ulcerata, se il coniglio cieco da quell’occhio”. Così, nel 1981, Peter Singer descriveva il test Draize. Il test, che prende il nome da John H. Draize, già capo del dipartimento pelle e tossicità della statunitense Food and Drug Administration, veniva solitamente difeso sostenendo che fosse necessario per testare le sostanze che potrebbero finire negli occhi delle persone, per proteggerle da eventuali danni. Tuttavia, per quasi tre decenni, Singer ha energicamente sostenuto che il danno che viene inflitto agli animali è spesso ignorato in modo opportunistico e non giustificabile quando si tratta di promuovere benefici per gli esseri umani.

All’epoca, Singer, che era professore di filosofia in Australia presso la Monash University di Melbourne, riferiva ai lettori del quotidiano The Age di un annuncio del gigante della cosmetica Revlon che dichiarava l’investimento di 750.000 dollari per una ricerca che avrebbe consentito di testare nuovi cosmetici senza l’uso di animali. Singer la riteneva un’importante vittoria non solo per il leader della campagna statunitense contro la Revlon, Henry Spira, e per l’allora ancor giovane movimento di liberazione animale, ma anche un primo passo verso l’eguale considerazione degli interessi di tutti gli animali senzienti. Dopo tutto, Singer chiedeva: “Non abbiamo forse già abbastanza cosmetici?” e in che senso ” può essere ‘necessariò un test doloroso sull’occhio di un coniglio se il prodotto stesso è evidentemente non necessario?”.1

Quasi certamente Peter Singer è il meglio conosciuto e il più letto di tutti i filosofi contemporanei. Come hanno sostenuto Dalie Jamieson e Colin McGinn, è anche uno dei più influenti; è colui che ha cambiato più vite di qualsiasi altro filosofo del ventesimo secolo.2 Il suo libro del 1975, Liberazione animale, tradotto in tredici lingue, ha venduto più di mezzo milione di copie. Ha convertito molti lettori, altrimenti disinteressati, in vegetariani e addirittura in attivisti per i diritti animali. Senza contare le seconde edizioni, il cinquantacinquenne Peter Singer ha fino a oggi scritto, scritto in collaborazione, curato, o curato in collaborazione trenta libri, ha prodotto un video-documentario, ha scritto qualche centinaio di articoli e recensioni sia per pubblicazioni scientifiche che divulgative.

La sola mole degli scritti di Singer da sola non può, naturalmente, spiegare l’impatto del suo lavoro; né lo possono le notevoli capacità analitiche e critiche che Singer condivide con altri filosofi meno conosciuti e meno influenti. Piuttosto, come ha notato James Rachels recensendo uno dei libri di Singer, “l ‘ impatto degli scritti di Peter Singer è dovuto tanto al suo talento per la retorica morale quanto alla qualità dei suoi argomenti… Non conosco nessun altro scrittore il cui lavoro combini in modo così convincente analisi intellettuale e persuasione morale”.3

“Carestia, ricchezza e morale”,4 una delle prime ampie pubblicazioni scientifiche di Peter Singer, scritta quando aveva solo venticinque anni, è un esempio particolarmente efficace di questo tipo di scrittura. Sebbene sia poco conosciuto al pubblico non specialistico, Gilbert Harman lo ritiene uno degli articoli più famosi scritti nel campo della filosofia morale.5 La sua comparsa, nel primo volume della rivista Philosophy and Public Affairs nel 1972, ha affermato il giovane Singer fra i suoi colleghi come un pensatore formidabile e rivoluzionario.

Esso fornisce convincenti argomenti sulle ragioni per cui è moralmente sbagliato per le persone benestanti godere della propria ricchezza e delle propria comodità mentre altri, in parti lontane del mondo, muoiono per mancanza di cibo e di altri beni necessari alla sopravvivenza. Sfidava i lettori a cambiare radicalmente le proprie abitudini e il proprio stile di vita. Per Singer non si trattava di una questione di carità, cioè di nutrire i mendicanti con le briciole che cadono dalle nostre tavole piene, ma di donare fino a raggiungere il punto di utilità marginale, cioè, il punto “in cui donando di più provocheremmo a noi stessi e alle persone che dipendono da noi sofferenze almeno uguali a quelle che impediremmo in Bangladesh”.6 Nel leggere l’articolo, sostiene James Rachels, “si avverte interesse intellettuale per l’argomento, ma anche colpa per non avere dato più denaro per alleviare la fame”.7

Una speciale provocazione veniva rivolta ai filosofi, che, sosteneva Singer, dovrebbero non solo dare materialmente come chiunque altro, ma anche prendere posizione su importanti questioni pratiche, come la fame nel mondo. “Se la filosofia ha a che fare con questioni rilevanti sia per i docenti che per gli studenti, allora siamo in presenza di un tema che i filosofi dovrebbero discutere”.8

I riverberi dei potenti argomenti di Singer in quell’articolo possono essere avvertiti ancora oggi. Già allora “convinto dell’essenziale correttezza e dell’enorme importanza delle principali idee del saggio”, Peter Unger, oggi professore di filosofia alla New York University, riconosce al “pensiero di Singer… più che a quello di qualsiasi altro filosofo contemporaneo” di avere influenzato il libro Living High and Letting Die: Our Illusion of Innocence, che scrisse due decenni e mezzo più tardi.9

Tuttavia gli scritti di Peter Singer non sono sempre ben accolti. Le sue idee principali, e il modo non apologetico e diretto con cui le esprime, sono frequentemente considerati non solo una provocazione intellettuale e pratica, ma anche una minaccia. Scritti in una prosa chiara, libera dal gergo filosofico e da rassicuranti vaghezze, gli scritti di Singer minacciano valori e convinzioni familiari, inclusa la convinzione per cui avremmo diritto di disporre del nostro denaro come meglio crediamo e di mangiare quel che vogliamo. Mangiare carne, dice Singer ai suoi lettori, non è uno degli innocenti piaceri della vita, ma implica una complicità nell’infliggere gravi sofferenze agli animali allevati negli allevamenti industriali; comporta distruzione ambientale, inquinamento e degrado.10

Tracciando un profilo di Peter Singer per la rivista australiana Independent Monthly, Michael Duffy racconta di essersi sentito a lungo moralmente a disagio nel mangiare carne, ma di avere fino a allora liquidato con successo il pensiero di smettere con “spiritosaggini sulle polpette di lenticchie e i diritti dei vegetali”:
“Ciò spiega perché il mio cuore ha ceduto subito dopo che ho cominciato a lavorare a questo articolo. Una volta che si è saliti sul treno utilitarista di Singer è difficile negare che il vegetarianismo sia uno dei suoi punti di arrivo… Sembra difficile utilizzare la ragione (senza l’assistenza della religione) per giustificare gli orrori degli allevamenti intensivi”.11

Singer è stato il bersaglio di molti attacchi obbrobriosi, maligni, e anche offensivi, specialmente a causa delle sue provocazioni alla cosiddetta dottrina della sacralità della vita umana. Secondo Singer, quel che è importante non è se una vita è umana o non umana; piuttosto, da una prospettiva etica ciò che è rilevante sono gli interessi e le capacità posseduti da un essere. Basandosi sul principio di eguale considerazione degli interessi,12 Singer argomenta contro lo status privilegiato degli umani e la tradizionale assunzione secondo cui, semplicemente perché siamo umani, siamo giustificati a non tenere conto degli interessi degli animali non umani, quando entrano in conflitto con i nostri. Comportarsi così, sostiene, è “specismo”, cioè un egoismo di specie affine al razzismo.

Per Singer, come per il suo antenato intellettuale, l’utilitarista classico Jeremy Bentham, “Da una prospettiva etica, siamo tutti nella stessa posizione, tanto che ci stiamo su due piedi, o su quattro, o su nessuno”.13 Oggi il razzismo è universalmente condannato e il giovane Singer era fiducioso che presto sarebbe accaduto lo stesso anche per lo specismo.

Il principio di uguale considerazione degli interessi non implica, naturalmente, che tutte le vite abbiano uguale valore – che la vita della lattuga abbia lo stesso valore della vita di un essere umano adulto normale. Piuttosto, sostiene Singer, quel che è importante è se un essere ha la capacità di sperimentare dolore e felicità, e i tipi di stato mentale che lo rendono una “persona” con un diritto alla vita. Come spiega Singer in “Killing Humans and Killing Animals”,14 se la capacità di un essere di provare dolore lo rende degno di considerazione morale, è solo nel caso delle persone, cioè di esseri con la capacità mentale necessaria a rappresentare se stessi come esistenti nel tempo, che l’uccisione è direttamente sbagliata. Mentre tutti gli esseri umani normali e adulti e alcuni animali non umani, come le grandi scimmie,15 sono persone, molti animali e alcuni esseri umani, come i neonati e chi ha seri danni cerebrali, non sono persone in senso morale. La loro capacità di provare dolore li rende degni di considerazione morale, ma ucciderli senza dolore non è di per sé sbagliato.

Questa idea ha implicazioni a ampio raggio.16 Mentre sarà spesso sbagliato, per esempio, impiegare animali sani nella ricerca, potrebbe non essere sbagliato utilizzare per questi scopi neonati anencefalici o pazienti in stato vegetativo persistente. Si aggiunga a ciò il rifiuto di Singer dell’argomento di potenzialità e il suo abbandono della rilevanza morale della distinzione fra uccidere e lasciar morire, e si ha una posizione che scuote le fondamenta più profonde della concezione della santità della vita umana. Non solo gli embrioni umani, i feti, e i neonati sono privi del “diritto alla vita”, ma spesso sarà meglio, ritiene Singer, per un neonato gravemente disabile, che non è voluto dai suoi genitori, essere ucciso piuttosto che essere lasciato morire lentamente e in condizioni penose. I neonati sono sostituibili, e ” [i] l principio di sostituibilità permette [ai genitori] di uccidere il neonato malformato e di procedere con un’altra gravidanza”.17

Esposta in questo modo e decontestualizzata, la posizione di Singer è apparsa a molti come troppo scioccante e estrema per essere degna di seria considerazione. Ma è davvero così scioccante e estrema? Singer non è il solo a pensare che i neonati e alcuni altri esseri umani non siano persone e non abbiano diritto alla vita e che la potenzialità di un embrione o di un neonato di diventare un giorno una persona sia in se stessa moralmente irrilevante per il modo in cui deve essere trattato. Molti filosofi contemporanei condividono queste idee. Molti filosofi contemporanei condividono con Singer anche l’idea che la distinzione fra uccidere e lasciar morire non abbia un intrinseco significato morale.

E ancora: a causa dell’enorme potenziale della medicina moderna di mantenere i pazienti in vita, è divenuto comune nella pratica medica, talora con il sostengno della legge, permettere di morire a alcuni pazienti malati senza speranza, o di accelerare la loro morte. L’aborto è oggi ampiamente permesso e in molti paesi è regolato dalla legge; anche la sperimentazione che comporta la distruzione di embrioni sta diventando un’opzione accettata. In altre parole, Peter Singer non è il primo o il solo a suggerire che la dottrina della sacralità della vita – ampiamente già minata nella pratica – sia una “malata terminale”.18

Tuttavia è soprattutto Singer – non i suoi colleghi filosofi, medici o giudici – a aver attirato l’indignazione di persone offese, di varie comunità, come quella dei disabili, e di alcuni filosofi. Perché? Ci sono varie ragioni. Singer non si limita a articoli di ricerca, ma spesso parla in pubblico, scrive per varie riviste, fra cui quelle mediche, e per la stampa divulgativa. Inoltre, come è già stato notato, i suoi scritti sono sempre chiari e accessibili e talora deliberatamente provocatori. Debra Galant, scrivendo per il New York Times, descrive Singer come un pensatore che “è coerente, chiaro e tanto sottile quanto un carroarmato che passa sopra una sedia a rotelle”.19 Potrebbe essere un’esagerazione, ma Singer ama “pungolare comode convinzioni”20 e si colloca esplicitamente nella tradizione socratica, che vuole che sia compito dei filosofi mettere in discussione le convinzioni basilari del proprio tempo.21

Singer è bravo in questo compito. Rimuove le foglie di fico dovunque le trova e rivela quel che c’è nascosto sotto di esse. A volte alle persone non piace quel che vedono, distolgono lo sguardo e chiudono le loro menti. Nessuna meraviglia, quindi, che Singer – spesso non letto e citato a sproposito – provochi forti reazioni. Idolatrato dai membri del movimento di liberazione animale, Singer è talora trattato in modo irrispettoso e con disprezzo da coloro che ritengono di abitare un differente universo morale. L’arcivescovo di Melbourne, George Pell, a esempio, ha definito Singer “il ministro della propaganda di Erode”, e il Wall Street Journal lo ha affiancato al vice di Hitler, Martin Bormann.22

Nei paesi di lingua tedesca, dove le discussioni sulle decisioni mediche alla fine della vita sono ancora condotte nel ricordo degli orrendi programmi di sterminio della Germania nazista, Singer – egli stesso figlio di ebrei austriaci – è stato zittito e assalito fisicamente23 e, in seguito a minacce di azioni violente, la grande casa editrice tedesca Rowohlt ha cancellato l’uscita di una traduzione tedesca del libro Should the Baby Live?, che era stata quasi completata24. Più recentemente, quando fu annunciata la candidatura di Singer a essere il nuovo Ira W. De Camp Professor of Bioethics all’università di Princeton, l’università si è trovata sottoposta all’opposizione pubblica e interna, e uno dei membri della classe del ’38 ha descritto l’assunzione di Peter Singer come un riassunto del declino della civiltà occidentale.25

Si sarebbe ben giustificati nel rifiutare reazioni come quelle appena menzionate come irriflessive e iper-emotive, ma alcune delle preoccupazioni che le fondano sorgono anche al livello della teoria etica e formano la base della critica agli scritti di Singer da parte dei suoi colleghi. Il lavoro di Peter Singer è ampiamente e apertamente riformatore.26 Come si esprime nel suo articolo “Philosophers are Back on the Job”, apparso nel 1974 sul New York Times Magazine, “le posizioni morali dovrebbero essere discusse e argomentate, non accettate in base all’autorità di Dio o di un dio-professore”.

Né dovrebbero, secondo Singer, tenere troppo in considerazione le intuizioni morali delle persone: “nessuna conclusione su ciò che dobbiamo fare può essere validamente dedotta da una descrizione di ciò che la maggioranza della gente nella nostra società pensa si debba fare”.27 Piuttosto, Singer non ha mai dubitato della sua convinzione per cui si dovrebbe partire da “assiomi fondamentali indubitabili” e seguire i principi morali ovunque ci portino.28 Il semplice fatto che ciò ci condurrà talora a conseguenze che sono contrarie alle nostre intuizioni morali non è, per Singer, una valida ragione per cambiare le nostre idee morali:
“Se abbiamo una teoria morale fondata in modo convincente dobbiamo essere preparati a accettarne le implicazioni anche se ci spingono a cambiare le nostre convinzioni morali su questioni importanti. Se si dimentica questo punto, la filosofia morale perde la sua capacità di generare una critica radicale degli standard morali prevalenti e serve solo per conservare lo status quo”.29

Molti filosofi contemporanei considerano questo approccio metodologico e l’utilitarismo che lo sorregge sorpassati e ispirati a principi sbagliati. Oggi si sostiene spesso che un approccio imparzialista, massimizzante e fermamente ancorato a principi è incapace di confrontarsi con le complessità della vita umana, che non può rendere conto in modo sufficiente delle emozioni, dell’integrità personale, che è “maschile” e non prende in considerazione le esperienze morali delle donne e che è troppo austero e esigente. Ci chiederebbe, a esempio, di dare a coloro che sono distanti da noi la stessa considerazione morale che diamo a coloro che ci sono vicini (nei vari significati di questo termine).

Singer ha dato molto peso all’imparzialità. Come ha scritto in “Carestia, ricchezza e morale”, “Se accettiamo un qualunque principio di imparzialità, di universalità, di uguaglianza, o altro, non possiamo discriminare qualcuno solo perché è lontano da noi (o noi lontani da lui)”.30 Ciò colloca indubbiamente Singer nella tradizione di William Godwin, il quale oggi viene ricordato soprattutto per il suo rifiuto delle considerazioni parzialiste.

Scrivendo circa 200 anni fa, Godwin riteneva che la moralità consistesse nell’agire in modo da causare il maggiore beneficio possibile, considerato da un punto di vista imparziale. In questo contesto formulò un esempio che era destinato a divenire famoso. Se si può salvare da una casa in fiamme solo una persona su due, Godwin riteneva che “si deve preferire la vita che più può condurre al bene generale”. Nel suo esempio, ciò significava che l’illustre arcivescovo Fénelon – i cui scritti davano felicità a milioni di persone – avrebbe dovuto essere salvato, piuttosto che la sua cameriera. Godwin quindi proseguiva nel chiedersi se la situazione sarebbe cambiata se la cameriera fosse stata la moglie o la madre del soccorritore e concludeva che non avrebbe dovuto essere così. Con un’espressione famosa si chiese: “Cosa c’è di magico nel pronome ‘miò da cambiare le decisioni della verità eterna?”.

Alcuni commentatori hanno trovato le conclusioni di Godwin mostruose, e gli scritti di Singer dal canto loro hanno suscitato reazioni analoghe. Come Godwin, Singer ha talvolta scritto come se credesse fermamente che la moralità richieda un incorrotto punto di vista imparzialista e massimizzante – il che significa che dovremmo lasciare bruciare nostra madre, in circostanze in cui il salvataggio di un Fénelon dei giorni nostri massimizzasse l’utilità. Tuttavia, basandosi sulla concezione dell’utilitarismo a due livelli sviluppata da R. M. Hare, uno dei più importanti teorici dell’etica del ventesimo secolo, nei suoi scritti successivi Singer ha chiarito che tale approccio deve essere un po’ moderato per catturare la complessità di quegli elementi che contribuiscono alla felicità umana e alla vita buona. Oggi sostiene esplicitamente che sarebbe un errore chiedere alle persone di rigettare tutte le considerazioni parzialiste.

Piuttosto sarebbe meglio coltivare abitudini e disposizioni che prendano in considerazione i sentimenti profondi delle persone, come l’amore e l’attaccamento per i propri genitori, figli, mogli, mariti, amanti e amici, riconoscendo allo stesso tempo che da un punto di vista critico e imparzialista un’azione differente sarebbe stata migliore. Così scrive in “William Godwin and the Defence of Impartialist Ethics”: “In definitiva è da un punto di vista agente-neutrale che determiniamo se un’azione è giusta; ma è un errore concentrarsi sempre sulla giustezza delle singole azioni, piuttosto che sulle abitudini o sui modi di pensiero intuitivi che ci si può aspettare facciano il maggior bene, nel corso di una vita”.31

In altre parole, Singer argomenta in favore di quello che definisce un “imparzialismo moderato”, un imparzialismo che non ci richiede di essere imparzialisti nella vita quotidiana. Al livello intuitivo, non ci sarebbe richiesto di salvare Fénelon piuttosto che nostra madre, perché per diventare il tipo di persona che lascerebbe la propria madre fra le fiamme, “dovremmo abbandonare troppe altre cose importanti”. Ciò significa, per Singer, che “la sola posizione sostenibile è quella che riconosce l’importanza di entrambi gli elementi”, cioè parzialismo e imparzialismo.32

Singer applica un analogo utilitarismo moderato alla questione dell’allocazione delle risorse scarse. Mentre l’utilitarismo sembrerebbe sostenere, a prima vista, un approccio direttamente massimizzante, Singer rileva che la faccenda potrebbe essere più complicata:
“Dal punto di vista dell’utilità totale c’è più dei QALY (Quality Adjusted Life Years) sanitari, e è plausibile supporre che indirizzare il bilancio dell’assistenza sanitaria verso i membri più svantaggiati della società rinforzi i sentimenti di attenzione e simpatia e conduca a una società più compassionevole. Questa a sua volta potrebbe essere una società con più sentimenti comunitari e quindi una società che garantisca un livello di benessere generale più elevato di una società meno compassionevole”.33

Naturalmente il problema è se un utilitarismo così sofisticato possa mantenere la sua forza riformatrice e, in definitiva, se questa teoria possa essere ancora definita propriamente utilitarista. Peter Singer non si è impegnato a fondo in questa discussione. In effetti è sempre stato un po’ insofferente verso le questioni teoriche più astratte. Come qualcuno ha osservato una volta, non è un filosofo per filosofi, e, a esempio, ammette sinceramente di non avere dato al mondo una nuova teoria etica. Il suo contributo alla disciplina – sostiene – consiste nell’attenzione che ha dedicato a specifiche questioni praticamente rilevanti.34

Singer ha sempre trovato la metafisica un po’ arida. Domande del tipo “come sappiamo che c’è un tavolo dinanzi a noi?”, dice, “possono essere dibattute per un bel pezzo”.35 Ma nel frattempo nel mondo c’è inutile sofferenza non alleviata e milioni di persone muoiono. Alcuni filosofi, come Socrate, Machiavelli, Adam Smith e Karl Marx hanno cambiato il mondo, sostiene Singer, ma i filosofi del ventesimo secolo si sono spesso dedicati a preoccupazioni intellettuali astratte – spesso sterili.36 Già quand’era un giovane filosofo, sentiva che “la filosofia era un’occupazione troppo distaccata e remota, e non avrei potuto trascorrere la mia vita nel dedicarmi a essa. Il problema era se sarebbe cambiata o se ero io a dover cambiare. Fortunatamente cambiò lei”.37

Alcuni dei titoli dei primi scritti di Singer suonano un po’ astratti e filosofici, ma è un’apparenza ingannevole. Anche allora le preoccupazioni erano pratiche. Nel suo articolo del 1973 “The Triviality of the Debate over ‘Is-Ought’ and the Definition of Moral'”,38 come Singer ha di recente spiegato, l’obiettivo era affermare
“che i dibattiti che allora dominavano la filosofia morale, sulla possibilità di dedurre un “deve” da un “è” e sul modo appropriato di definire “morale”, erano solamente terminologici e quindi banali. Suggerii che invece di perdere tempo in questi dibattiti avremmo potuto semplicemente stipulare che cosa si dovesse intendere con i termini morali e quindi passare a esaminare questioni più importanti”.39

Un’analoga motivazione pratica sembra essere stata alla base della pubblicazione del 1974 “Sidgwick and reflective equilibrium”.40 Per Singer era necessario chiarire che c’erano reali pericoli nel seguire John Rawls (che aveva da poco pubblicato il suo famoso Una teoria della giustizia) nel considerare i giudizi morali particolari come dati su cui verificare le specifiche teorie morali. Per Singer, impegnato a cambiare il mondo, un tale approccio sarebbe stato troppo acritico e conservatore.

I giudizi intuitivi – scriveva – “è probabile che siano derivati da sistemi religiosi abbandonati, da concezioni obsolete del sesso e delle funzioni corporee, o da usanze necessarie per la sopravvivenza del gruppo in circostanze sociali e economiche che appartengono al passato remoto”. Contrapponendo l’utilitarista Henry Sidgwick a Rawls, Singer concludeva che “sarebbe meglio dimenticarsi del tutto dei nostri specifici giudizi morali” e procedere come fece Sidgwick: “cercare gli assiomi morali fondamentali e a partire da essi costruire una teoria morale”.41

Peter Singer non teme di andare dove la sua teoria e i suoi assiomi morali lo hanno condotto – tanto in senso teorico quanto in senso pratico. In passato, questo ha significato un’azione politica e sovversiva. In Australia, utilizzando la sua autorevolezza per indirizzare l’attenzione della società su importanti questioni pratiche, Singer ha manifestato nelle strade di Melbourne, seduto in una gabbia per rendere evidente la condizione delle galline d’allevamento, e è stato arrestato in un allevamento intensivo di maiali, in parte di proprietà dell’allora primo ministro, Paul Keating. Come disse all’epoca ai mezzi di informazione, l’allevamento non dava agli animali spazio per muoversi e camminare liberamente, non dava loro accesso ai pascoli e a giacigli confortevoli, e i maiali erano sottoposti abitualmente a mutilazioni, inclusi l’amputazione della coda, il taglio delle orecchie e la limatura dei denti. “Dal momento che Paul Keating è il nostro leader nazionale, la condizione dei suoi maiali è propriamente un problema nazionale”.42

Singer è nato a Melbourne nel 1946, figlio di immigrati ebrei benestanti, che avevano lasciato la nativa Austria nei tardi anni 30 del ‘900. Ha frequentato prestigiose scuole private cristiane e progressiste e ha rifiutato qualsiasi forma di religione a un’età relativamente giovane. A scuola e all’università aveva buoni risultati, e dopo aver abbandonato lo studio della giurisprudenza per la filosofia, si è diplomato all’università di Melbourne con un Master Degree nel 1969, all’età di 23 anni.

In un’imponente tesi di 246 pagine, Singer esaminava la questione “Perché dovrei essere morale?” – una domanda che avrebbe continuato a impegnarlo per molti anni a venire. All’epoca Singer raggiunse malvolentieri la conclusione che la domanda “nonostante la sua antica importanza, deve ancora trovare una risposta”. Nella misura in cui essere morali è in conflitto con l’auto-interesse razionale, gli rimaneva oscuro perché un individuo dovesse scegliere la moralità piuttosto che l’immoralità.43

Nell’ultimo capitolo di Etica pratica 44 Singer è ritornato sul problema e in How Are We to Live? 45e “Coping with global change: the need for new values”, 46 sostiene che sebbene l’egoista non commetta un errore in senso stretto, ci sono tuttavia buone ragioni per consigliare alle persone di scegliere la moralità piuttosto che l’immoralità. La ragione è che è più probabile che siano felici. Una vita dedicata all’acritica ricerca dell’autointeresse, sostiene Singer, spesso non sarà appagante. Tendiamo a ritenere che l’etica sia opposta all’autointeresse, ma questa idea può ben essere sbagliata.

Come spiega: “Il perseguimento dell’auto-interesse, come è comunemente inteso, è una vita senza significato oltre il nostro piacere o la soddisfazione individuale. Una tale vita è spesso un’impresa fallimentare. Gli antichi erano a conoscenza del “paradosso dell’edonismo”, secondo cui più esplicitamente ricerchiamo il nostro desiderio o piacere, più elusiva troveremo la sua soddisfazione… Qui l’etica ritorna a completare il nostro quadro. Una vita etica è una vita in cui noi identifichiamo noi stessi con altri e più ampi obiettivi, dando in tale modo significato alle nostre vite. Se comprendiamo tanto l’etica quanto l’autointeresse in modo proprio, dopo tutto essi potrebbero non essere agli opposti”.47

Ma cosa significa condurre una “vita etica”? Implica, come sembrava suggerire “Carestia, ricchezza e morale”, che dobbiamo abbandonare ogni cosa – denaro, tempo, i nostri progetti e piani di vita – fino al livello di utilità marginale? La risposta per Singer è, ancora una volta “sì”, ma il “sì” oggi suona un po’ più smorzato che in passato. Anche se quel che ci è richiesto a rigore è di donare fino al punto in cui è davvero oneroso, Singer non biasimerebbe coloro che fanno qualche sforzo laddove altri fanno meno.

Come ha di recente spiegato, “gli americani benestanti che donano solo il dieci per cento del loro reddito a organizzazioni di aiuto internazionale sono così al di sopra della maggior parte dei loro concittadini altrettanto benestanti che non mi preoccuperei di rimproverarli perché non fanno di più”. Tuttavia, rimane il fatto che molti di noi potrebbero e dovrebbero dare molto più di quello.

“Gli psicologi evolutivi ci dicono che la natura umana semplicemente non è sufficientemente altruistica da rendere plausibile che molte persone si sacrifichino così tanto per degli sconosciuti. Potrebbero avere ragione in merito ai fatti sulla natura umana, ma potrebbero avere torto a dedurre conclusioni morali da quei fatti… Se non lo facciamo, allora dovremmo almeno sapere che stiamo mancando di vivere una vita moralmente decente – non perché è bene crogiolarsi nella colpa ma perché sapere dove dovremmo andare è il primo passo per dirigerci in quella direzione”.48

Più generalmente, Peter Singer, la cui etica ha sempre riconosciuto l’importanza dei fatti, ha recentemente rinnovato l’idea che le prescrizioni etiche e le aspirazioni politiche debbano tenere molto in considerazione la natura umana. Marx aveva ragione quando pensava che la natura umana fosse malleabile, ma essa è meno malleabile di quanto lo stesso Marx pensasse; piuttosto, come hanno mostrato Darwin e i suoi seguaci, la natura umana è intagliata nel solido legno dall’evoluzione e non può essere facilmente modellata da istituzioni sociali e artifici, come la sinistra ha tradizionalmente creduto.

Ma, Singer sottolinea, gli esseri umani si sono evoluti non solo come esseri egoisti, ma anche come esseri con la capacità per un (limitato) altruismo. La sinistra, impegnata nel cambiamento sociale, deve, suggerisce Singer, prestare più attenzione a Darwin e alle nostre propensioni naturali – guidando la nostra potenzialità per l’altruismo, senza dimenticare alcune delle altre nostre tendenze meno ammirevoli.49

Singer stesso sembra meno ottimista oggi di quanto fosse nella sua giovinezza che i cambiamenti che ha previsto possano essere raggiunti. Nel 1980 un titolo nel quotidiano australiano The Age affermava “La liberazione animale scuote il paese”50 e Singer era ancora fiducioso che la previsione che aveva fatto in Liberazione animale nel 1975 sarebbe divenuta presto vera: “Sicuramente un giorno i nostri figli sentiranno lo stesso senso di orrore e incredulità [verso il nostro trattamento degli animali] che oggi avvertiamo quando leggiamo delle atrocità delle conquiste gladiatorie romane”.51 Da allora almeno una generazione di figli è cresciuta e, nel 1999, Singer ammetteva di essere “un po’ deluso”.

Riconosce che i suoi scritti hanno avuto “effetto ai margini” e oggi pensa che “essi sono stati soprattutto minori”:
“Quando scrissi [Liberazione animale], davvero pensavo che il libro avrebbe cambiato il mondo. So che oggi suona un po’ presuntuoso, ma all’epoca gli anni sessanta esistevano ancora per noi. Sembrava che fossero possibili veri cambiamenti e io credetti che questo sarebbe stato uno di essi. Tutto quel che devi fare è semplicemente camminare fino al McDonald all’angolo per vedere quanto successo ho avuto”.52

Peter Singer è stato accusato di essere di animo freddo e eccessivamente razionale, e è vero, come Singer ha spiegato a un giornalista, che per lui la ragione viene generalmente prima dell’emozione.53 Quest’idea sul ruolo della ragione e della moralità nella sua vita è ben catturata nel suo contributo quasi-letterario al volume La vita degli animali: “non venirmi a dire che ragiono e non sento. Io sento, ma penso anche ciò che sento. Quando la gente dice che dovremmo soltanto sentire […] mi viene in mente Göring che diceva ‘Io penso col mio sangué. Vedi dove l’ha portato”.54

Di recente Singer è stato accusato di “pensare con il suo sangue” quando (invece di fare ciò che i suoi critici sostenevano che fosse richiesto dalla sua filosofia), non ha ucciso sua madre, che era in una fase avanzata del morbo di Alzheimer e la cui cura consumava denaro che avrebbe potuto, dicevano quei critici, essere spesi altrimenti in modo più proficuo.

Singer non ha mai negato che c’è uno scarto fra quel che la ragion pura apparentemente richiederebbe che le persone facessero e quel che è praticamente fattibile, date le loro circostanze particolari in specifici contesti sociali. Pertanto la risposta alla malattia di sua madre potrebbe non essere stata il risultato di un “pensare col sangue” di Singer ma piuttosto del vivere seguendo quel tipo di utilitarismo “moderato” che incorpora diverse responsabilità relazionali e tiene conto della legge.
Con uno spirito simile, Peter Singer è stato anche accusato di non vivere al livello dell’utilità marginale, ma, nonostante il suo disinteresse per alcune comodità della vita moderna, di mantenere uno stile di vita relativamente agiato.

Ancora una volta, tuttavia, Singer non ha mai preteso che la sua vita soddisfacesse gli stretti dettami della sua etica. Alcuni anni fa, alla richiesta di una rivista tedesca di elencare le sue maggiori debolezze, assegnava il primo posto all'”egoismo”. Tuttavia, avendo dedicato molta della sua vita ai tentativi di alleviare la sofferenza e la morte non necessaria nel mondo e dando più del venti per cento del suo reddito a organizzazioni come Community Aid Abroad, è molto probabile che Peter Singer si avvicini al suo ideale etico ben più di molti dei suoi critici, se non della maggior parte.

Nel corso dei suoi ultimi due anni in Australia, prima di assumere il suo attuale incarico di professore all’università di Princeton nel 1999, i principali interessi di Peter Singer si sono fatti piuttosto introspettivi – forse come risultato delle sue concezioni meno ottimistiche circa una realistica possibilità di raggiungere un cambiamento radicale. Ha compiuto ricerche sulla vita della sua nonna materna, un’insegnante entusiasta e una figura di primo piano nella vita intellettuale di Vienna all’inizio del ventesimo secolo, prima della sua cacciata da parte dei nazisti. Anche se è improbabile che il libro che ne risulterà, ancora non pubblicato, deluda, concludo con la speranza che Peter Singer, che oggi ha la possibilità di essere non solo il più importante filosofo pratico negli Stati Uniti ma anche il più efficace, ritorni a dedicare la sua totale attenzione all’etica pratica riformatrice. Può essere spiacevole se le mura di Gerico 55 rifiutano di cadere rapidamente, ma possono ancora crollare.

Helga Khuse insegna alla Monash University, Australia
La traduzione dall’inglese di Simone Pollo

Note:
1. P. Singer, “How the bunny lobby terrorized Revlon”, in The Age, 21 febbraio 1981, p. 26.
2. D. Jamieson, “Singer and the Practical Ethics Movement”, in Id. (e.), Singer and His Critics, Blackwell, Oxford-Malden (MA), 1999, p. 1; C. McGinn, citato in M. Specter, “The Dangerous Philosopher”, in New Yorker, 1999, 6 settembre, p. 52.
3. J. Rachels, “Sociobiology and the ‘Escalator’ of Reason”, recensione a P. Singer, The Expanding Circle: Ethics and Sociobiology, in Hastings Center Report, XI (1981), p. 45.
4. P. Singer, “Famine, Affluence and Morality”, in Philosophy and Public Affairs, I (1972), pp. 229-243 (ora ripubblicato in P. Singer, Unsanctifying Human Life, a cura di H. Kuhse, Blackwell, Oxford, 2002, pp. 145-156); trad. it., “Carestia, ricchezza e morale”, in P. Singer, La vita come si dovrebbe, Il Saggiatore, Milano, 2001, pp. 127-138.
5. D. Galant, “Peter Singer Settles In, and Princeton Looks Deeper”, New York Times, 2000, 5 marzo, p. 9.
6. P. Singer, “Carestia, ricchezza e morale”, p. 131.
7. J. Rachels, “Sociobiology and the ‘Escalator’ of Reason”, cit., p. 45.
8. P. Singer, “Carestia, ricchezza e morale”, cit., p. 138.
9. P. Unger, Living High and Letting Die: Our Illusion of Innocence, Oxford U. P., Oxford, 1996
10. P. Singer, “A vegetarian Philosophy”, in S. Griffiths e J. Wallace (a cura di), Consuming Passions, Manchester U. P., Manchester, 1998, pp. 71-80 (ora ripubblicato in P. Singer, Unsanctifying Human Life, cit., pp. 297-305); trad. it. parziale, “Una filosofia vegetariana”, in P. Singer, La vita come si dovrebbe, cit., pp. 87-93.
11. M. Duffy, “The Vegetarian Philosopher”, in Independent Monthly, 1990, settembre, p. 37.
12. P. Singer, “All Animals are Equals”, in Philosophical Exchange, V (1974), 1, pp. 103-116 (ora ripubblicato in P. Singer, Unsanctifying Human Life, cit., pp. 79-94).
13. Intervista con P. Singer: “Animals join man’s ‘circle of ethics'”, Monash Reporter, 1983, aprile, p. 8.
14. P. Singer, “Killing Humans and Killing Animals”, in Inquiry, XXII (1979), pp. 145-156 (ora ripubblicato in P. Singer, Unsanctifying Human Life, cit., pp. 112-122).
15. P. Singer, “To Do or Not to Do”, in Hastings Center Report, VI (1989), 19, pp. 42-44; P. Singer e P. Cavalieri, “The Great Ape Project”, in R. Corbey e B. Theunissen, Ape, Man, Apeman: Changing Views since 1600, Leiden University, Leiden, pp. 367-376 (ora ripubblicati in P. Singer, Unsanctifying Human Life, cit., pp. 123-127 e pp. 128-141).
16. Si vedano: H. Kuhse e P. Singer, “The Moral Status of the Embryo”, in W. A. Walters e P. Singer, Test-Tube Babies: A Guide to Moral Questions, Present Techniques, and Future Possibilities, Oxford U. P., Melbourne, 1982, pp. 57-63; H. Kuhse e P. Singer, “Individuals, Humans and Persons: The Issue of Moral Status”, in P. Singer et al., Embryo Experimentation, Cambridge U. P., Cambridge, 1990, pp. 65-75; P. Singer e K. Dawson, “IVF Technology and the Argument from Potential”, in Philosophy and Public Affairs, XVII (1988), pp. 87-104; P. Singer, “Unsanctifying Human Life”, in J. Ladd (a cura di), Ethical Issues Relating to Life and Death, Oxford U. P., Oxford-New York, 1979, pp. 41-61; H. Kuhse e P. Singer, “Should All Seriously Disabled Infants Live?”, in G. Scarre, Children, Parents, and Politics, Cambridge U. P., Cambridge, 1989, pp. 168-181; P. Singer, “Is the Sanctity of Life Ethics Terminally Ill?”in Bioethics, IX (1995), pp. 327-343 (ora ripubblicati in P. Singer, Unsanctifying Human Life, cit., pp. 181-187, pp. 188-198, pp. 199-214, pp. 215-232; pp. 233-245 e pp. 246-261).
17. Cfr. P. Singer, “Killing Humans and Killing Animals”, in Unsanctifying Human Life, cit., p. 120.
18. Cfr. P. Singer, “Is the Sanctity of Life Terminally Ill?”, cit..
19. D. Galant, “Peter Singer Settles In, and Princeton Looks Deeper”, cit., p. 1.
20. Peter Singer citato in Rod Usher, “Saintly or Satanic? Peter Singer, Australiàs best-known public philosopher, is finding it easier to liberate animals than to free human minds”, Time (Australian edition), 1989, 20 Novembre, p. 88.
21. J. Ardinov, “Philosopher in the Tradition of Sophocles”, in The Age (Melbourne), 1983, 10 dicembre.
22. Si veda: M. Specter, “The Dangerous Philosopher”, cit., p. 49.
23. P. Singer, “Bioethics and Academic Freedom”, in Bioethics, IV (1990), pp. 33-44 (ora ripubblicato in P. Singer, Unsanctifying Human Life, cit., pp. 66-76).
24. In seguito la traduzione tedesca è stata pubblicata con il titolo Muss dieses Kind am Leben Bleiben? Das Problem schwertstgeschädigter Neugeborener, Harald Fischer Verlag, Eralngen, 1993.
25. M. Specter, “The Dangerous Philosopher”, in New Yorker, p. 49.
26. Si veda: D. Jamieson, “Singer and the Practical Ethics Movement”, cit.
27. P. Singer, “Philosophers are back on the job”, in Unsanctifying Human Life, cit., pp. 62-63 (e. or: in New York Times Magazine, 1974, 7 luglio, pp. 6-7, 17-20).
28. P. Singer, “A Response”, in D. Jamieson (e.), Singer and His Critics, cit., pp. 516-517.
29. P. Singer, Philosophers are back on the job, cit., pp. 62.
30. “Carestia, ricchezza e morale”, cit., p. 129.
31. P. Singer, L. Cannold e H. Kuhse, “William Godwin and the Defense of Impartialist Ethics”, in Unsanctifying Human Life, cit. p. 174 (e. or.: in Utilitas, VII (1975), pp. 67-86).
32. Ivi., p. 174.
33. P. Singer, J. McKie, H. Kuhse e J. Richardson, “Double Jeopardy and the Use of QALYs in Health Care Allocation”, in Unsanctifying Human Life, cit., p. 292 (e. or: in Journal of Medical Ethics, XXI (1995), pp. 144-150).
34. J. Sharlett, “Why are we afraid of Peter Singer?”, in Chronicle of Higher Education, XLVI (2000), 27, 10 marzo, p. A21.
35. M. Specter, “The Dangerous Philosopher”, cit., p. 50.
36. D. Galant, “Peter Singer Settles In, and Princeton Looks Deeper”, cit., p. 9.
37. J. Sullivan, “Thinker who shocks”, in The Age (Melbourne), 1980, 25 giugno.
38. P. Singer, “The Triviality of the Debate over ‘Is-Ought’ and the Definition of Moral'”, in American Philosophical Quarterly, X (1973), pp. 51-56 (ora ripubblicato in P. Singer, Unsanctifying Human Life, cit., pp. 17-26).
39. P. Singer, A Response, in D. Jamieson (e.), Singer and his critics, cit., p. 273.
40. P. Singer, “Sidgwick and reflective equilibrium”, in The Monist, LVIII (1974), pp. 490-517 (ora ripubblicato in P. Singer, Unsanctifying Human Life, cit., pp. 27-50).
41. Ivi., p. 48.
42. G. Boreham, “PM’s piggery cruel, say protesters”, The Age, n. d. a.
43. P. Singer, “Why Should I be Moral?”, tesi presentata al Department of Philosophy dell’Università di Melbourne per il conseguimento del Master of Arts, luglio 1969.
44. P. Singer, Etica pratica, Liguori, Napoli 1989, Cap. 10 “Perché agire moralmente?” (e. or.: Practical Ethics, Cambridge U. P., Cambridge, 1979).
45. P. Singer, How Are We To Live? Ethics in an Age of Self-Interest, Text Publishing, Melbourne, 1993.
46. P. Singer, “Coping with global change: the need for new values”, in Journal of Human Values, II (1996), pp. 37-48 (ora ripubblicato in Unsanctifting Human Life, cit., pp. 324-337).
47. Ivi., p. 335.
48. P. Singer, “La soluzione Singer per la povertà nel mondo”, in La vita come si dovrebbe, cit., pp. (e. or.: “The Singer Solution to World Poverty” in New York Times Magazine, 1999, 5 settembre).
49. P. Singer, “Darwin for the Left”, in Prospect, 1998, giugno, pp. 26-30; P. Singer “Hegel and Marx: dialogue with Peter Singer”, in B. Magee, The Great Philosophers: An Introduction to Western Philosophy, BBC Books, London, 1987 (ora ripubblicati in Unsanctifying Human Life, cit., pp. 358-366 e pp. 341-357).
50. T. Cavey, “Animal Lib shakes the land”, in The Age (Melbourne), 1980, 21 luglio.
51. J. Sullivan, “Thinker who shocks”, cit..
52. M. Specter, “The Dangerous Philosopher”, cit., p. 50.
53. J. Sullivan, “Thinker who shocks”, cit..
54. Peter Singer, risposta all’autore, in J. M. Coetzee, La vita degli animali, Adelphi, Milano, 2000, p. 107.
55. Peter Singer a proposito delle sue iniziali aspettative in: J. Ardnov, “Philosopher in the tradition of sophocles”, cit..