di Valerio Evangelisti

AlanDAltieri.jpgAltieriMagdeburg.jpg(La presente recensione è apparsa in forma ridotta su La Repubblica – Bologna del 10 maggio 2005. Questo è il testo integrale.)

Capita spesso che, quando mi si chiede quali romanzi abbia letto di recente e mi siano piaciuti, io mi trovi in imbarazzo. Ciò che scrivo personalmente mi induce a interessarmi marginalmente di narrativa, specie italiana, e molto invece di saggistica. Esistono però nomi che riescono a strapparmi alle letture consuete, perché ritengo le loro opere irrinunciabili. Uno di questi nomi è Alan D. Altieri.
Non sembra nemmeno italiano, ma in realtà si tratta dello pseudonimo di Sergio Altieri. Non uno di quegli pseudonimi che possono attirare il lettore per il loro esotismo. Altieri trascorre in effetti parte dell’anno negli Stati Uniti, lavora a Los Angeles come sceneggiatore ed è là che è nato quell’ “Alan D.”. Per il resto vive a Milano, ma è di stirpe romagnola, che conserva non nell’accento, ma nel carattere.

Pur avendo ammiratori appassionati, tra cui il sottoscritto, non si può dire che il nome di Alan D. Altieri risuoni spesso nelle patrie lettere. Eppure io lo classificherei tra gli scrittori italiani migliori in assoluto, e tra i più originali. Risulta solo difficile da incasellare. Gli editori che lo hanno pubblicato — Corbaccio, TEA: ha finora scritto 12 romanzi, di cui uno, Kondor, vinse una passata edizione del Noir in Festival di Courmayeur — lo hanno definito maestro del “thriller apocalittico”, oppure una sorta di Tom Clancy italiano (ma migliore dell’originale, aggiungo io). In realtà Altieri è molto più di tutto ciò: è uno Hieronymus Bosch letterario, un cantore potente della distruzione e della dissoluzione.
Si prenda il suo ultimo, straordinario romanzo: Magdeburg — L’eretico, primo di tre grossi volumi dedicati alla Guerra dei Trent’anni. Fin dalle prime righe ci si trova immersi, grazie allo stile terso ed efficacissimo dell’autore, in un clima corrusco, in cui la violenza irrefrenabile di una guerra che pare eterna sembra essere emersa quale unica costante della vita umana. Impossibile non restare affascinati e allucinati dalla potenza delle scene, dal succedersi delle calamità, dalla tenera storia d’amore che malgrado tutto riesce a nascere in quell’inferno, come un fiorellino sbocciato al centro di una pozza di sangue. Orrido e meraviglioso, quale sarebbe stato un remake de Il Settimo Sigillo girato da Sergio Leone.
Né va trascurata la precisione dei dettagli storici e materiali, a cui, d’altra parte, i romanzi di Altieri hanno abituato i loro lettori. Per cui il quadro terribile che lo scrittore dipinge è, oltre tutto, plausibile e ampiamente verificabile nelle opere d’arte dell’epoca descritta. Né il caos di delirio e sofferenza, di ideali sublimi e crudeltà sfrenate in cui il solo Altieri è capace di sprofondarci con tanta efficacia può essere racchiuso nel quadro storico abbracciato dal romanzo. Appartiene a ogni guerra, passata o recente, col suo corredo di orrore.
Stavo per scrivere di “orrore inenarrabile”, ma mi sono trattenuto. Qualcuno capace di narrarlo per fortuna c’è. E vadano all’inferno le patrie lettere cui accennavo se, davanti a un maestro, non sanno riconoscerlo come tale, preferendogli un universo consolante di bambagia e di insulsaggine. I mediocri passeranno, Altieri resterà, con le sue storie sanguigne che toccano verità profonde e inquietanti, legate come sono a una biologia umana con strascichi ferini che richiede sforzo e razionalità per essere domata.

Alan D. Altieri, Magdeburg. L’eretico, Corbaccio, 2005, pp. 412, € 18,60.