di Beppe Sebaste (da L’Unità del 13 dicembre 2004)

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E’ appena terminata a Roma un’insolita e ricca fiera del libro – Più libri, più liberi – dedicata alla piccola e media editoria. Come ha sintetizzato Sandro Ferri di e/o, c’è più politicità oggi nella piccola editoria che promuove cultura, cioè linguaggi non omologati e dissidenti rispetto alla marmellata imperante, di quando negli anni Settanta si pubblicavano enunciati di “contenuto” politico. La posta in gioco è la stessa che in ogni altro ambito: produrre e far circolare gesti, comportamenti, forme e stili politici e di vita diversi di natura e non di grado da ciò che oggi, con o senza Berlusconi, ci soffoca.


In una lettera aperta a Carlo Feltrinelli, Roberto Cerreto, presidente dell’associazione dei promotori editoriali (coloro che propongono alle librerie i libri in uscita), lancia l’allarme sulla decisione della Feltrinelli, intesa come catena di librerie molto rappresentative del mercato librario in Italia, di abolire tali intermediari a favore di un rapporto diretto con le proprie librerie. Ovvero, scrive Cerreto, i librai Feltrinelli “non sceglieranno più i libri da proporre ai loro clienti, ma riceveranno un assortimento stabilito da personale sicuramente competente, che però esercita la sua funzione al centro di un unico ufficio, lontano dai frequentatori delle librerie, cioè dai lettori e dalle diversificate realtà locali”. Addio interscambio, ma soprattutto addio visibilità, a rischio dell’esclusione, per quei piccoli editori “che non producono libri di largo consumo”, e hanno ben poche chances di essere promossi da chi dall’alto prende le decisioni: “una selezione centralizzata, avendo fra l’altro come conseguenza una riduzione della varietà dell’offerta, darebbe man forte al processo in atto di omologazione culturale”.
Sempre a proposito di libri, il mese scorso i giornali enfatizzarono la notizia, avvolta in spirali così viziose che arrivarono perfino a evocare il fantasma del terrorismo, di un esproprio da parte dei cosiddetti “disobbedienti” ai danni di un supermercato e di una libreria Feltrinelli di Roma. L’editore Feltrinelli inviò una lettera stupita e allarmata alla Repubblica. Più spiritoso, il direttore della Mel Books di Bologna contrattò coi disobbedienti, poi fornì la classifica dei libri più “rubati” (al primo posto, felici, i Wu Ming). Non si tratta certo di legittimare il furto, ma il 24 novembre, alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Roma La Sapienza, a un dibattito su “precarietà, accesso alla cultura, proprietà intellettuale”, cui parteciparono tra gli altri i giornalisti Piero Sansonetti e Ida Dominjanni (era invitato anche Carlo Feltrinelli) si cercò di rispondere ad alcune problematiche domande poste dai “disobbedienti”: “Per chi lavora con segni, codici, linguaggio, saperi, affetti, un libro vale quanto una scatola di pasta? E’ così vero che i giovani non hanno voglia di leggere?” Tra poco è Natale, e sul tema della merce (Lost in a supermarket) ho scritto più volte. E’ possibile dire che le librerie Feltrinelli hanno molte somiglianze col modello del supermarket o dell’autogrill, confermato dal reclutamento manageriale degli ultimi anni? Lo sconforto (la pressione) assale il cliente che cerca, che so, le poesie di Marguerite Yourcenar (Nottetempo) o le prose di Giorgio Manganelli (Quiritta), e deve attraversare il corridoio di torri di libri di Vespa, Follet, Littizzetto o Faletti, gli stessi che occultano tutto il visibile una volta entrati in libreria.