costello1.jpgcostello2.jpgGli amanti di David Foster Wallace hanno presente il nome di Mark Costello, compagno di viaggio dell’autore di Infinite Jest nei ghetti e negli studi di registrazione e nelle sedi di etichette indipendenti che fecero da scenario al memorabile reportage avantpop de Il rap spiegato ai bianchi (minimum fax). Mark Costello era, a dire il vero, un ben strano compagno per un viaggio nel delirio della pop culture afroamericana: faceva l’avvocato e appariva incarnare i peggiori lineamenti del bianco idiota che si affaccia nelle barzellette della exploitation. Invece Mark Costello è un figo e, a distanza di dieci anni da Signifying Rappers, ha pubblicato Big If (Harcourt Brace & Company), un bellissimo romanzo che rivitalizza un’antica tradizione anglosassone: la spy story comica. Come si rivitalizza il genere prediletto da Greene e Burgess? Con un irresistibile ingrediente: l’assalto politico.

costello3.jpgLa black comedy che Costello ha intitolato, in evidente parodia chandleriana, Big If è a tratti irresistibile. Una storia di servizi segreti che, per arruolare forze fresche, pubblicano un annuncio di reclutamento che mette in ridicolo l’appello del Teatro Naturale dell’Oklahoma: “OPPORTUNITA’ DI LAVORO: Viaggia per tutto il mondo! Incontra gente famosa! Siete persone fisicamente sane disposte a sacrificare famiglia, amici, moralità e pace della mente? Siete disposti a fare da schermo antiproiettile umano per proteggere egomaniaci in delirio narcisistico? (Cure mediche gratis!) Se vi piace vivere e dormire con un killer psicotico nei dintorni, potreste avere un futuro nel Servizio Segreto!”.
E’ soltanto un assaggio dello sfrenato umorismo di Mark Costello, che via via assume i toni della denuncia politica, della perizia sociologica, del nonsense e della fosca profezia su un pianeta dominato dai sordidi intrighi dell’intelligence internazionale. Costello ci racconta infatti la storia (le storie) di personaggi che possono davvero rispondere a un annuncio di lavoro come quello sopra tradotto. Oh, beninteso: gente del genere esiste sul serio e io non smetterò mai di meravigliarmi fino a che punto una fiction come Big If venga superata in assurdità dalla realtà. Ciò non toglie che, a intermittenza, le fantasie di un romanziere superino a loro volta la realtà. Più raro, invece, è che fiction e realtà coincidano perfettamente, una specchiandosi nell’altra: il che capita nell’opera nera (humour nero, nulla di esoterico qui…) con cui Costello ha rischiato di vincere il National Book Award 2002.
Centro oscuro del romanzo, autentico buco nero, è la figura del vicepresidente, il cui magnetismo percepiamo senza mai vederlo direttamente: tutto dirige occultamente, tutto preordina o dispone, tutto nasconde – ma di lui non conosciamo neanche il nome. Al suo servizio è il Servizio, che egli manovra mentre sta per affrontare la corsa alla presidenza contro un senatore che “ha idee più fresche e una capigliatura molto migliore di lui”.
Ci si aspetterebbe di vedere incrociarsi, in una sorta di Matrix del presente avanzato, le figure maschili che hanno fatto la storia del genere spy. E invece Costello sorprende tutti creando personaggi femminili che agiscono muscolarmente ed emoivamente nel ruolo di agenti segreti. Due figure su tutte: Gretchen Williams, che dirige l’Agenzia e, quando non protegge il vicepresidente dalle forze del male, è a casa a proteggere la sua teppa dalle forze del male – un personaggio esilarante; e Vi Asplund, il migliore agente del Servizio, che nonostante il nome è donna, in lutto per la morte del padre ex agente ateo e con tanto di fratello tech-addicted. Intorno a queste figurazioni ridicolmente bidimensionali, Mark Costello agita un autentico universo umoristico che, a tratti, ricorda il Coupland dei tempi d’oro: tradimenti sessuali, amicizie devastate, improvvise e assurdissime impennate etiche, furia antisalutista, mutilazioni fisiche e morali. Il tutto rotante attorno al centro inesistente – e qui sta il risvolto politico più acido del libro – del marketing elettorale americano. Costello allestisce il ritratto a tutto tondo di una società allo stremo, un impazzimento collettivo che va in effervescenza di fronte alla rappresentazione del vuoto (davvero imperdibili certi quadri della campagna presidenziale, con l’icona del candidato che incarna l’idiozia media americana, ruminante Big Mac alla ricerca di una normalità che non ha riscontri nel mondo reale), ultima frontiera mediatica dell’evaporazione definitiva di un popolo e, forse, di un’umanità su cui si è spalmata a forza la marmellata a stelle e strisce.
Ulteriore notazione per chiarire quel che si può chiarire, senza rompere l’incanto della suspence più divertente degli ultimi anni: che cavolo è il Big If? E’ un videogioco, anzi: il videogioco. Si tratta di un’orgia a punti di violenza che, partendo da un clamoroso successo on line, incomincia a invadere la realtà, commistionando personaggi reali a personaggi reali e sovrapponendo killer pericolosi a killer pericolosi. Un equivoco che, in passato, fu plautino, e che oggi è invece uno dei maggiori spunti avantpop – lo scambio tra reale e virtuale quale indicatore sociale ed esplosiva gag collettiva. Per comprendere cosa partorisca questa convergenza parallela di realgame e videogame, basta citare la battuta centrale di una scena memorabile, quella di una riunione del marketing che lancia il Big If: “Abbiamo bisogno di mostri umani. La gente vuole sparare a facce vere”.
Nonostante la ricchezza sorprendente di sottotrame, deiezioni narrative improvvise, schieramenti di stratosferica e varia invenzione, non siamo di fronte a un mattone. Costello eccelle in dinamica brillantezza e agilità di racconto, secondo la migliore e peggiore deriva della letteratura americana contemporanea. Inventandosi un dopodomani che spartisce qualche gene con l’ucronia alla Dick, l’autore di Big If sorprende non tanto perché varca la soglia filosofica che la fantascienza a breve termine permetterebbe, quanto per la vivacità intellettuale e la capacità di somministrare microchoc a ripetizione al lettore. Una sorta di Landsdale con più stile, un’intelligenza non brada ma impegolata con le contraddizioni di una tendenza all’eversione dalla norma che, però, si è data norme (narrative) per riuscire nell’opera di liberazione delle umane menti.
Forse, più semplicemente, un romanzo che si legge d’un fiato e grazie a cui ce la si spassa per ore. Non è poco, al giorno d’oggi.