priestcover.jpgliberazione.gifdi Nico Gallo (da Liberazione, 3.11.02)
Un uomo uccide inspiegabilmente i passanti. Vittima di una follia improvvisa semina la morte per strada, senza nessuna ragione apparente. Le sue vittime sono persone normali che, semplicemente, si sono trovate nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Fino a pochi mesi fa gli Stati Uniti sono stati terrorizzati da un serial killer che, con una carabina di precisione, uccideva persone prese a caso. Si trattava di un reduce della Guerra del Golfo, pare convertito all’Islam, che, in compagnia di un adolescente, ha seminato la morte come uno di quegli angeli sterminatori frequentemente evocati dai sermoni apocalittici dei predicatori.

Non si può essere insensibili di fronte alla morte, e ogni morte ha un proprio particolare peso, proprio in questi giorni in cui la cronaca estera ostenta e rivela nuove morti (è ovvio, scelte tra altre senza alcuna forma di equità), come quelle dei passanti statunitensi o degli ostaggi di Mosca, e non c’è modo di sfuggire a un senso di precarietà più ostinato del solito.
Nell’idea che la finzione operi nel senso di rivelare la realtà, come sostiene anche Carlo Ginzburg in una recente intervista intitolata “Cos’è l’Inghilterra”, pubblicata su La Repubblica il 27 ottobre, vale la pena di riflettere su un atipico romanzo di fantascienza scritto dall’inglese Christopher Priest e intitolato Esperienze estreme (Fanucci, pp. 330, 14,00 euro). Priest, che oggi ha quasi cinquant’anni, è considerato un autore proveniente dalla New Wave, la corrente della fantascienza radicale che, negli anni Sessanta e Settanta, aveva letteralmente rivoluzionato questa forma espressiva introducendo pesantemente temi sociali e politici. Fugue from a Darkening Island, un suo romanzo del 1972, parla di un’Inghilterra sull’orlo della guerra civile a causa dell’arrivo di profughi africani sfuggiti a una guerra atomica. Altri romanzi, come The Inverted World, del 1974, sono decisamente sperimentali, e in generale tutta la sua produzione successiva rimane in bilico tra una certa qualità letteraria e la spregiudicatezza delle ipotesi fantascientifiche. Non a caso Christopher Priest è l’autore di eXistenZ, il romanzo che è stato tratto dall’omonimo film di David Cronemberg. Esperienze estreme, ovvero The Extremes, riprende molti particolari del film. Innanzi tutto il tema della finzione condivisa, ovvero di come le tecnologie possano creare illusioni in grado di cortocircuitare i sensi e stimolare direttamente il cervello, attraverso spine neurali, con allucinazioni assolutamente realistiche. In questi mondi virtuali ad assoluta credibilità, l’uomo sperimenta situazioni estreme di violenza e di sesso dalle quali è destinato a diventare dipendente. Ma l’allucinazione di Teresa Simons, la protagonista del romanzo, si rivela molto più complessa di quella di un semplice gioco, seppure altamente sofisticato. La consistenza del tempo percepito si lesiona in più punti, la coerenza della realtà si fa progressivamente più flebile. Non è chiaro quali siano le “esperienze estreme” di cui parla il romanzo, se si debba intendere un riferimento alla violenza indotta sugli individui da una società folle e cinica e che li trasforma in serial killer, se sia il dolore della morte rinnovato e aggiornato dalle ricostruzioni virtuali, se si pensa a un corpo che, a causa delle tecnologie, ha rotto i propri naturali confini e si sta espandendo in un mondo sempre meno esteriore e separato. Certo è che Teresa Simons incarna la nostra posizione estrema di persone postmoderne che, ogni giorno, si protendono un po’ di più verso l’ignoto.
Qualcuno potrà sorridere con sufficienza pensando all’interesse che si dedica alle tecnologie che hanno per obiettivo qualcosa che sia “più reale del reale”, ma i media hanno concesso al potere di oggi sofisticati strumenti di manipolazione della realtà. The Extremes, sovrapposizione di thriller, romanzo esistenziale e fantascienza, proprio grazie all’alternarsi di questi tre aspetti, sa cogliere pienamente questo senso di indeterminatezza, una sorta di debolezza della protagonista e degli altri personaggi nei confronti di una realtà inspiegabile e mutevole. Pensiamo alla metamorfosi quotidiana della verità nel caso delle giornate di Genova durante il G8, la rapida ricostruzione dell’intervento militare in Kossovo e, con tempi sempre più brevi, la ristrutturazione degli avvenimenti dell’11 settembre proposta da un libro convincente come Guerra alla libertà di Nafeez Mosaddeq Ahmed (Fazi, pp. 342, euro 16,80).
Libri come Esperienze estreme, alla fine, sono riflessioni sull’etica, ovvero ci pongono problemi sui limiti dell’uomo, sul cinismo e sull’egoismo, sulle scelte che le persone fanno. Sono libri che, fingendosi profezie, sanno essere scomodi e imbarazzanti. Ognuno può fingere che il mondo non esista, può scordare la sofferenza e il dolore, l’ingiustizia e la prepotenza, può infilarsi uno spinotto nella nuca e vivere un’esperienza estrema altrimenti invivibile. Eppure questa non è una visione inquietante del futuro, si può fare già oggi. Milioni di persone lo stanno facendo ora…