di Gioacchino Toni

I rapporti tra calcio e politica sono di lunga data; d’altra parte era inevitabile che uno sport capace di appassionare ed intrattenere come pochi altri non risultasse appetibile anche per chi ha legato le sue sorti politiche al consenso. Fabio Belli e Marco Piccinelli, che in un volume precedente – Calcio e martello. Storie e uomini del calcio socialista (Rogas edizioni, 2017) – si erano interessati ad alcune storie del calcio oltrecortina capaci di segnare l’immaginario ad Est come ad Ovest, in La Repubblica nel pallone. Calcio e politici, un amore non corrisposto (Rogas edizioni, Roma, 2019) hanno scelto di raccontare undici storie di politici dell’Italia repubblicana – a volte influenti protagonisti, altre vere e proprie meteore balzate alla cronaca per poi sparire senza lasciare traccie di sé se non nelle aule dei tribunali e nei conti non saldati – che in qualche modo hanno corteggiato, non sempre dotati di genuina passione, l’universo pallonaro del Belpaese.

Il volume si apre passando in rassegna il rapporto tra Presidenti della Repubblica e mondo del calcio raccontando in particolare di Giuseppe Saragat, che riceve al Quirinale la Nazionale campione d’Europa nel 1968 e quella che due anni dopo perde la finale dei mondiali messicani contro il Brasile di Pelè, di Giovanni Leone, tifoso dichiarato del Napoli, di Sandro Pertini, protagonista mediatico della vittoria azzurra dei mondiali spagnoli del 1982, di Francesco Cossiga, che oltre a palesare il suo sostegno alla Juventus in piena foga da picconatore non ha mancato di inveire contro la “giustizia sportiva” alle prese con Calciopoli nel 2006, di Carlo Azeglio Ciampi, affezionato ai colori della sua Livorno, per poi arrivare a Sergio Mattarella che, nonostante la riservatezza, pare seguire con un certo interesse le sorti del Palermo e dell’Inter.

Un capitolo è dedicato al caso del tutto particolare di Achille Lauro che lega la sua storia al calcio sin dal periodo fascista individuandone un importante strumento di consenso per poi proseguire nel dopoguerra, quando le vicende politiche personali – passando dalle liste monarchiche a quelle del Movimento sociale – si intrecciano con quelle che lo vedono gestire la società del Napoli Calcio con spavalde scelte imprenditoriali.

I rapporti dei politici comunisti col calcio sono invece raccontati attraverso la storia di Marco Rizzo che si intreccia, in giovane età, con quella della curva dei tifosi del Torino tra le fila del gruppo Ultras Granata, mentre in un’altra sezione del libro si parla del legame con la squadra degli Agnelli di alti esponenti del Pci a partire da Palmiro Togliatti, passando poi per Luciano Lama ed Enrico Berlinguer, con un’appendice post-Pci dedicata al tifoso juventino Walter Vetroni pragmaticamente attento però a non inimicarsi il tifo romanista.

Spazio è concesso anche a Ciriaco de Mita, la cui fortuna politica coincide con quella dell’Avellino nella massima serie durante gli anni Ottanta. Quanto diretta sia stata l’influenza del democristiano sulle sorti della squadra irpina è difficile da dire, tuttavia, si sostiene nel libro, «il rapporto tra De Mita e l’Avellino fu una sorta di amore pensato, in cui la presenza costante non fu mai accompagnata da esternazioni che nel mondo di oggi si potrebbero considerare quai d’obbligo per un esponente politico così in vista […] Non è un mistero che la Democrazia Cristiana, nell’espressione della sua nomenclatura, non disdegnasse operare dietro le quinte, e magari l’influenza demitiana la ricordano con più efficacia ad Avellino e dintorni, piuttosto che a livello nazionale» (pp. 43-44).

Inevitabilmente gli autori si soffermano sul rapporto tra Giulio Andreotti e la Roma, dagli stretti rapporti prima con Franco Evangelisti e poi con Dino Viola, a sostengo della quale interviene direttamente per l’ampliamento del centro sportivo di Trigoria e nelle trattative per portare in giallorosso il brasiliano Paulo Roberto Falcão. Andreotti non manca nemmeno di adoperarsi personalmente per il salvataggio della Lazio sull’orlo del fallimento dopo le gestioni di Giorgio Chinaglia e Franco Chimenti e persino nelle vicende del Frosinone, visto come importante bacino elettorale.

Un caso curioso riguarda la figura di Giovanni Di Stefano, avvocato che intreccia la sua storia con quella del Campobasso Calcio e con le vicende della guerra in Jugoslavia tra debiti insoluti e loschi affari in giro per il mondo. Celebri sono restate alcune sue dichiarazioni, come quella in cui accredita l’allenatore Levkovic, da lui portato al Campobasso, di un passato alla guida nientemeno che del Macnhester United, ma che da quelle parti nessuno ha mai sentito nominare, o come il suo millantare di essere segretario del Partito nazionale italiano, formazione politica di cui non vi è traccia negli archivi. Attualmente, pare, Di Stefano si trova a fare i conti con la giustizia inglese per reati di frode, truffa, riciclaggio e via dicendo.

Anche la parabola politica di Bettino Craxi si intreccia in qualche modo con il mondo del pallone. Milanese ma tifoso granata, probabilmente ammaliato dal fascino del Grande Torino. «Craxismo e Torinismo si sfiorarono a lungo, ma si intersecano solamente in una fase. Alla fine degli anni Ottanta il segretario socialista è al termine della sua esperienza di presidente del Consiglio, ma gli anni della Milano da bere, che dureranno a lungo, sono ancora all’apice. Craxi continua a seseguire il Torino con passione ed interesse, ha un figlio milanista, Bobo, e un amico, Silvio Berlusconi, al quale nel 1986 ha consigliato di prendere in mano le sorti della squadra rossonera, potenziale veicolo di grande popolarità» (p. 81). A quelle date il Torino non se la passa bene, tanto che nel giugno del 1989 finisce in Serie B ed è a questo punto che Craxi decide di intervenire supportando Gian Mauro Borsano, una sorta di ambizioso Berlusconi in scala ridotta. La parabola di Borsano al Toro è di breve durata ed esaurita la propulsione elettorale la squadra viene smantellata mentre Craxi si trova alle prese con ben altri problemi.

Un capitolo del volume è dedicato alla ricerca del consenso politico-calcistico nella Roma della Seconda Repubblica, quando i riflettori calcistici sembrano tra i pochi strumenti in grado di dare visibilità a figure di candidati sindaci in un’epoca segnata dal rigetto della politica da parte dei cittadini. In apertura di millennio nascono addirittura liste come Avanti Lazio e Forza Roma gravitanti attorno a Dario Di Francesco, liste elettorali “a schieramento variabile” che si ripresentano a più riprese fino al 2016. Del mondo capitolino degli ultimi decenni, sul libro viene descritta anche la grottesca corsa dei politici a mostrarsi vicini al popolare capitano giallorosso Totti.

Altro personaggio appartenente al teatrino della Capitale a cui Belli e Piccinelli dedicano qualche pagina è il Cavaliere della Repubblica Italiana, nonché fondatore e segretario nazionale di Italia Morale, Mario Auriemma. Candidatosi sindaco nel 2015 a Roma, costui è stato negli anni Novanta presidente delle società dilettantistiche di Civitavecchia e Pomezia, oltre che amministratore del Giorgione Calcio e patron dell’Avellino negli anni Ottanta: tutte società fallite sotto la sua direzione.

La Repubblica nel pallone si chiude su Silvio Berlusconi, per oltre un trentennio proprietario del Milan, nonché, una volta “sceso in campo” direttamente in politica nei primi anni Novanta, a lungo riveste la carica di Presidente de Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana ed ancora, pur “trascinandosi in campo”, attivo nel mondo politico attuale. Sul legame calcio-politca (e televisione) è stato scritto tanto ma su un aspetto, sostengono gli autori del libro, ci si è soffermati poco: «quello del Berlusconi “tattico”, amante del calcio più di quanto lo sia stato del Milan» (pp. 121-122). Le ultime pagine di Belli e Piccinelli sono proprio dedicate all’eterna insoddisfazione, costantemente e pubblicamente esplicitata, dall’uomo di Arcore a partire da quando alla sua prima squadra, il Torrescalla, presto ribattezzata Edilnord in onore della sua società di costruzioni, insoddisfatto della conduzione tecnica della squadra, si è trovato costretto a sollevare dall’incarico allenatori come Marcello dell’Utri e Vittorio Zucconi.

Fabio Belli e Marco Piccinelli, La Repubblica nel pallone. Calcio e politici, un amore non corrisposto, Rogas edizioni, Roma, 2019, pp. , € 13,70


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