di Francisco Soriano

proprio nel momento in cui si compie una sempre più brutale omologazione in termini culturali e sociali e si esalta una fastidiosa iconoclastia mainstream, il genocidio silente di ogni magnificenza del linguaggio nella sua significazione e funzione trova un facile approdo. talvolta, l’esasperazione di un retorico rinnovamento sperimentale dei linguaggi finisce per svuotare ogni paradigma costruito sul suono-armonia-voce-scrittura. in particolare, quando non si accenna alla sua imminente autodistruzione, forse profetizzata anche come mera provocazione, la poesia rischia di essere sacrificata sull’altare del suo sempre attuale adempimento: slancio spirituale e ruolo civile nella società, con il suo originale e inimitabile senso critico, con la potenzialità di smascherare determinate criticità sociali. di una cosa si è certi con la buona pace dei catastrofisti: la poesia, gli scritti e i libri, come Faulkner asseriva, sono indistruttibili e sono l’unica evidente certezza di eternità: “la mia sola ambizione, come individuo privato, è essere abolito, cancellato dalla storia, vivere senza lasciare segno, ma soltanto libri. vorrei avere avuto il buon senso di molti elisabettiani: pubblicare senza firmare le proprie opere. il mio solo scopo, la somma e la storia della mia vita, il mio necrologio, non sarà che questo: ha fatto libri, ed è morto”.

circa le infinite riflessioni che riguardano la poesia nella ricerca del suo senso e, addirittura, del suo etimo verbale, è doveroso ricordare le parole di Eugenio Montale (1). egli sostiene che, in origine, “la poesia è nata dalla necessità di aggiungere un suono vocale al ritmo martellante delle musiche, già esistenti”. successivamente e solo in seguito alla nascita della scrittura, la poesia e la musica hanno ultimato il loro processo di differenziazione. infine, la poesia ha assunto il suo ruolo anche come pensiero e come sostegno alle domande sull’esistente. quest’ultima definizione è inconfutabile. il linguista Jacobson ha ben definito, invece, la “funzione poetica”, quella per la quale le parole hanno valore non tanto in riferimento ai contenuti che esprimono, quanto piuttosto per l’armonia e il suono che evocano nel momento in cui si incontrano. è una presa di posizione, forse, per evocare un aspetto della poesia di cui pochi parlano: la simmetria. forma scritta o orale e contenuto si manipolano e si sovrappongono continuamente in infinite soluzioni e, affinché questo si possa realizzare, è necessario curare e sondare a voce alta il suono, poi il ritmo, cercando coincidenze senza che le parole abbiano o subiscano una selezione in base a ciò che le regole dettate dai canoni, come accadeva nell’antro remoto del tempo, costringevano a fare.

dunque lo facevano gli aedi greci, ma con regole certamente più ferree nella costruzione del verso e, nella edificazione delle parole, con sempre più diffusi neologismi e accompagnamento musicale; lo facevano i poeti della “originaria vague” trobadorica e provenzale cercando instancabilmente una profonda e invincibile sinergia fra significante e significato, proiezione della forma e del contenuto.

senza mito, senza dio, è rimasta la poesia. il suo valore assoluto è ancora più irrimediabilmente necessario, oggi. la comunicazione fra gli esseri umani potrebbe avvenire anche solo attraverso i versi, di questo vi è certezza. il resto è rumore. informe vocìo, microfoni, competizioni, confusione e quant’altro. nel momento in cui è celebrazione o auto-sublimazione la poesia scompare e si annienta nel visibile. ma è solo un ramo secco, una sorta di incidente di percorso. ci può stare. In queste dinamiche tutto appare, inoltre, come un inesorabile deflagrarsi in supposte contestazioni a un mondo borghese che lo si mette in discussione solo a parole e, queste ultime, non sono sempre quelle sublimi della poesia ma schiamazzi multiformi. nessuno demonizza le nuove forme (e quelle antiche con la pretesa di essere sperimentali) di comunicazione, soprattutto quelle che pretendono di dare alla poesia un ruolo e una “sola” forma intoccabile di trasmissione orale. e quanto poi siano modalità davvero nuove e non astruse quanto eteree realtà vagheggiate e presto cancellate nel web e dintorni, è semplice immaginarlo. ci chiediamo se questa cancellazione e velocità di “consumo” sia una caduta ineluttabile e, forse, addirittura inconsciamente consolatoria: quella che risiede nel dimenticatoio, in quell’oblio che il web ci riserva. è qualcosa di adeguato e meritato dalla poesia? i cantori dell’oralità e della comunicazione anche e soprattutto attraverso i media e i canali informatici sanno che la scrittura non solo non è subordine e attività subliminale ma, risulta essere, in quei luoghi cibernetici, una pratica, immediatamente naufragata in una sorta di asfittica compulsività. proprio dove si manifesterebbe la conclamata oralità, la scrittura presto ingoiata in un enorme buco nero, si dissolve.

il pensiero poetante non è un’opinione. Leopardi (2) insegna. come nel meraviglioso saggio di Antonio Prete, si deduce che la poesia è invincibile, continua e continuerà a impossessarsi di noi con il suo demone inesorabile. proprio Leopardi, argomentando sulla funzione del poeta, in quanto tale, diceva: “è del tutto indispensabile che un tal uomo sia sommo e perfetto poeta; ma non già per ragionar da poeta; anzi per esaminare da freddissimo ragionatore e calcolatore ciò che solo ardentissimo poeta può conoscere. (…) la ragione ha bisogno dell’immaginazione e delle illusioni ch’ella distrugge; il vero del falso; il sostanziale dell’apparente; l’insensibilità la più perfetta della sensibilità la più viva; il ghiaccio del fuoco; la pazienza dell’impazienza; l’impotenza della somma potenza; il piccolissimo del grandissimo; la geometria e l’algebra della poesia”. la poesia dunque finirà per defluire nelle arterie delle articolazioni di chi scrive, fino a determinare ogni singolo movimento come da magia: che sia allora inchiostro o scrittura digitale, oggi.

per dirla con Mandel’štam (3), ci si accorge di una poesia solo e soprattutto quando è impossibile tradurla in una mera parafrasi: “dove si scopre che i versi possono essere parafrasati, la poesia, per così dire, non ha trascorso la notte: il letto è intonso, le lenzuola non sono sgualcite”. inoltre la poesia è un “resistentissimo tappeto liquido”, che si definisce solo nei mille orditi che si distinguono l’uno dall’altro. una vera poesia, insomma, la si vede subito: non è soggetta a nessuna forma di commento e autopsia. è il vento dell’immaginazione, quello che tutti desiderano si riversi anche drammaticamente, sulla propria pelle. è questo pensiero poetante che ha come strumento cardine la rappresentazione per immagini e sentimenti, si misura costantemente proprio con i limiti della conoscenza, senza la quale tuttavia non è complicato porsi domande e darsi risposte, spesso senza possibilità alcuna di sublimare una seppur ipotetica verità. ed ecco ricorrere alla microfisica di ogni forma del vivere umano, delle sue assurde dinamiche e, più razionali, talvolta, relazioni col mondo intero: che sia natura, passione e ragione stessa poco importa.

bisogna prendersi cura delle proprie interiori ambiguità, o anche delle razionali debolezze, fragilità, finalmente scoprire i “semplici” riferimenti che ci conducono sulla strada della poesia. proprio quella strada che si tenta di percorrere attraverso “le scritture” e combatte l’abuso delle parole. le poesie dovrebbero essere recitate o, se proprio si vuole, accompagnate in musica dietro un velo inesorabile e nerissimo che nasconda persone, strumenti, microfoni e frastuoni. che si rivesta allora di suono al quale le parole tributano un sublime testo battuto sulla roccia, se necessario, con tanto di martello e scalpello. vestigia, orme o cose del genere, sono anche questo le poesie. bisognerebbe usare lo scalpello, qualche volta più della penna o della tastiera di un pc. così, senza polemica, a rimirar l’ovvio è solo chi ipocritamente tenta di tradurre in nuovo il vecchio trascinato a forza da uno scantinato.

e poi, la questione della coerenza dei “poeti laureati” di oggi, che non è per definizione e nella realtà, possibile. infine i canoni, e i movimenti-gruppi, in poesia. prendiamo, ad esempio (ahimè dal passato), le vertiginose prese di posizione (rivoluzionarie?) del mai dimenticato Gruppo 63. intellettuali certo raffinatissimi che avevano, dalla loro parte, la simpatia di essere pregiudizialmente contro il potere. ma questi antiborghesi che detestavano l’individualismo, alla fine, non erano i migliori (borghesi) individualisti? magari la loro presunzione di distruggere quel capitale tecnocratico, freddo e vorace non ha riscosso, nelle azioni, alcun risultato. forse. di solito in Italia le formazioni, in quel caso composte da critici, accademici, professori, poeti laureati, poeti, diventano pian piano delle istituzioni garanti di un canone, di una strada maestra, di un viatico quasi mistico a cui attenersi: pena l’esclusione, l’ostracismo, la messa in prescrizione. niente dunque di così rivoluzionario, ma tanto sano provincialismo. ricordiamo allora le liste di proscrizione che, addirittura, quel genio assoluto di Sanguineti non seppe esimersi dallo stilare: contro Cassola e Bassani, mentre, come in una fatwa, colpivano senza scampo. furono gli stessi avanguardisti-sperimentalisti del Gruppo 63 a definire Cassola e Bassani come delle “liale”, “gente” insomma da romanzi d’appendice, insignificanti nei confronti delle lotte antisistema. certo, dei due scrittori messi in discussione, rimangono opere bellissime come ”Il taglio del bosco”, “Il gigante cieco” e il “Giardino dei Finzi Contini”: altro che “liale”, ma scrittori civilissimi in senso sociale e politico. poi gli epigoni e, insieme a questi, anche altri cristallini intellettuali di altre formazioni, altre aggregazioni, ancora citate da Sanguineti (4) come assolutamente “irrilevanti” al cambiamento sociale, come il Gruppo 93.

non amiamo il vorticoso miscuglio di una lirica fatta tutta di dolori e trame interiori, a meno che non serva all’autore come personale momento di catarsi che vuole essere conosciuto e fatto conoscere. dunque è auspicabile che la poesia si immerga nella realtà, la decifri e combatta anche strenuamente. ma attenzione al mainstream apocalittico e borghesissimo fino al suo midollo. quello capeggiato dai critici-poeti-“campioni”-dello-sperimentalismo-che-rifuggono-dall’io, che detestano i concorsi letterari e poetici (e come non dargli torto), ma presto vengono colti in flagranza di reato a presiederli con tanto di parruccone e spocchia da censori. ricordiamo una volta per tutte Pagliarani (5), quando sosteneva che “lo spirito umano ha più bisogno di piombo, che di ali”. Ma che lo sia davvero. pertanto la poesia può essere di-svelatrice e vivida analisi, metafora di un mondo che non abbisogna più di slanci di infinito, ma in modo onesto, corretto, di consapevole racconto.

crediamo nella scrittura come forma sublime di testimonianza e opposizione alla prepotenza, alla violenza, all’autorità insita nel potere come l’elemento chimico costitutivo senza il quale non esisterebbe né si perpetuerebbe. non ci sono più, in poesia, i nonostante, i purtroppo e i così sia. la poesia è fare, è azione pura. concretezza. opposizione in parole coordinate, calibrate, analizzate, ragionate, intonse, assordanti nel silenzio sacro di un rispetto per questa forma estrema di arte e di bellezza.

come ben ricordava Anceschi (6), nelle sue lezioni, anche Kant “osservò che essa materia di cui trattiamo appare sfuggente, intricata, anzi avviluppata bene; e non manca di essere come percorsa da una acuta consapevolezza di questo genere, l’antica considerazione di Platone per cui “le cose belle son difficili”.

difficilissime, oggi, ma inesorabilmente e onestamente necessarie.

 

  1. Eugenio Montale, nel suo discorso tenuto presso l’Accademia di Svezia nel 1975, in occasione del conferimento del Premio Nobel
  2. Dallo Zibaldone di Leopardi: Antonio Prete, Il pensiero poetante, saggio su Leopardi. Mimesis/Leopardiana, Milano, 2021, pagina 107.
  3. Osip Mandel’štam, Conversazione su Dante, Adelphi, Milano, 2021, pagina 28.
  4. Edoardo Sanguineti, sul ruolo della poesia e degli intellettuali: Edoardo Sanguineti, Avanguardia e sperimentalismo – YouTube
  5. Elio Pagliarani, cit. da Elio Pagliarani, la poesia che agisce | minima&moralia (minimaetmoralia.it)
  6. Luciano Anceschi, Che cos’è la poesia? La parola Letteraria 8, Zanichelli, S. Lazzaro di Savena (Bologna), 1987, pagina 17.