di Edoardo Todaro

Raffaella Battaglini, Mentre passiamo bruciando, Castelvecchi, 2021, pp. 240. € 18,50.

Nel giugno del 2001 viene dato alle stampe questo romanzo scritto da Raffaella Battaglini. Castelvecchi si assume l’onere, e diciamo oggi l’onore, di una scommessa che è vinta. Parlare e scrivere  del movimento del ’77 in Italia attraverso un romanzo non è cosa facile. Battaglini non scende a scrivere un saggio su quel periodo. Tanti ne troviamo negli scaffali di librerie, biblioteche collettive e/o personali. Lunghissimo è l’elenco a cui ci possiamo riferire se vogliamo approfondire la conoscenza di quanto avvenne in Italia, in quel periodo.

Ne cito solo alcuni per conoscenze e divulgazione comune: da Sergio Bianchi “ Figli di nessuno “ a  Luca Falciola “Il movimento del 1977 in Italia“; da Vincenzo Miliucci “Giorni che valevano anni“ a Pino Tripodi “Settantasette una rivoluzione . la vita“; da Autori molti compagni “Bologna marzo 1977“ a Sergio Bianchi e Lanfranco Caminiti “Settantasette , la rivoluzione che viene“; da “Una sparatoria tranquilla“ a Gianfranco Manfredi “Ma chi ha detto che non c’è“ alla produzione di Nanni Balestrini. Sicuramente ne tralascio molti altri, ma se ciò accade non è certo per alcuna scelta voluta, escludere qualche autore per qualche motivo.

I riferimenti si riducono se ci riferiamo a chi, come in questo caso Raffaella Battaglini, usa il romanzo per poter affrontare quel periodo. Nel 2020 Umberto Montin con “A muso duro“, a distanza di un anno ci confrontiamo con “ Mentre passiamo bruciando“. I due libri hanno qualcosa  in comune: il contesto in cui il tutto si svolge e cioè la città, Padova, quella città che nell’immaginario collettivo rappresenta, assieme a Bologna, quanto si è sviluppato ed è emerso in quel periodo; ed il ritornare su episodi che erano stati ritenuti aver già una conclusione .Nel primo un suicidio, nel secondo un omicidio.

In questo caso ci troviamo ad avere  a che fare con l’ omicidio, irrisolto di Laura, una frequentatrice di luoghi riferimento di quel periodo. Anni dopo, diversi anni dopo, una giornalista si imbatte sull’omicidio di Laura e si immerge nella storia, nel vissuto di quella stagione. Possiamo dire che lo stile di Raffaella Battaglini è qualcosa che va al di là del noir classico. L’uso dei racconti, delle testimonianze, in realtà veri e propri monologhi,  sono elemento caratterizzante  del romanzo. Un romanzo che si affida alla ricostruzione di quegli avvenimenti, attraverso la memoria dei tantissimi, anche come in una sorta di “ Spoon river “ coloro che non ci sono più, che prendono parola. Memoria ricostruita, che supera, in importanza , fatti ritenuti salienti che invece risultano secondari uno su tutti il sequestro del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro e la sua uccisione.

È un susseguirsi di luoghi, dall’osteria al bar con il proprietario che proviene dalle file dei rapinatori ed ha costruito l’amicizia con i compagni in galera; alla piazza punto di riferimento in particolare per i “ fuori-sede “ che non si lamentavano più di tanto se vivevano in luoghi fatiscenti, visto che la loro vita era fuori dagli spazi “ domestici “; di avvenimenti, che rendono evidente l’effervescenza del clima esistente, il non essere rinchiudibili in nessun recinto;  le case aperte 24 h, la musica, le radio libere, il cinema, le letture e la maledetta eroina che di fatto azzera il movimento; che rendono evidenti le contraddizioni che ognuno deve portarsi sulle spalle, a partire dal maschilismo, esistente ma rimosso,  all’esproprio proletario che in realtà, a volte, diviene vero e proprio furto.

Dicevamo di Padova e di quanto di quello che in quella città si esprime si diffonde nel resto del paese. Le università occupate, i collettivi di facoltà, il voto politico, i cattivi maestri; il femminismo ed il lavoro domestico retribuito. Ma dicevamo, di sicuro il contesto, l’atmosfera: le perquisizioni; l’esilio con i suoi tempi bui che riporta Padova nello squallido grigiore; la galera e la gente che si è giocata la vita tra errori giovanili ed ingenuità; la repressione; l’ospitalità, dovuta, verso chi è costretto ad essere latitante; il morire in uno scontro a fuoco è messo in conto in un decennio che è valso la pena di vivere; il disincanto dell’ex per cui il tempo delle rivoluzioni è finito e che  mette  come priorità il contrario esatto di ciò per cui ha lottato passando armi e bagagli dall’altra parte; i cortei di massa  e la polizia in assetto di guerra; l’atmosfera “ cilena “ l’uso delle sostanze dall’oppio all’eroina alle esperienze psichedeliche che trasforma la città nel fantasma di quel che era stata; l’illegalità di massa ed il partito armato; il rapporto con la scuola della strada e gli illegali comuni; l’andare tutto in discussione con l’inarrestabile arrivo degli anni ’80; dall’ex disincantato a chi riflette e ragiona intorno alla sconfitta subìta, inaspettata ed arrivata a tradimento; l’aver combattuto una guerra, l’aver attraversato un periodo insurrezionale che durava da un decennio, l’aver subìto il pentitismo, la dissociazione, il patteggiamento .

Anni di piombo? Accettare questa definizione vuol dire ridurre quanto accaduto ad episodi e non cogliere l’insieme degli avvenimenti, il contesto che gli ha prodotti, da cui sono emersi. Emerge, nelle 230 pagine, la diffidenza dei militanti verso i fricchettoni, i borghesi, i tossici che frequentano l’appartamento riferimento di una certa parte di città, divenuto il luogo dell’omicidio con il suo odore di sangue; la diffidenza, che divide, anche a distanza di anni sul carattere di Laura, sul chi è Laura, sul perché è morta, chi l’ha uccisa, i suoi rapporti veri o presunti con il partito armato.

Ovviamente, e giustamente, non potevano mancare riferimenti ad episodi che segnano quel periodo dal 12 marzo quando in  100000 scendono in corteo a Roma in risposta all’omicidio di Francesco Lorusso assassinato a Bologna dai carabinieri; un 12 marzo letto come prova generale d’insurrezione; all’inchiesta “ 7 APRILE “, operazione giudiziaria portata avanti nei confronti  dei “ leader “ del movimento.  Su tutto questo ritengo che il giusto peso, il risalto vada dato all’energia collettiva che si attenua fino a spegnersi, alla fine di un ciclo, di un’appartenenza, di un sentire collettivo. “ Abbiamo perso, e come una partita a poker ci si alza, si saluta e si esce di scena ….e’ finita, è tutto completamente finito “ nonostante  “ gruppi di giovani proletari pronti ad accendere fuochi di guerriglia “ e quando sembra che tutto sia perduto, dobbiamo riporre la fiducia in quel qualcuno che prenderà il nostro posto.  ù

La conclusione di quanto scritto da Raffaella Battaglini è da prendere in considerazione non tanto sullo scoprire i misteri che si celano dietro l’omicidio di Laura ma sull’aspettarsi quel qualcosa che risvegli dal lungo sonno,  perché tutto finisce dove è cominciato.