di Cesare Battisti

Mi sono messo addosso tutto quello che potevo per togliermi il il freddo dalle ossa. Eppure fuori la giornata è di sole. E poi il clima da queste parti non può essere così ameno. Sono i nervi. In mancanza di calorie è un improvviso sentimento d’abbandono, a farmi intirizzire. Ma se voglio continuare a crederci, a resistere alla fame, devo prendermela con il tempo. Lo scombussolamento del pianeta che ha attinto la Calabria. Non sarebbe poi così avventato dare la colpa alla calotta fondente alla deriva. Giusto prima di cominciare a battere i denti, stavo leggendo la lettera enciclica. Me l’ha mandata un’amica mia suora di clausura – tanto per rimanere nell’ambiente. E’ elogiabile e terrificante allo stesso tempo, come il Papa azzecca tutti i mali del pianeta. Il dito sulla piaga, senza appello. Ma Francesco il buono col mio freddo non c’entra niente. Gli spifferi gelati non vengono dall’esterno. Neanche dal cuore, quello è in buone mani. Ma dallo stomaco che, vuoto da venerdì mattina, mi si attorciglia sotto le coperte. Non mi si fraintenda, neanche a Guantanamo Calabro si lasciano morire di fame i prigionieri. La colpa è mia, mi sono messo a digiuno per evitare guai.

E’ successo tutto così in fretta. Doveva essere un inizio di giornata come tutti gli altri, nel reparto isolamento. Qualcosa è andato storto.

Mi sono chiesto tante volte, con tutto il tempo di cui dispone che bisogno ha il galeotto di coltivare maniacalmente le abitudini: ogni cosa al suo maledetto posticino – ogni movimento studiato al millimetro. Come se la cella fosse teca e noi opere preziose.

L’ora d’aria nella “scatola di stivali”, come la chiama l’albanese d’oltre muro, è alle 8,30. La doccia, dopo, per togliere gli umori del passeggio solitario. Fra questi due avvenimenti portanti, una miriade di gesti e riflessioni scanditi da algoritmi interiori. Per quanto mi ostinassi a rispettare il programma stabilito, il venerdì mattina mi sfuggiva. Prima ancora di scendere dal letto, sembrava che la mente e le cose si fossero stancate di stare insieme. Cercai di non pensarci. Nonostante lo scombussolamento, me ne andai all’aria con quella quasi allegra agitazione che mi prende sempre quando c’è qualcosa che non quadra.

Il sesto senso del galeotto non ha nulla di soprannaturale. Ripensandoci a posteriori, si scoprono un sacco di dettagli che non vediamo nella vita giornaliera, ma che non sfuggono alla bestia braccata. E deve essere andata in questo modo anche venerdì mattina. Infatti, trovai del tutto normale che mi chiamassero per l’infermeria, senza mascherina. Non mi sorpresi più di tanto quando, da dietro un angolo di corridoio, mi balzarono addosso un manipolo di agenti guidati dal loro leader naturale. Impossibile discutere, ancor meno opporre resistenza. Non avrebbero neanche avuto bisogno di tanta messinscena per portarmi nel loro girone ISIS. Ve lo immaginate il sottoscritto far fronte a tanta forza dissuasiva?

L’AS2-ISIS è proprio come me lo avevano descritto: una specie di lugubre cassaforte nel complesso di Rossano. Ovviamente qui i penitenti non hanno diritto nemmeno alle solite mattonelle. Il cemento grezzo che regna sovrano è quello che più colpisce all’entrata. L’unica resistenza, ben passiva, l’ho opposta quando volevano che entrassi in una cella che merita qualche impressione. Dalla punizione al castigo. Non osavo toccare il letto o lo sgabello, tanta era la sporcizia accumulata. Mi affacciai al gabinetto…. e cominciai a urlare.

Oggi è domenica 18 ottobre e non ho idea di come fare uscire questo scritto. Sono appena le 10:30 e oltre il blindato qualcuno ha già gridato “il praaanzo!” in arabo suppongo, e sarà tutto fino a lunedì mattina. A Guantanamo Calabro la domenica non si cena. Sul serio! Pranzo cena e pane sono le tre parole che ho imparato a riconoscere. A me il lavorante non chiede, sa che rifiuto il cibo sin dall’arrivo. Il capo posto mi ha chiesto se sono in sciopero della fame. Ho risposto che non ho appetito, per non dire che non mi fido.

Mi è stato dato da leggere e da scrivere, con parsimonia. Alla televisione, con qualche indecenza di canale, ho preferito la mia radiolina. Si urla anche, e allora il volume della tele sale, è quando c’è un attentato. Finora sono riuscito a evitare di uscire dalla cella, Ma c’è di mezzo sabato e domenica. Per qualche colpo basso, bisogna aspettare lunedì mattina. Nel 1981, mi toccò un breve periodo del famigerato articolo 90 a Fossombrone. Ripensandoci da qui, non era poi così male.