di Lucius Etruscus e Danilo Arona

Samarra

Ho un grande amico, ricercatore a tutto campo anche lui nei reami della Luce Oscura, ben conosciuto in rete come Lucius Etruscus, che più di due anni fa mi ha fatto dono di un ottimo articolo. Io, archivista nel DNA, l’ho letto e accantonato in attesa di ispirazione da condividere. Lucius nel frattempo l’ha giustamente pubblicato con qualche modifica rispetto all’originale.  Ma il tempo è finalmente venuto. Per prima cosa dovete scoprire, se ancora non l’avete fatto, l’articolo di Lucio. E’ lungo, ma vale ogni virgola.

 Il racconto della morte inevitabile

Quando si racconta una storia si “contagia” la mente di chi ci sta ascoltando, il quale raccontando a sua volta la stessa storia diffonderà il contagio: se la storia è potente, questo contagio può durare anche millenni.

È quello che è successo con una storia antica che ha rimbalzato di mente in mente: una storia universale, visto che parla di morte.

La prima apparizione di questa storia la troviamo nel Talmud (“Insegnamento”), che è uno dei testi sacri dell’ebraismo ed è conosciuto in due versioni: quella di Gerusalemme e quella babilonese, molto più lunga e redatta fra il V e il VI secolo d. C. ma contenente testi tramandati in forma orale sin da molti secoli prima di Cristo.

La 53ª sukkah del Talmud Babilonese è una parabola che racconta di come un giorno Re Salomone si accorse che l’Angelo della Morte era triste. «Perché sei così triste?» gli chiese. «Perché mi hanno ordinato di prendere quei due Etiopi», risponde l’Angelo della Morte, riferendosi a Elihoreph e Ahyah, i due scribi etiopi di Salomone. Il Re volle salvare i suoi preziosi uomini e li fece scappare fino alla città di Luz, ma appena giunti qui i due scribi morirono. Il giorno seguente Salomone incontrò di nuovo l’Angelo della Morte e vide che sorrideva. «Perché sei così felice?» gli chiese. «Hai mandato i due etiopi proprio nel posto in cui li aspettavo!» risposte la Morte.  Al che Salomone espresse la morale della parabola: «I piedi di un uomo sono responsabili per lui: essi lo portano nel luogo dove egli è atteso.» Suona strana come morale, visto che in realtà i due poveri scribi vennero mandati da Salomone a morire, non dai loro piedi.

Il seme è lanciato: varie versioni di questa parabola infiammeranno la creatività di autori fino ai giorni nostri. Prenderò in considerazione solo i lavori dal Novecento ad oggi, visto il loro alto tasso di “contagio” letterario.

La prima citazione che troviamo è purtroppo difficile da confermare. Nel suo romanzo del 1923, Le grand écart, il prolifico scrittore francese Jean Cocteau inserisce questo testo conosciuto come “Il gesto della morte”:

«Un giovane giardiniere persiano dice al suo principe: “Salvami! Ho incontrato la Morte stamattina. Mi ha fatto un gesto di minaccia. Stanotte, per miracolo, vorrei essere a Isfahan”. Il buon principe gli presta i suoi cavalli. Nel pomeriggio, il principe incontra la Morte e le chiede: “Perché stamattina hai fatto un gesto di minaccia al nostro giardiniere?” “Non era un gesto di minaccia, ma un gesto di sorpresa. Perché stamattina lo vedevo lontano da Isfahan, e a Isfahan lo devo prendere stanotte».

Questo brano “contagiò” la fantasia dello scrittore argentino Jorge Luis Borges, il quale lo inserì prima nell’antologia Racconti brevi e straordinari (1953) e poi in Antologia della letteratura fantastica (1976). Visto però che Borges amò così tanto la letteratura da non disdegnare di giocare con essa, attribuendo quindi ad altri autori testi scritti da sé e prediligendo le “Finzioni” più di ogni altra cosa, non possiamo essere sicuri della veridicità di questa citazione. Malgrado poi la grande fama, è molto difficile mettere le mani sulla vasta bibliografia in francese di Cocteau, quasi impossibile trovare l’opera in questione… e pura follia sperare di trovarla in lingua italiana.

Se però prendiamo per buona la citazione (visto anche che è stata inserita nell’autorevole Antologia della letteratura fantastica che contiene il fior fiore di questa produzione) allora dobbiamo pensare che il “contagio” letterario in dieci anni esatti fece… il salto della Manica.

Nel 1933 infatti il britannico William Somerset Maugham pubblica la sua ultima pièce teatrale: Sheppey, che finisce con la Morte che va a prendere il protagonista, il quale si rimprovera di non essere fuggito nell’Isola di Sheppey, dove sicuramente la Morte non sarebbe arrivata a prenderlo. Al che la Nera Signora risponde:

«C’era a Baghdad un mercante che mandò il suo servo al mercato per far provviste. E il servo ritornò ben presto, pallido e tremante, e disse: “Padrone, poco fa, mentre ero al mercato, fui urtato da una donna nella folla, e quando mi volsi mi accorsi che era stata la Morte a urtarmi. Mi guardò e fece un gesto minaccioso. Te ne supplico, prestami il tuo cavallo e io abbandonerò questa città per sfuggire al mio destino. E andrò a Samarra, dove la Morte non potrà trovarmi”. Il mercante gli prestò il suo cavallo, e il servo montò in sella e, spronando a sangue l’animale, partì al galoppo. Allora il mercante si recò alla piazza del mercato e mi scorse tra la folla. “Perché hai fatto un gesto minaccioso al mio servo, stamane?” mi chiese, avvicinandosi. “Il mio gesto non era di micaccia, bensì di sorpresa”, risposi. “Fui stupita di vederlo a Baghdad poiché avevo un appuntamento con lui questa notte a Samarra”.»

Non sappiamo se Maugham prese d’ispirazione il Talmud Babilonese o Cocteau per questa storia o se la inventò, né sappiamo se era consapevole di quanto sarebbe stata contagiosa.

Già l’anno successivo lo statunitense men che trentenne John O’Hara pubblica il suo primo romanzo, destinato a fama imperitura: Appuntamento a Samarra. Come spiega O’Hara stesso nell’introduzione all’edizione del ’52, originariamente il suo romanzo aveva per titolo The Infernal Grove (Il bosco infernale), ma quando la poetessa Dorothy Parker gli mostrò Sheppey di Maugham l’autore ne fu colpito: il racconto della Morte inevitabile lo aveva “contagiato” e non solo volle aggiungere il testo della Morte come citazione iniziale del libro, ma fece di tutto per cambiare il titolo del romanzo stesso in Appointment in Samarra. Non aveva alcuna attinenza con gli eventi narrati, se non (nelle intenzioni di O’Hara) sottolineare l’inevitabilità della morte del protagonista. Né a Dorothy Parker, né agli editori né a nessun altro piacque quel titolo, ma l’autore si impuntò e l’ebbe vinta.

Nel 2007 il celebre regista Brian De Palma, contagiato dalla storia, gira il film Redacted intorno al racconto della Morte inevitabile così come lo riporta O’Hara. La pellicola è ambientata proprio vicino alla vera Samarra, in Iraq, dove alcuni soldati gestiscono un posto di blocco: uno di loro legge e racconta agli altri Appuntamento a Samarra di John O’Hara!

De Palma non è certo stato il solo a rimanere colpito dal romanzo di O’Hara: lo è stato anche il nostrano Roberto Vecchioni.

«Io notai questa bellissima favola orientale sul frontespizio di un libro, che era Appuntamento a Samarra di John O’Hara – racconta Vecchioni al giornalista Vincenzo Mollica nella video-intervista Parole e Canzoni (2002). – Però il raccontino era citato da Somerset Maugham, che è uno scrittore anglosassone, e mi piacque moltissimo perché era un modello di cultura poi tra l’altro non soltanto orientale: era di tutto il mondo.»

Nel 1977 Roberto Vecchioni ottiene il successo del grande pubblico con una canzone molto particolare: Samarcanda, contenuta nell’album omonimo e tormentone dell’epoca. Il ritornello di violino è scritto ed eseguito da Angelo Branduardi, il quale accompagnerà Vecchioni nell’esecuzione della canzone nel concerto del 1992 Camper.

Il testo ci racconta che, alla fine di una non meglio specificata guerra, un soldato sta festeggiando quando si accorge di una «nera signora che lo guardava con malignità». Intuito che si tratta della Morte, chiede al suo sovrano di farlo fuggire il più lontano possibile, e questi gli concede un cavallo velocissimo che lo porterà in poco tempo a Samarcanda. Ma arrivato in questa città, incontra di nuovo la nera signora. «Sbagli soldato – gli dice la Morte – io non ti guardavo con malignità. / Era solamente uno sguardo stupito: / cosa ci facevi l’altro ieri là? / T’aspettavo qui per oggi a Samarcanda, / eri lontanissimo due giorni fa. / Ho temuto che per ascoltar la banda / non facessi in tempo ad arrivare qua.»

Il soldato, cercando di sfuggire alla Morte, in realtà gli andò incontro.

Il racconto della Morte inevitabile fece della canzone un caposaldo della musica italiana. «Non era nata come canzone di successo – racconta Vecchioni nella citata intervista, – anzi con un motivo tragico: era nata sulla morte di mio padre, che sembrava essersi salvato poi improvvisamente un giorno purtroppo se n’è andato. Il destino è beffardo, crudele come sappiamo, “cinico e baro”: ti promette una cosa e poi non la mantiene.»

Ma perché Samarra diventa Samarcanda?

Avanziamo ora un’ipotesi azzardata.

Nel 1965, dodici anni prima della canzone di Vecchioni quindi, Oriana Fallaci scriveva ne Il sole muore: «Pensai piuttosto a quell’atroce racconto persiano dal titolo “Appuntamento a Samarcanda”. Nel giardino del re, la Morte appare a un servo. “Domani”, gli dice “ti vengo a prendere…” Allora il servo corre dal re e gli chiede il cavallo più veloce, per fuggire lontano: a Samarcanda. Arriva a Samarcanda, l’indomani, e la Morte è lì che lo aspetta. “Non è giusto”, grida il servo “non è leale”. “Perché?” risponde la Morte. “Sei fuggito senza farmi finire il discorso. Io ero in giardino per dire: domani ti vengo a prendere a Samarcanda”.»

Come si vede il racconto è pressoché identico alle versioni precedenti tranne che per due particolari: la città è Samarcanda invece di Samarra, e alla fine la Morte parla al servo e non al signore. Entrambe queste due variazioni si ritrovano nel testo di Vecchioni… e in nessun’altra versione della storia! Malgrado Vecchioni affermi di essersi ispirato ad una favola orientale conosciuta tramite John O’Hara, è molto più facile che invece abbia ripreso il testo di Oriana Fallaci: perché però non dirlo chiaramente?

Al di là della vera ispirazione di Vecchioni, sta di fatto che dalla fine degli anni Settanta in poi il nome Samarra scompare dalle traduzioni italiane!

Mentre infatti nel mondo anglosassone, grazie a O’Hara, è Samarra ad indicare l’ineluttabilità della Morte, in quello italiano sarà il nome Samarcanda. Così quando nel 1990 viene tradotto in italiano Ricordi di mezzanotte (Memories of Midnight) di Sidney Sheldon, il fugace riferimento a Samarra viene bellamente modificato.

«Hai mai letto “Appuntamento a Samarcanda”, Catherine? No? Peccato, ormai è troppo tardi. Parla di un uomo che cercava di sfuggire alla morte. Si rifugiò a Samarcanda e la morte era lì che lo aspettava. Questa è la tua Samarcanda, Catherine.»

Questo dialogo fra un assassino e la sua vittima in lingua originale riporta Samarra: magicamente in italiano diventa Samarcanda. Visto questo importante precedente, come facciamo a essere sicuri che i successivi riferimenti a Samarra, in romanzi di lingua straniera, non siano stati anch’essi modificati? Probabilmente, lo sono stati tutti…

«La Morte come un angelo, la Morte che dava appuntamento a Samarcanda», Robert Bloch, La mietitrice (Reaper, 1986).

«Conosce il racconto orientale Appuntamento a Samarcanda?» Gérard de Villiers, SAS Vendetta a Beirut (Vengeance à Beyrouth, 1993)

«La storia degli ultimi giorni di Mozart è entrata nella leggenda: un ignoto messaggero recapita una convocazione dall’aldilà per preparare un eroe predestinato a un appuntamento a Samarcanda.» Maynard Solomon, Mozart (Mozart. A Life, 1995).

«Andiamo, bellezza. Ho un appuntamento a Samarcanda, o qualcosa del genere.» James Patterson, A Jennifer con amore, 2004).

Per amor di verità vanno citate anche le eccezioni.

«Chi ha un appuntamento a Samarra non si dirigerà invece verso Newark.» Ed McBain, Una città contro (Downtown, 1989).

«Qualcosa sul destino, gli pareva, e su certi appuntamenti in Samarra.» Stephen King, Insomnia (1994).

 

(CONTINUA)