di Cassandra Velicogna

Bologna 23 Maggio ore 20 circa. In piazza Verdi i carabinieri e la polizia caricano un gruppetto di studenti in assemblea. Una mossa da tutti inaspettata, come una reazione a un comportamento grave e pericoloso da bloccare immediatamente. Cos’ha scatenato tanta furia?

Gli studenti del Collettivo Universitario Autonomo (d’ora in avanti CUA) stavano portando nel cuore della zona universitaria la voce delle lavoratrici della Sodexo, azienda pisana di pulizie presso strutture ospedaliere che avrebbero parlato della loro mobilitazione e della scelta di abbandonare la rappresentanza confederale per proseguire autonomamente nella lotta contro i licenziamenti. C’erano tante persone interessate all’assemblea: studenti, precari, lavoratori della logistica in lotta, ricercatori, disoccupati. Naturale quindi prevedere un’amplificazione. Ecco la pietra dello scandalo. Sembra che un cavillo del regolamento di quartiere preveda che nella piazza universitaria non si possa amplificare la voce.

Che piazza Verdi sia un oggetto interessante per lo studio delle dinamiche sociali si sa, tanto che alla piazza centrale della zona universitaria bolognese sono stati dedicati  siti , libri e foto. Oltre agli universitari che mangiano, studiano, insegnano, ricercano, lavorano, bevono, parlano, si innamorano, scambiano conoscenze, appunti, libri, pensieri, sopportando i costi salati della zona, esiste uno sparuto drappello di residenti che da anni fa una forte pressione su comune e prefettura affinché silenzio e morigeratezza abitino la zona. Questi pochi residenti fanno il gioco di un controllo sociale che dal 2001 prevede di stanza nella piazza un presidio fisso composto da vigili, polizia e carabinieri e qualche volta anche guardia di finanza. E’ un posto particolare, piazza Verdi, spesso giunge agli onori delle cronache locali per le iniziative delle giunte comunali (Guazzaloca, Cofferati, Merola) volte a impedire che i negozi stiamo aperti dopo la mezzanotte e la questione dei troppi decibel e del vetro in terra tiene occupati i cronisti locali a intervalli regolari.

L’anno scorso anche la programmazione musicale dell’assessore Ronchi è stata vittima delle proteste di pochi residenti intolleranti. Ma la questione delle iniziative politiche dei collettivi antagonisti è assimilabile alla situazione di concerti? Cercheremo di capirne di più tramite una breve intervista a due militanti dei collettivi universitari CUA e Hobo (nato da alcuni attivisti dell’esperienza conosciuta come Bartleby).

Milena Naldi (Sel) è la Presidente del quartiere San Vitale, che comprende anche piazza Verdi. Dopo gli scontri del 23 ha dichiarato: “Se avessero fatto l’assemblea senza amplificazione non sarebbe successo niente”. Il regolamento di polizia urbana deve essere fatto rispettare anche a costo di provocare disordini? “Mi verrebbe da dire di sì” (fonte Repubblica.it).

Il lunedì successivo, 27 Maggio i collettivi universitari danno appuntamento nella stessa piazza. Senza amplificazione, ma decisi a riprendersi il diritto di fare assemblee. Dopo svariate cariche la polizia e i carabinieri, paladini dell’anti amplificazione, sono costretti a arretrare fuori dalla piazza, letteralmente spinti da una fiumana di gente. Per due giorni non rimetteranno piede in zona universitaria. Le dichiarazioni dei giorni successivi vanno dal piagnisteo del Siulp a tentativi di free climbing sugli specchi del comune passando per lavaggi di mani da parte dell’università e eloquenti silenzi (comitati residenti).benni piazza verdi-02

Da quella data partono una serie di iniziative organizzate dal CUA che vedranno socialità, sport, manifestazioni, cultura avvicendarsi in zona universitaria. Momenti memorabili, come il reading/tributo di Stefano Benni a Franca Rame del 30 Maggio, il torneo di calcetto conclusosi l’8 Giugno e la straordinaria manifestazione del 4 Giugno. Proprio in questa data, alla fine di un corteo che ha visto la partecipazione di più di mille persone, è stato piantato in mezzo a piazza Verdi un albero: si chiama Photinia e si possono leggere i suoi “pensieri” su un apposito profilo Facebook.

Il significato del gesto è questo: piazza Verdi è Taksim in piccolo, e l’albero un simbolo di solidarietà internazionale ai manifestanti di Gezi Park, ma anche una dichiarazione: “Noi da qui non ce ne andiamo”.

L’11 Giugno è stato anche proposto dal sito Univ-Aut.org un Manifesto per piazza Verdi.

Studenti, militanti dei centri sociali e lavoratori in lotta, a Bologna, devono però registrare un altro recente successo: quello della manifestazione del 1° Giugno.

La lotta dei facchini contro le condizioni di lavoro (usuranti e mal pagate sono due eufemismi) imposte dalle cooperative della logistica va avanti in tutto il nord Italia da parecchio tempo. A Bologna la collaborazione di Si. Cobas e militanti del Laboratorio Crash ha determinato una situazione di lotta permanente in cui i lavoratori decidono vertenze modalità di lotta.

Ikea ha dovuto cambiare le condizioni a cui faceva lavorare i ragazzi nei magazzini (una vittoria su tutta la linea per i lavoratori), mentre per i magazzini Granarolo la cooperativa SGB probabilmente ha finito di licenziare. È stata la casearia a non volersi più giovare dei suoi servigi…
Photinia l'albero della libertà

Già il 22 Marzo uno sciopero molto partecipato (Sda, Tnt, Gls, Dhl, Ikea, Bartolini, ecc) con picchetti davanti ai magazzini aveva bloccato buona parte del movimento merci emiliano per ventiquattro ore, mentre il 15 Maggio una manifestazione fatta in concerto con le proteste di tante altre città europee contro l’austerity (per maggiori informazioni hastag Twitter #15M) ha bloccato l’Interporto di Bologna causando danni ingenti alle aziende che sfruttano i facchini.

Dal megafono di un lavoratore il 1° Giugno si sentiva un accorato “Lotta dura senza paura” e le voci che rispondevano al coro erano tantissime. Quindi un corteo riuscito, quello dell’1 Giugno, a Bologna: primo in cui quasi duemila persone che hanno sfilato per le vie del centro accoglievano le lotte della logistica come proprie al grido di “Siamo tutti facchini”.

A gran voce governo, padronato e istituzioni europee richiedono sacrifici a lavoratori e studenti. A Bologna qualcosa si muove per rispedire al mittente queste richieste che preesistono alla crisi e hanno sempre danneggiato le stesse categorie. Non quelle che hanno creato la crisi.

Per meglio capire la situazione delle lotte bolognesi riportiamo di seguito una breve intervista a Niccolò del CUA:

Voi provenite dai movimenti antagonisti, non appartenete a nessun partito politico né universitario, dal vostro punto di vista, come avete visto cambiare piazza Verdi negli ultimi anni?

Innanzitutto crediamo che il nostro punto di vista sulle trasformazioni della piazza non derivi tanto dal nostro orientamento politico, quanto dal nostro essere quotidianamente presenti da anni in quel luogo. A differenza dei tanti soggetti che costantemente prendono parola e propongono “soluzioni” per piazza Verdi, senza tuttavia averci mai messo piede, il nostro sguardo sulla piazza è  interno ad essa. In qualche modo possiamo dire di essere uno dei soggetti che quel luogo, o più in generale la zona universitaria di Bologna, lo vive e ne è parte. Ciò detto, piazza Verdi negli ultimi anni è stata incrocio di molteplici tendenze e processi, spesso fra loro confliggenti: emblema delle retoriche securitarie (con il corollario di una presenza costante delle forze dell’ordine); luogo di vicendevoli accordi e attriti fra differenti istituzioni locali (in particolare comune e università) che l’hanno usata come simbolo per comunicare le loro politiche e i loro piani strategici; terreno di un (fallimentare) laboratorio di urbanistica partecipata promosso da differenti enti; spazio di gentrificazione. Ma piazza Verdi è anche stata punto di partenza e di arrivo per le tante mobilitazioni universitarie; momento di socialità e di incontro studentesco; immagine simbolica e concreta di una modalità differente di immaginazione e vita della zona universitaria; contenitore di comportamenti, saperi e cultura espressivi di una autonomia sociale rispetto ai modelli ed ai tempi imposti dall’università e dalle politiche urbane. Piazza Verdi è dunque stata un terreno di contesa fra differenti visioni del vivere collettivo che ha costantemente riproposto una dualità potenziale governance e soggetti sociali. Dualità compiutamente manifestatasi, pur in maniera ancora sicuramente parziale, con i fatti delle ultime settimane. Infine a livello di composizione sociale piazza Verdi è sicuramente un punto di vista privilegiato per osservare le trasformazioni della composizione universitaria, ossia di un soggetto sociale in profondo mutamento dentro il quadro della dismissione strategica dell’università che ha caratterizzato gli ultimi anni. Ma non solo studenti: mentre da un lato sono state aperte sempre più attività commerciali private per innalzare i costi di fruizione della zona, dall’altro la piazza è stata sempre più vissuta da componenti migranti e da soggetti socialmente emarginati che lì hanno trovato un terreno di ritrovo. Questi fattori chiaramente si dispongono in forma spesso ambigua, contraddittoria, a tratti estremamente problematica, ma d’altro conta indicano una potenzialità di un luogo di incontro ed ibridazione dal basso fra le molteplici figure che l’austerità sempre più attacca ed impoverisce.

Leggendo i fatti e i commenti a caldo rilasciati dalle varie figure istituzionali in questi giorni  si evince – oltre a una buona dose di confusione – che esistono delle motivazioni ufficiali per il caparbio diniego della facoltà di parola amplificata e delle motivazioni ufficiose. Potete spiegare a chi non è di Bologna esattamente come la pensate sulle cause, le implicazioni e i retroscena di quel che è successo?

Quello che è successo in questi giorni crediamo sia l’ennesima riprova di come nei palazzi della politica manchi totalmente ed in maniera probabilmente irreversibile la capacità di misurarsi con quanto accade nei territori. Nel ritiro del pubblico dai territori (che spesso lascia il posto ad una effimera illusione sul fatto che il privato possa in qualche modo supplire a ciò) l’unico presidio che viene lasciato dalle istituzioni sui territori è quello della polizia. Questo è un primo livello. Il secondo è che, proprio per il valore simbolico che ha piazza Verdi, in questi mesi essa era diventata il terreno di mediazione fra differenti componenti: comitati di quartiere espressione della destra cittadina che usano la piazza per promuovere la loro visione di desertificazione sociale; istituzioni incapaci di promuovere iniziative; università invischiata in dinamiche baronali; interessi della questura ecc. Una mediazione al ribasso che di fatto aveva decretato che piazza Verdi dovesse rimanere uno spazio vuoto. E su questo sostanzialmente si è giocata la battaglia: l’intolleranza per un’assemblea pubblica fatta in strada con le lavoratrici della Sodexo di Pisa organizzata dal Cua, che ha condotto al tentativo della polizia di bloccarla trovandosi però di fronte una barricata su via Zamboni, è stata l’indicatore di come una componente sociale non fosse disponibile ad accettare supinamente la desertificazione. In quel caso il pretesto, come accenni nella domanda, è stato il fatto che l’assemblea si stesse svolgendo con un’amplificazione. Tuttavia quando pochi giorni dopo, il 27 Maggio, abbiamo convocato un’assemblea pubblica in piazza Verdi, l’amplificazione non c’era eppure la polizia ha sbarrato ugualmente l’accesso alla piazza. Qui si è manifestato il carattere tutto politico di questa gestione della piazza. E su questo, contro questo, si è manifestata e aggregata la rabbia che ha permesso di far scappare a gambe levate la polizia nonostante cinque cariche. Una debacle tutta politica per le istituzioni, che infatti nei giorni successivi si sono viste costrette a rimangiarsi roboanti dichiarazioni pubbliche, a ritirare ordinanze, a non far più presentare la polizia in piazza per qualche giorno, a rivedere i loro progetti.. E’ insomma stato conquistato a spinta uno spazio di libertà che ha consentito che la piazza abbia vissuto in maniera differente, con tante iniziative culturali (come ad esempio un reading di Stefano Benni), politiche (un grosso corteo chiamato “I diritti si conquistano a spinta”, terminato con un albero piantato in piazza, e molti dibattiti) e sociali (pranzi autogestiti in piazza ad esempio). Chiaramente una libertà conquistata non in maniera definitiva. Negli ultimi giorni abbiamo visto come si stiano riorganizzando le istituzioni, provando a definire una modalità di governance più soft, portata avanti non più manu militari ma per esempio con la presenza di associazioni istituzionali mai viste prima che presenziano in piazza.

Quello che è stato detto e fatto nei giorni scorsi è un chiaro tentativo di far lavorare in sinergia alcune componenti della città: lavoratrici e lavoratori in lotta, studenti dei collettivi antagonisti, personalità della cultura e dello spettacolo, militanti di tutti i collettivi e gli spazi bolognesi. A che punto siamo in questo lavoro di ricomposizione delle lotte sociali in esplicito riferimento a quello che è successo e sta succedendo nell’ambito della logistica?

Da questo punto di vista crediamo sia possibile fare due considerazioni. La prima è sulle piazze urbane come luoghi che sempre più nel contesto della crisi diventano luoghi centrali nei processi di difesa e riappropriazione dei parti della società rispetto all’impoverimento. L’altra riflessione è sul cosa voglia dire oggi composizione delle lotte. Partiamo dalla prima. Il 27 Maggio, mentre in piazza Verdi viene cacciata la polizia, a Istanbul inizia la resistenza a Gezi Park contro la distruzione di quel luogo urbano che nei giorni successivi e ancora oggi si è amplificata fino a configurare un grande movimento di opposizione sociale al governo Erdogan. Chiaramente non sono due esempi linearmente paragonabili. Ma se a questi aggiungiamo che negli ultimi due anni tantissimi movimenti a livello globale hanno visto nelle piazze i luoghi di concentrazione e diffusione della lotta (si pensi alla Casbah di Tunisi; a piazza Tahrir al Cairo; alle acampads spagnole; alla piazza davanti a Wall Street del movimento Occupy statunitense), si pone immediatamente, come questione ancora tutta aperta, l’evidenza che dentro la crisi gli spazi urbani, il territorio, è un elemento centrale per lo sviluppo dei movimenti. A differenza ad esempio del ciclo cosiddetto No Global o del successivo movimento No War, che si muovevano su spazi nazionali o internazionali senza tuttavia declinarsi immediatamente nell’intervento locale, gli ultimi anni riportano una centralità del territorio locale come luogo del conflitto congiunto ad una emergente visione transnazionale delle lotte. La seconda considerazione riguarda, come dicevamo prima, il problema e la sfida della composizione delle lotte. Un problema che spesso si è posto per i movimenti degli ultimi anni e che tuttavia raramente ha trovato in Italia formulazioni adeguate. Su questo siamo convinti non esistano ricette precostituite o universalmente valide, ma solo una pratica costante che punti in questa direzione. E questa pratica non può a nostro avviso rivolgersi ad una formula di alleanze fra gruppi o organizzazioni politiche: abbiamo visto come questa visione meccanica sia improduttiva. Crediamo che la composizione possa darsi solo nelle lotte reali e partendo dalla disponibilità a mettersi in gioco delle soggettività, che non partano da una circoscritta parzialità per affiancarla ad altre, ma che si mettano in gioco nei processi ibridandosi. Da questo punto di vista giustamente citavi le lotte nella logistica: questo ritorno potente di una pratica di sciopero incisiva che mancava da molto tempo e che ha portato, per quanto in maniera sicuramente ancora embrionale ed insufficiente, anche tanti studenti e precari davanti ai cancelli delle ditte a fare blocchi e picchetti. Una ricchezza di esperienza che ha visto nel corteo che ha attraversato Bologna il primo Giugno un passaggio significativo: attorno alla convocazione della piazza promossa dal centro sociale Laboratorio Crash e dal sindacato Si Cobas si è coagulata una soggettività viva, ricca e determinata che ha costruito una dimensione di lotta sicuramente innovativa. D’altra parte il riverbero di questo si è visto nel corteo convocato dal Cua dopo gli episodi di piazza Verdi: un corteo a composizione studentesca che tuttavia ha visto anche la partecipazione di molti facchini in lotta. Per concludere: crediamo che per i movimenti il tema dei territori e della composizione delle lotte siano elementi strategici e sui quali investire sempre più. Nel nostro piccolo crediamo che queste settimane di lotta ci impongano di approfondire la riflessione in questa direzione, ma al contempo ci hanno permesso di costruire una serie di saperi che sicuramente torneranno utilissimi per tante altre battaglie all’orizzonte.

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