di Giorgio Cremaschi

Quando ho cominciato a fare il sindacalista negli anni 70 del secolo scorso, dopo ogni accordo sindacale la prima cosa che chiedevano i lavoratori in assemblea era: ma il padrone lo applicherà?

Allora in genere si facevano accordi che miglioravano la condizione delle persone, e la prima preoccupazione era quella di non dover fare troppi scioperi anche per ottenere l’applicazione della intesa appena conquistata.

Oggi la piena ” esigibilità” degli accordi viene vantata dal presidente della Confindustria come il maggior pregio dell’accordo sulla rappresentanza appena sottoscritto con CGIL CISL UIL . La ragione di questa inversione di ruoli è molto semplice, gli accordi che si fanno e si faranno servono a peggiorare il salario e le condizioni di lavoro e quindi è alle persone sottoposte ad essi che bisogna imporre l’ubbidienza. Questo significa la piena applicazione dell’accordo del 28 giugno 2011, con il suo via libera al regime delle deroghe ai contratti nazionali.

L’accordo serve a superare ciò che ancora resta della divisione tra lavoratori garantiti e non, naturalmente estendendo a tutti la condizione peggiore. Del resto la flessibilità dei salari e degli orari è ciò che ci chiede la Commissione Europea per proseguire la politica di rigore.

L’accordo è la istituzionalizzazione della austerità nei luoghi di lavoro.

In pratica l’accordo istituisce il maggioritario sindacale con soglia di sbarramento.

Attenzione, lo sbarramento vero non è quel confuso 5% di rappresentatività che dovrebbe dare accesso al tavolo dei contratti, quello è un trucco per gonzi e giornalisti economici, perché la selezione avviene prima. Infatti fruiscono del diritto alla rappresentanza solo le organizzazioni che sottoscrivono l’accordo impegnandosi al rispetto di tutte le sue parti.

Per capirci è come se la nuova legge elettorale stabilisse che possono candidarsi al Parlamento solo le forze politiche che sottoscrivono la politica di austerità, il fiscal compact e quanto altro serva. In fondo la proposta Finocchiaro ci è andata vicino…

Escluso così preventivamente tutto il mondo sindacale che non si riconosce in CGIL, CISL UIL e ancor di più esclusa ogni nuova rappresentanza del mondo del lavoro, affermato il principio  che chi siede al tavolo oggi occupa tutti i posti presenti e futuri, il maggioritario serve a disciplinare ciò che resta di diversità conflittuale, per capirci la FIOM e quelle RSU che ancora organizzano scioperi.

Il maggioritario sindacale stabilisce che una volta scremata preventivamente tra buoni e  cattivi la presenza al tavolo, tra i rimasti la maggioranza decide e la minoranza si adegua.

Bisogna dare atto al senatore Pietro Ichino di essere stato il primo a proporre un sistema di questo genere.

Tra i sindacati firmatari, accedono al tavolo quelli che rappresentano più del 5% tra iscritti e voti per la elezioni delle Rappresentanze Sindacali Unitarie. Dove i lavoratori non votano per eleggere chi li rappresenta, ma il sindacato nomina propri fiduciari con le RSA, si continuerà a non votare e conterà per la misura della rappresentanza solo il numero degli iscritti.

Fatti tutti questi conteggi, i sindacati che assieme raggiungono il 50% più uno della rappresentanza decidono.

Sulla piattaforma decidono le organizzazioni senza consultazione dei lavoratori e le aziende trattano solo con la maggioranza,  la minoranza sta al tavolo e guarda.

Sugli accordi decide la stessa maggioranza e  consulta i lavoratori, in modalità certificate da definire. Cioè non necessariamente con il referendum, ma  anche con il voto palese registrato in assemblea. Sotto questo aspetto l’accordo è più arretrato del modello Marchionne, che è stato instaurato con il referendum.

Una volta deciso si esegue, anche se l’accordo non ti piace.

C’è stata la consueta ipocrisia da parte dei dirigenti sindacali in questi giorni. Noi non accetteremo le sanzioni contro gli scioperi, hanno proclamato. Ma l’intesa confederale ovviamente non ha questo compito, essa definisce un accordo quadro che verrà formalizzato nei contratti e negli accordi aziendali, questi ultimi con le nuove rappresentanze aziendali, appositamente selezionate nelle nuove elezioni e nomine previste nei prossimi sei mesi.

Il testo in ogni caso non si presta ad equivoci. I firmatari si impegnano a definire nei contratti “clausole di raffreddamento”, cioè inibizione  dello sciopero e  delle azioni legali.  E non esiste clausola di raffreddamento che non preveda sanzioni per chi non la rispetta.

Per capirci, se questa intesa fosse stata operativa quando la Fiat impose l’accordo capestro a Pomigliano, la FIOM avrebbe dovuto accettare l’intesa e in cambio sarebbe rimasta al tavolo e avrebbe continuato a godere dei diritti sindacali. Ora la CGIL firma quell’accordo e lo estende a tutto il mondo del lavoro anche per conto della FIOM.

Questo accordo pretende di cancellare dai luoghi di lavoro la stessa idea del conflitto sociale, vuole prevenire le lotte e le rivolte che si preparano. Se esso fosse stato siglato negli anni ’50 non avremmo oggi lo Statuto dei lavoratori e quanto ancora resta dei diritti del lavoro e dello stato sociale. Esso definisce il regime della complicità sindacale, secondo la definizione del libro bianco dell’allora ministro Sacconi, ed è il primo atto di una più vasta controriforma della Costituzione repubblicana, sulla quale si stanno accingendo i partiti di governo che esultano ed i poteri economici che festeggiano ancora di più.

Per la CGIL è una resa rispetto ai propri  principi fondativi.

Cosa allora  farà Landini, cancellerà per il classico piatto di lenticchie tutto quello che ha significato in Italia il suo no alla Fiat, oppure manifesterà e organizzerà il dissenso a questa intesa liberticida?

Speriamo, in ogni caso la lotta alle larghe intese politiche e sindacali avrà un nuovo avvio proprio dalla lotta a questo accordo. Qui bisogna subito costruire l’unità dei tanti che non ci stanno. La ripresa sociale e politica, l’alternativa alle politiche di austerità passa oggi anche dal rigetto del patto sulla rappresentanza.