di Simone Sarasso

SarDop01.jpgCapita di rado che faccia più di una settimana di vacanza. Capita di rado, soprattutto, che abbia del tempo da dedicare a ciò che VOGLIO leggere, invece che a ciò che DEBBO leggere per lavoro. Be’, che ci crediate o meno, lo scorso agosto è successo. E mentre mi rosolavo al sole in riva al Delta e mio figlio annusava il suo primo mare (e masticava la sua prima sabbia, scoprendo anche il trucco per riempirsene ben bene il pannolino), ho letto due libri potentissimi. Non sapendo davvero quale scegliere, ho deciso di recensirli tutti e due: BUM! BUM!
E via che si va…

Gianni Biondillo, I materiali del killer, Guanda 2011, 359 pp., 18,00 €
Michele Ferraro, lo sbirro di Quarto Oggiaro, è tornato.
È stato via parecchio, Mic. Un po’ perché la Capitale se l’era acchiappato e l’aveva fatto invaghire (ma non è funzionata: Ferraro è più tipo da tangenziali che da Grande Raccordo Anulare, se capite cosa intendo) e un po’ perché il suo autore, l’architetto Gianni Biondillo, aveva altre storie da raccontare. Storie di cemento, pannolini, ragazze, divorzi e chilometri a piedi. Sono trascorsi quattro anni dall’ultima avventura di Michele. Ma siccome si trattava d’un prequel (Il giovane sbirro raccontava com’è che Ferraro è finito in polizia), a conti fatti è dal 2005 (anno d’uscita di Con la morte nel cuore, secondo romanzo del ciclo quartoggiarese. Il primo è Per cosa si uccide) che non si sa più nulla di lui.


Che fine ha fatto? Come se la passa? Né bene né male, a dire il vero. È invecchiato, ha smesso di giocare all’eterno ragazzino. Ferraro non è benedetto dall’immota giovinezza dei personaggi dei comics o dei protagonisti delle serie gialle di successo (Maigret invecchia un anno ogni dieci libri, ben che vada…): ogni lustro che passa per noi, passa pure per lui. E dunque ce lo ritroviamo con una figlia ormai signorina (anche se ai suoi occhi un po’ ottusi non smetterà MAI di essere la sua bambina), un’altra storia chiusa alle spalle (non ha funzionato con Francesca, ma questo lo sanno tutti: i due son separati dall’inizio della saga. Ma non è andata neppure con Elena Rinaldi, commissario dello SCO, con la quale aveva provato a reinventarsi una vita romana) e una nuova casa meneghina (in Via Padova, lontana da Quarto Oggiaro).
Quello che non cambia mai è il suo mestiere. Lavoraccio che lo porta a impantanarsi in indagini più grandi di lui, che in una maniera o nell’altra finiscono per lasciargli l’amaro in bocca. Se in genere però è difficile che Michele varchi i confini cittadini, questa volta gli toccherà correre per mezza Italia alla ricerca d’un evaso dal presente fosco e dal passato oscuro, che si lascia alle spalle una scia di sangue e misteri. È una storia complessa e grandiosa quella de I materiali del killer, che parla d’Africa e Sud del Mondo senza retorica né moralismo, racconta che diventar grandi è un casino e invecchiare è pure peggio, ma prima o poi coi capelli bianchi tocca farci i conti. Tutti quanti.
La voce di Biondillo è al solito multiforme e raffinatissima, la sua penna impazzita zompetta dalle battute da scuola media ai flussi di coscienza, passando per dialoghi serratissimi, poesie d’avanguardia, memoriali, aulicismi e trivialità. Un’autentica bomba atomica.
Riguardo alla trama, trattandosi d’un giallo, non posso dir di più senza bruciarvi la sorpresa. Ma vi consiglio di fidarvi e lasciar fare a Michele (e Gianni): ve la spasserete di sicuro.

SarDop02.jpgDavid Hajdu, Maledetti fumetti!, Tunué 2010, 464 pp., 28,00 €
C’era una volta l’America. E c’erano una volta i fumetti. Ma allora non erano come ci si aspetta che debbano essere, albetti spillati da 22 pagine; quelli son venuti dopo. Prima c’erano le strisce, e le strisce finivano sui quotidiani, con la presunzione di far sorridere e riflettere gli avvizziti lettori della Grande Depressione. Lungo quelle strisce scorrazzavano allegri bambini vestiti di giallo, in compagnia di sudici immigrati dei bassifondi che si prendevano — a suon di marachelle terribili — la propria rivincita sociale sul mondo di sbirri e borghesi che li aveva condannati a crescere in quel ghetto fatiscente (leggi: Brooklyn, Queens, Bronx) alla fine dei ruggenti Anni Venti. Un giorno un tizio si mise in testa che quelle strisce e quei monelli di carta e inchiostro meritavano di più. Niente più sgabuzzini orizzontali incastrati tra gli annunci mortuari e le pessime notizie economiche, ma una casa come si deve. Un lussuoso (si fa per dire, la carta di cui era fatto era molto peggio di quella dei quotidiani) “giornaletto” spillato, stampato a (quattro) colori sgargianti per un prezzo ridicolo. Un vero e proprio sogno da 10 centesimi.
Fu così che nacquero i fumetti.
Fu così che, per molto tempo, divennero l’unico vero bene che un ragazzino potesse permettersi.
Fu così che le storie si moltiplicarono ed esplosero.
Letteralmente.
Sembra impossibile da immaginare oggi, con le edicole e gli online store invasi da decine e decine di albi zeppi di bizzarri e potentissimi eroi in calzamaglia, ma all’epoca (almeno fino al 1934, per intenderci), le storie a fumetti parlavano d’altro. Raccontavano di avventurieri, eroi biblici (giuro!), banditi, cowboy, indiani morti (male), viaggiatori spaziali (senza razzi, però, quelli spunteranno dopo), signori seminudi di terre aliene. Solo alcuni anni più tardi arrivò il Figlio di Krypton con il suo mantellino, la superforza, la vista che scioglie.
E tutto cambiò un’altra volta.
Questa volta per sempre.
Ma i vecchi eroi eran duri a morire. Mentre l’industria supereroistica passò tutta la Guerra e il primo dopoguerra a sfornare cloni in spandex di Kal-El, altrove (in casa EC Comics, soprattutto) qualcuno rifiutò di piegarsi alle leggi del mercato e inventò un genere: il fumetto dell’orrore. Furono anni di grazia, in cui per dieci pidocchiosi centesimi era concesso gettare uno sguardo altro sul mondo. Mentre il senatore McCarthy faceva di tutto per purgare l’America e lucidare i suoi salotti vendendo alla nazione e al mondo intero una moralità di plastica, alcuni eroici scrittori, in compagnia di disegnatori fuori di testa, ebbero il pelo sullo stomaco di raccontare quello che succedeva dietro le tendine in pizzo rosa, oltre gli steccati bianchi da periferia perbene, negli scantinati di quella “buona borghesia” che era l’orgoglio sfavillante di mamma America. Storie truci e assordanti di morti ammazzati, di mogli che fanno a pezzi i mariti e li danno in pasto al cane del vicino, di orribili mostri della palude che fagocitano repubblicani moralizzatori e di spettri pelle e ossa che tendono la manina ossuta e strizzano l’occhio, promettendovi un pomeriggio di autentico terrore nella Cripta dello Zio.
Per quale motivo?
Just for fun, che diavolo! Perché in un mondo governato dai rompicoglioni è oltremodo sano e giusto svagarsi a colpi di mannaia e sangue rosso. Soprattutto se il sangue rimane su carta invece d’essere versato in strada o magari nella giungla, combattendo guerre ingiuste in cui si crepa per volontà d’un governo che nemmeno s’è votato.
Ma nell’America dei Cinquanta i rompicoglioni mandavano avanti la baracca. E non potevano tollerare che i ragazzini si divertissero senza il loro permesso.
Fu così che partì, con il patetico saggio Seduction of the Innocent del professor Fredric Wertham, una vera e propria caccia alle streghe volta a epurare il più democratico dei Paesi di Dio dal germe ignominioso del fumetto.
Fu così che, a soli dieci anni dalla vittoria sul nazifascimo e dall’estinzione dei roghi di libri di Berlino, nella terra della libertà si accesero pire enormi. Ad alimentare la fiamma del proibizionismo sebaceo, unticcio e grigiastro di Wertham e soci, milioni di sgargianti albetti in quadricromia prodotti da orgogliosi figli di mamma America e arsi impunemente dai loro fratelli moralisti.
David Hajdu, saggista dalla prosa potente, narratore nato, racconta questa brutta storia e spalanca la porta sulle contraddizioni degli Stati Uniti sotto l’ombra densa del maccartismo. Un reportage giornalistico straordinariamente documentato, che farà impazzire i patiti del genere (Maledetti fumetti! è la miglior storia del comic non supereroistico che ci sia in circolazione) e che conquisterà (e scandalizzerà) pure i neofiti. Da avere assolutamente.

Simone Sarasso è autore di romanzi e fumetti e scrive per il cinema e la TV. Abbiamo parlato di lui qui, qui e qui.