di Marilù Oliva

vecchia.2.gifCome introduzione vorrei prendere a prestito le righe finali di pag. 9 dell’interessante saggio di Loredana Lipperini Non è un paese per vecchie”, (Feltrinelli, 2011), notevole excursus socio-culturale sul tema della vecchiaia nella cultura e nella società odierne italiane. Il libro tratta la questione della vecchiaia sotto più ampio e complesso raggio che non la semplice spettacolarizzazione pagliaccesca e caricaturale scelta dalla sottoscritta, ma io riporto, a seguire, le righe che più trovano riscontro nel mio racconto:
«I vecchi non esistono: appaiono di rado in televisione, specie se di sesso femminile. O meglio, si vedono a volte quelle rare e preziose donne impossibili da ignorare, come Rita Levi Montalcini o Margherita Hack. Quanto alle altre, a volte si mimetizzano fra ospiti e comparse sotto i cinquantacinque anni (la soglia invalicabile di apparizione televisiva per le donne) fingendo di esserne coetanee, o accettando di recitare l’antico ruolo della megera. Oppure ancora, si piegano alla risata triste che si tributa ai clown, come nelle trasmissioni di Maria De Filippi».


Uomini e Nonne

racconto inventato e tragicomico ispirato a una televisione reale e poco seria

C’è una donna in una gabbia.
Al centro del palco.
Si chiama Ombretta, indossa un vestitino dorato.
Nel viso e nelle intenzioni, la convinzione di una lap-dancer.
Stessa promessa di seduzione negli occhi, stesso abbigliamento discinto.
Intorno musica tecno assordante, il pubblico palpita e sogghigna.
Ombretta non sa ballare, lei conosce solo qualche passo di mazurka. Il risultato è che si dimena sbattendo la testa da una parte all’altra, molleggiandosi sulle ginocchia, mani ben salde alle sbarre.
Il cameraman fa un primo piano sulle gambe scosciate e inquadra una ragnatela blu-violacea: diramazioni capillari. Poi si sposta sulla scollatura e ritrae le grinze del seno schiacciato.
Ombretta ha sessantaquattro anni ben portati, così almeno garantisce la Conduttrice. Anzi, sessantaquattvo anni ben povtati, la Conduttrice vanta una r un po’ moscia.

Abitino corto e scarpe ortopediche con la zeppa, la donna in gabbia è una corteggiatrice giunta per Peppino, il tronista più gettonato tra quelli over 60 del programma Uomini e Nonne, il quale osserva e sorride sornione, grattandosi il petto villoso, peli bianchi che fanno capolino sulla camicia aperta. Sui radi capelli la tinta castana butta sull’arancione, all’attaccatura delle basette un accenno di ricrescita.
Peppino è soddisfatto del bottino. Ha a disposizione un ventaglio di sedici pretendenti, tutte coetanee o poco più giovani, procaci e pronte a fare colpo con le più disparate esibizioni o prove d’amore.
Una lo ha coinvolto in un’esterna in yatch, sotto le stelle di Palma di Maiorca e si è immersa a dicembre nel mare notturno.
Una si è buttata in bungee jumping e ci ha rimesso le cornee.
Una ha domato un leone.
Una, venuta a conoscenza della sua predilezione per le tette grosse, si è sottoposta a una mastoplastica additiva rimpinguandosi il seno di tre taglie e alleggerendosi il conto in banca di 10.000 euro.
Una si è cambiata nome.
Una si è tagliata le vene perché lui l’aveva cacciata dalla sua corte, ottenendo così la riammissione in via eccezionale.
Una ha seguito quest’esempio ma non è stata riammessa perché non è stata salvata in tempo ed è morta dissanguata.
Certo tutto si può dire, ma non che Peppino non piaccia al gentil sesso.

Io sono una new entry, proprio come Ombretta.
Ma per me niente gabbia.
Il mio numero è previsto dopo di lei, la Conduttrice ha proposto un ingresso sobrio con sorpresa finale. Entrerò con abiti semplici, mi presenterò, giusto due paroline, poi sparirò dietro le quinte per ricomparire, in piume di struzzo e truccatissima, altalenando su un trapezio.
No, non l’ho mai fatto, ho reclamato alla Conduttrice quando lei me l’ha proposto.
Non pveoccupavti, tu tieniti stvetta e non cadvai, ha risposto.

Ombretta si sforza di ancheggiare ma soffre per via della sciatica. Quando la musica si ferma, la vecchia ballerina si placa, apre la porta della gabbia e fa per uscire. Ma calcola male il gradino, non ha dimestichezza con quelle zeppe e inciampa cadendo come un sacco di patate.
Il pubblico si sbraga di risate. Ridono le befane in prima fila, godono sguaiatamente, lacrime agli occhi, pancia che sobbalza, sono le stesse che all’occorrenza sbraitano con la lingua biforcuta e giudicano con serietà da giudice le profferte delle spasimanti. Ride Ponza Ponzi, la beniamina della Conduttrice, stipata nel suo vestitino rosa confetto, ricci biondi da angelo decrepito, è un salsicciotto con la bocca aperta, i denti esposti, il petto che va su e giù e le manca il respiro. Ride così forte che le scappa perfino un roboante peto.

Ombretta è bloccata a terra, deve essersi rotta qualcosa ma nessuno riesce a intervenire perché tutti son presi dall’incontinenza della propria ilarità. La Conduttrice è sdraiata sulle scale, ha deturpato l’aplomb in una smorfia grottesca, gli occhi ridotte a fessure nere cinesi, la bocca spacca in due la faccia.
Capisco che questo è il momento di agire.
Il mio momento.
Lo so che la vegliarda in gabbia c’è finita di sua volontà.
E che magari si è anche divertita, si è sentita appagata e attraente, il bacio dei riflettori puntati le avrà concesso un’energia inedita.
Lo so che seguiranno a catena altre caricature e altre donne attempate verranno messe sotto vetro o appese a uno stupido trapezio e la pantomima di questi patetici fasulli corteggiamenti riprenderà col beneplacito di un pubblico ritardato e accondiscendente.
Lo so che non cambierò il mondo e il mio gesto è dovuto più alla noia di vedere sempre queste cagate in televisione, che a veri impeti di ribellione.
Lo so.
Ma non me ne frega un cazzo.
Del resto non posso tirarmi indietro sul più bello, sono venuta qui per questo.

Entro mentre i presenti si stanno ricomponendo.
Mi avvio verso la Conduttrice, ancora seduta sulle scale che dividono il copioso pubblico.
Mi dirigo con decisione, lei vorrebbe dirmi che no, non ha stabilito questo il copione: devo andare al centro del palco, davanti a Peppino, non verso di lei. Ma non fa in tempo perché io sono a due passi dal suo naso e lei ancora non capisce.
Quando la cingo con le braccia lei forse pensa che sia una dimostrazione d’affetto, uguale a una delle tante che riceve tutti i giorni dai fan. Ecco perché si lascia abbracciare. Non può certo immaginare che sotto la camicetta fiorita io nasconda l’ordigno esplosivo.
La stringo forte, riuscendo a premere il pulsante.
E nell’istante brevissimo che rimane prima che arrivi lo scoppio, ho perfino il tempo di pensarci.
Che non so se sia valsa la pena di vivere,
proprio non lo so.
Ma senza dubbio è valsa la pena di morire.