di Alessandra Daniele

giornale.jpgLegge ad alta voce – ”Ribadire spesso che la produttività è in marcia, e la criminalità è in ginocchio. Mai il contrario. Dare estremo risalto alle vittorie sportive, e alla partecipazione delle dive al Festival del Cinema”. E in culo alle altre notizie – commenta.
– Quali altre notizie? – Ridacchia il collega.
– Quelle che non diamo per il bene del paese. Così la gente che fa la fame, se noi non glielo diciamo, non se accorge.
– Macché fame! S’arrangiano.
– Come noi?
Il collega alza gli occhi al cielo – Che fai, ricominci?
– Noi giornalisti siamo responsabili…
– Non siamo responsabili di un cazzo! – Lo zittisce il collega. Poi si gira, va a chiudere la porta.
– Hai paura che ci ascoltino?
– Dicevi bene prima, la gente se ne accorge da sola quando ce l’ha in culo. Noi non contiamo un cazzo, non facciamo nessuna differenza.
– Nemmeno quando parliamo delle troie in passerella, invece che dei morti ammazzati?
Il collega sbuffa – Ma se io dò una notizia su un morto ammazzato, mica lo salvo! Quello morto è, e morto rimane.
– Ma forse salvi il prossimo.
– Ah sì, figuriamoci, e che sono io, la madonna di Fatima? Tu ci sopravvaluti. Siamo solo banali passacarte. Le notizie che non diamo? La gente non le vuole davvero, e se le sentisse, non ci crederebbe. La gente vuole sempre lui – indica il soffitto col pollice – crede sempre a lui.
– Se noi non contiamo un cazzo, allora perché ci arrivano queste direttive così precise?
Il collega lo guarda torvo – Lo sai benissimo.
– E tu lo sai? Perché esiste il Ministero della Cultura Popolare, col nuovo ministro, gerarca Pavolini? S’è insediato meno d’un anno fa, ottobre ’39, e le sue direttive sono ancora più precise.
Il collega dà una rapida occhiata alla porta. Poi punta il dito contro l’altro.
– Ho capito! Tu mi vuoi fottere. Mi vuoi far dire qualcosa, e poi denunciarmi come antifascista! Mi vuoi fottere il posto all’EIAR, ma non ci riesci, perché ti denuncio prima io!
L’altro scuote la testa. Poi apre la porta.
– Te ne vai? Tanto lo so dove abiti! Che pensi di fare, scappare?
L’altro s’infila il cappotto – No – risponde. Poi esce.

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