di Renzo Frosini e Danilo Arona

Caro Danilo,
viareggio2.jpgsto leggendo adesso “Ritorno a Bassavilla” e, come un rimosso infantile, mi accorgo ora di avere un vissuto dello spirito che ha profondamente marchiato la mia percezione del mondo.
Ti ho già scritto qualche riga sull’allucinazione di luce delle nostre pinete, e l’ho fatto prima di leggere la tua intrigante narrazione di storie vere (vero?). Coincidenze? Chi lo sa? In ogni caso te le ripropongo. Sai, quel panorama che godo dal mio ufficio: mare, aria già luminosa, l’occhio che si perde fino al promontorio di Portovenere. Inevitabile il raffronto con le atmosfere inquietanti delle nebbie di Bassavilla (in qualche modo le ho ritrovate leggendo i romanzi di Fenoglio, che pure niente dovrebbero azzeccarci). Viareggio è una città di luce, ma abbiamo un angolo, dove P.B. Shelley fu cremato, il cuore intatto… chissà…

… E una pineta nella quale il profumo resinoso dei pini e dei ginepri, il canto ipnotico delle cicale deforma anche la luce ti ipnotizza (se non ci fossero i turisti che dai campeggi, strinati come gamberi, con le infradito o su delle “Graziella” scassate sciamano dai campeggi, e la solita umanità dolente fatta di piccoli spacciatori, ladri di polli, lavavetri, nascosta fra i rovi, al riparo di baracche improvvisate).
Leggere di nuovo di Bassavilla, sommarne le ombre a quelle di “Black Magic Woman”, di Montebuio, di “Finis Terrae” (genius loci: doppiare il capo, quando navigavo, e leggerne il nome sulla carta mi suscitava un brivido: fine della terra, della ragione, inizia il viaggio in mari d’incubo, deve le onde sono mostri di dieci metri… le ONDE…), di “Palo Mayombe”, e poi gli incubi del Nerozzi, le colline di follia toscana di Carabba ha aperto uno spiraglio su un mondo che ho lasciato da adolescente.
Ed ecco mi viene in mente il caso del povero Ermanno Lavorini, il corpicino abbandonato sotto un velo di sabbia battuto dal maestrale. L’impressione che mi suscitò – avevo sette anni -, il racconto che mi fecero del sensitivo belga Gerard Croiset che fu interpellato per ritrovare Ermanno. Confuso dal suo vissuto Croiset vide il bambino annegato nel Padule che si stende tra Torre del Lago e le colline. Atroce: il mio incubo notturno che ne conseguiva, la mano che compariva di colpo da un sudario di acque torbide.
I miei possedevano un casetta sulle colline, qualche giorno di vacanza via dal mare, le lucciole, una grande luna gialla (rossa?), il sussurro di brezze notturne , rumori misteriosi in mezzo agli olivi che risplendevano di luce d’argento, una fila di cipressi come suore nel lucore – mi hanno sempre affascinato certe piante, testimoni muti dei riti di vita e morte – e storie raccontate un po’ per scherzo e un po’ credendoci: misteri fatti di fuochi fatui, di chiome incanutite di colpo, di impiccati e case giù nel bosco di castagni, dalle finestre come occhiaie vuote di teschi. Ti giuro che facevano paura anche alla luce del giorno. E non mi sono mancate le “toscanate” in cimiteri da leggenda, chiese sconsacrate e abbazie di anime morte (Uh! Retaggio di Altieri?) ad alimentare le mie suggestioni. E partecipavano i miei vecchi amici, ex rockettari e jazzisti piuttosto bravi, da quanto ne posso capire, bassista l’uno, batterista l’altro, il torinese (ma guarda un po’…) Mario Bracco, a costruire i miei spettri. Soprattutto Mario che mi racconta delle leggende delle colline piemontesi, mi regala una visita ai luoghi di “Profondo Rosso”, mi terrorizza raccontandomi del rogo del cinema Statuto. E’ sistematico lui, ci crede; in casa ha i quadri di Rol; le grotte alchemiche, la Grande Madre sono per lui bussole emozionali .
Un giorno della fine degli anni 80, sta provando in una cantina, piove come dio (?) la manda, esplode una vecchia cloaca di origine romana che inonda la cantina. Si salvano per il rotto della cuffia. Mario dice: “il demonio, sicuro”
E la storia di Viareggio (Medusa per Mario Tobino) e soprattutto dei dintorni boscosi e paludosi, che smette di essere città di donne brune e dolci di salmastro e marinai bruciati dal sole, città di creme solari e salvagenti colorati, e che intreccia il quotidiano di apparente banalità con crimini veri o immaginati.
La scomparsa di Cinzia (1) – forse il corpo nascosto in pineta, ancora una volta -, il marito indagato che si uccide sparandosi alla testa, l’auto parcheggiata su un qualche tornante in mezzo agli olivi.
Un ragazzo che come me aveva frequentato l’Istituto Nautico, studente disordinato e brillante, diventa un uomo di riferimento per la camorra per gli affari da fare quaggiù e scompare, ritrovato in un sacco nero, incaprettato, in fosso lungo una strada fra cielo e campi e padule. Ancora: tal Carmine, bulletto di periferia con un certo seguito, scompare misteriosamente, per non farci mancar niente, nelle acque amate da Puccini. Salvatore, detto Tore, siciliano d’origine impiantato a Lido di Camaiore. Salvatore faceva l’amico con noi ventenni coetanei. Anche lui un piccolo boss con seguito di ragazzini, Volkswagen Scirocco smarmittata e pugno facile, morto con la testa spaccata, in pineta. Un ragazzo uccide la madre con l’ascia, anche lui niente più che un bulletto. Molti altri potrebbero arricchire la lista, temo. E storie di messe nere, riti satanici, galline sgozzate in riti di sapore sincretico, forse i viados, chissà. Forse, cercando, salterebbe fuori un Nganga.
E il disastro di quest’estate, due “swam!” notturni contro l’avvolgibile; sono incuriosito, dalla mia finestra non si vede la luce del rogo e torno a dormire, e la mattina dopo scopro le nostre Twin Towers. 30 secondi di corsa in più del treno e forse i miei genitori – vivono a trenta metri dalla “tirrenica”- avrebbero condiviso la sorte atroce di quella notte. Il gas si è riversato oltre i muretti, ha invaso quelle strade, è defluito sotto le porte.
Qualcuno ha capito, è corso verso l’alto, sui tetti, o via, verso la vecchia Aurelia, le piante dei piedi ustionate, le scarpe, o le infradito di quelle tiepide notti incollate all’asfalto in fiamme, e gli altri, che non sono riusciti, i bambini, l’anziano parente di mia moglie con la badante, il fornaio scomparso, disgregato, andava al lavoro, l’appassionato motociclista liquefatto con il suo anziano cane.
viareggio1.jpgUn Demone, proprio qui. E nessun indagato, ma questa è un’altra storia.
Vedi… quasi mai un morto sparato (ma ci sono anche quelli), agonie strane, atroci, spesso fantasmi che non lasciano tracce. Il maligno alligna quaggiù come una concrezione salina, o quelle alghe verdastre incuneate fra le pietre dei moli. Certo, è un male molto umano, e forse qui è più follia e disattenzione criminale che disagio sociale, ma qualcosa mi entra dentro e non mi lascia quando vedo i pini che incombono scuri sul “Viale dei Tigli” quando la sera, tornata l’ora solare, rientro col buio dal lavoro. A volte devo recuperare la macchina a un paio di isolati dall’ufficio, l’umidità delle darsene, la solitudine gialla dei lampioni al sodio, una moderna Innsmouth? Ci trasformeremo in uomini pesce? Non mi meraviglio se Giampaolo Simi, Divier Nelli, Martina, viareggini, e Filastò, Spezi, Gori e non solo hanno scritto di noi.
Scusa il tedio, ma tutto è arrivato di getto.
Renzo

***

Caro Renzo,
come in uno slogan che ogni tanto ripeto quasi come una battuta, Bassavilla è dovunque. E’ il genius loci di quella Zona in Penombra che “anima” – ops, si fa per dire — e che nutre il serbatoio immaginifico dei tanti scrittori italiani (un po’ ne hai menzionati) che navigano, alcuni inconsapevoli, nella luce oscura. Laddove, ne hai dato ampia e ottima prova, stai navigando anche tu. Continua a farlo, ti prego. Traduci in emozioni cartacee le tue percezioni. In questo strano momento storico occorrono soprattutto condivisione e connessione. Quando posso farlo, ad esempio mi capita di vampirizzare quel che sento “mio” – lo sto facendo adesso con le tue note, splendide se è il caso di sottolinearlo. Non è frode mascherata, ma connessione. Credo molto alla tesi quantistica della mente condivisa. Non entro nel merito perché la faccenda è troppo complessa (parlo per me, ovvio), ma le “onde risonanti” del cervello e della coscienza viaggiano da qualche parte, collidono e collaborano. Non so se è il campo unificato, lo spazio quantico o il “Nightmare Territory” dei sogni innati, però capita. Ne ho parlato per 100 Cronache di Bassavilla e continuo a farlo con “La luce oscura”. E che continui a capitare, lo dimostra quel che hai scritto.
Non avrei altro da aggiungere, se non richiamare per “risonanza” la metafora genetica del grande Richard Dawkins. Lo studioso inglese (per quanto sia nato in Kenya) in “The Selfish Gene” sostiene che, prima dell’avvento della vita sulla terra (3-4 milioni di anni fa) si sviluppò per reazioni chimiche un brodo primordiale, le cui molecole, sotto l’effetto del sole si andarono combinando in molecole sempre più grandi. A un certo punto si produsse accidentalmente una molecola organica replicante. Questa molecola aveva la capacità di replicarsi e ad ogni replica venivano commessi dei piccoli errori che resero possibile la varietà e quindi l’evoluzione. Poiché il brodo primordiale non era in grado di alimentare un numero infinito di molecole iniziò la lotta per la sopravvivenza e le molecole svilupparono un involucro protettivo (si formarono le cellule) per proteggersi dalla guerra chimica con le loro rivali. Col tempo e in virtù del meccanismo della selezione naturale e dell’evoluzione i replicanti andarono creando delle macchine per la sopravvivenza: veri e propri organismi pluricellulari sempre più complessi come le piante e gli animali erbivori e carnivori.
Che fine hanno fatto questi replicanti, miliardi di anni dopo, secondo Dawkins? Esse stanno in tutti noi, ci hanno creato, corpo e mente, e la loro conservazione è la ragione ultima della nostra esistenza. Ora vanno sotto il nome di “geni”, e noi siamo le loro macchine per la sopravvivenza. Come geni si trovano al sicuro dentro di noi nel nucleo di ciascuna delle cellule che compongono il nostro corpo. Un corpo che nell’attimo del concepimento non è altro che una singola cellula dotata di tutte le informazioni necessarie per costruire un essere umano. Questa cellula è capace di dividersi più volte trasmettendo ogni volta una copia dei piani originali. Il gene è quindi quell’unità fondamentale della selezione naturale che tende a sopravvivere e a replicarsi anche per migliaia di anni attraverso un gran numero di macchine per la sopravvivenza. Arrivati all’uomo si manifesta una qualità emergente definibile come “la coscienza di sé”. Con il linguaggio e la cultura, secondo Dawkins, entra in gioco un nuovo replicante. Tale replicante viene chiamato Meme (da mimema). Esso ha la facoltà di propagarsi da un cervello all’altro e di sopravvivere come idea, produzione culturale o altro anche dopo la morte dell’individuo ospite. Forse la chiave per entare nella “connessione” sta qui.
Epidemiologia della mente o mente infetta… Anche questa è un’ipotesi per tentare di capire perché le distanze tra Viareggio e Bassavilla siano praticamente nulle.

Note
1. Dal sito della trasmissione “Chi l’ha visto?”. Si tratta di Cinzia Bernardo, 39 anni al momento della scomparsa, irreperibile in Viareggio dalla sera del 29/04/2001. In quella data Cinzia, una bella donna di 39 anni, e Paolo Bertuccelli, marito e moglie separati da qualche mese, hanno cenato insieme con alcuni amici in una trattoria alla Darsena di Viareggio. Poco prima della mezzanotte, il gruppo si è trasferito alla Bussola. Sembra che la coppia avesse litigato durante il tragitto in auto, forse a causa di una telefonata ricevuta sul cellulare da Cinzia. La tensione era continuata anche dopo. A un certo punto l’uomo avrebbe tirato un pugno sul tavolo, e poi sarebbe uscito inseguito da Cinzia. Il 2 maggio la figlia di Cinzia ha denunciato la scomparsa della madre, che non è più tornata a Firenze dove abitava dopo la separazione. I carabinieri di Viareggio, avvisati, sono andati a casa di Bertuccelli: l’uomo ha dichiarato di aver accompagnato la moglie al treno per Firenze il pomeriggio del 30 aprile. Il 4 maggio il marito si è presentato spontaneamente in caserma per chiedere notizie della moglie, comportandosi in maniera strana. Quello stesso pomeriggio, i carabinieri sono tornati a casa dell’uomo, ma non lo hanno trovato. Hanno sfondato la porta e messo l’abitazione sotto sequestro. Il 6 maggio, una Fiat tipo bianca è stata notata dagli abitanti di Valpromaro, un paesino sulla collina di Camaiore; dentro c’era un uomo che dormiva coperto da un plaid. Si trattava di Paolo Bertuccelli, che si è suicidato sparandosi un colpo con una 357 Magnum che teneva nascosta sotto la coperta non appena i carabinieri in borghese si sono avvicinati alla macchina. Nell’auto c’era un biglietto dal contenuto drammatico, che però non faceva cenno alla sorte della moglie. Sul sedile accanto sono state trovate minuscole macchie di sangue che sarebbe, secondo le analisi, compatibile con quello di Cinzia Bernardo. Le ricerche effettuate nella pineta di Viareggio che costeggia il mare, frequentata abitualmente da Bertuccelli, che aveva la passione della caccia, non hanno mai dato alcun esito.