di Saverio Fattorifabbriche_big.jpg

[Saverio Fattori, oltre ad essere un apprezzato collaboratore di Carmilla, è uno dei più interessanti narratori italiani degli ultimi anni. Dopo l’esordio con Alienazioni padane (2002), ha pubblicato Chi ha ucciso i Talk Talk?(2006), entrambi scaricabili in copyleft dal sito de iQuindici. Siamo quindi molto felici di cominciare oggi la pubblicazione del suo nuovo romanzo Cattedrale (g.d.m.)]

Tutti i capitoli di “Cattedrale”

Parte prima: LUCIFERO AL BUILDING 2

jesolo_aziende.jpgUn ragazzo con il giubbotto scuro mi chiede di usare il mio badge per sbloccare il girello. Lui non ha ancora il badge. È il suo primo giorno, tiene a sottolineare con un largo sorriso. Non lo compatisco e non ho alcuna invidia, non mi sento in dovere di rispondere con nessuna frase da vecchio operaio rassegnato e pacificato. Passo il badge e rificco le mani in tasca fino quasi a rompere la stoffa dei jeans, non è questione di freddo, la temperatura è in risalita. Sono pieno di tic nervosi. Io la soglia della fabbrica l’avevo varcata nel 1988, e non c’era nessun badge o girello. Entrammo in venti quel giorno di novembre, un giorno come oggi di inverno temperato e mortifero. L’azienda era in espansione spaventosa, qualcuno aveva visto lontano, individuato potenzialità, nuove esigenze, aree di mercato vergini da esplorare. Condizionatori d’aria per auto. Al tempo optional elitario, oggi montato di serie anche sui muli della Sardegna. Dopo una settimana avevamo tutti il contratto a tempo indeterminato, montato di serie su tutti i disgraziati che nella vita non avevano saputo costruirsi nulla di meglio con gli studi o con altre iniziative personali. Quelli che rivendicavano una beata medietà, che non avevano fatto esperienze particolari. Quelli che nella carta di identità luogo di nascita e residenza coincidono o si discostano di pochi chilometri. Quelli con poche variabili, esigenze a basso voltaggio. Quelli che nella vita non avrebbero fatto mai nulla di male. E niente di buono. Non lo sapevamo, ma ci stavamo lasciando alle spalle gli anni in cui il tempo indeterminato era considerato una pietra tombale per esseri solo formalmente in vita. La popolazione con impeti di trasgressività disprezzava questa condizione, il posto fisso liquidato come altamente pericoloso per gli stimoli celebrali. Oggi, in piena restaurazione, la stagnazione lavorativa è riabilitata e la malattia del secolo è diventata la precarietà.
Rallento il passo non voglio affiancare l’ultimo arrivato, non voglio condividere banalità da lunedì mattina. Mi sembra strano che possano esistere ancora cuccioli di operai in occidente, la televisione non ne parla mai, non parla mai di questi cimiteri. Nemmeno gli scioperi nazionali arrivano a intaccare la prima metà di qualunque telegiornale. I controllori di volo creano disagio, bivacchi di turisti indignati prede facili per giornalisti eccitati. Qualche decina di operai con le bandiere rosse che stazionano sui binari di una ferrovia mettono solo addosso una tristezza antica. A scendere in piazza per rivendicare meriti e diritti sono sparute frange organizzate dalle confederazioni nazionali e chi davvero non ha nulla, e quindi nulla da perdere. Chi detiene un posticino indeterminato, ha la percezione di una piccola tana da difendere da altri disperati e non ascolta grilli parlanti del dissenso verso le classi dirigenti. Abbassa la testa con i padroni e la dignità se l’è bruciata tutta la sera prima davanti alla televisione. Le bucce di patate si litigavano tra detenuti del campo, le guardie armate diventavano entità malvagie, ma sfuggenti, la realtà erano i gomiti degli altri condannati, i nemici per priorità erano gli eguali.
Il ragazzo col giubbotto Caterpillar sta entrando dalla porta dello stabilimento. Non sembra intimidito, lo sguardo è alto. Ha un bel po’ di vita davanti, una fidanzata fresca, una utilitaria con motore sovra alimentato, il suo organismo recupera bene gli eccessi del fine settimana.
Come potrei non odiarlo?