di Tito Pulsinelli

VenezuelaRojaRojita.jpgE’ davvero spassoso confrontare le versioni contrapposte delle prime pagine -web e cartacee – che il sistema della comunicazione ha sfornato a ridosso del referendum sulla riforma della Costituzione del Venezuela.
Una prima versione attribuiva la vittoria al SI’, e nei commenti abbondavano le tinte oscure e apocalittiche sulla compiuta deriva dittatoriale del Paese sudamericano. Ha ingenuamente addentato la mela avvelenata del populismo, ora si tengano il regno millenario del Caudillo rosso!
Poi, a rotta di collo, una improvvisata seconda versione narrava l’affermazione del NO alla riforma, in cui i toni si capovolgevano, con squilli di trombe come nella marcia trionfale dell’Aida. Una risicata affermazione dell’1%, è stata celebrata come la stoccata mortale del torero che abbatte il “tiranno”. Olè!

El País, il maggiore quotidiano monarchico europeo, oltre che nave ammiraglia della Armada Invencible del gruppo PRISA, con il fervore militante che l’ha trasformato nella Pravda reazionaria dei due mondi, ormai è un campione di realismo magico. Può affermare simultaneamente una cosa — o il suo contrario – ma ha sempre ragione! Su questa scia naviga anche il blocco della radio-stampa-RaiSet.
L’eurocentrismo bilioso gioca scherzi sempre più brutti. Soprattutto quando i diavoli moderni non emanano più il tanfo dello zolfo, ma quello più etereo del gas e del petrolio (Putin, Ahmedinajad, Chavez). Esclusi, però, i monarchi degli emirati e quelli sauditi, perchè ogni regola ha la sua eccezione. L’Egitto, poi, e i suoi tre presidenti vitalizi in mezzo secolo, continua a essere indicato come esemplare. E’ un modello di democracia faraonica caro agli occidentali.

Sì, è vero, la democrazia reale esistente è quella vincolata ai risultati, cioè dipende da chi perde e chi vince. Se avesse vinto Chávez con lo stesso striminzito margine di vantaggio, non vi è alcun dubbio che si sarebbe trattato di una frode “bananera”, smaccata e provocatoria.
Il grado di democrazia subordinato al risultato finale venne collaudato in Algeria, qualche decennio addietro, quando vinse il Fronte Islamico di Salvezza (FIS). Siccome gli islamici sono — per statuto – antitetici alla democrazia vidimata nelle capitali del mondo industriale, gli negarono la vittoria. E vi fu un bagno di sangue.

Poi ci sono state le “rivoluzioni colorate” in Serbia, Georgia e in Ucraina. Se l’aperta interferenza degli Stati Uniti, i finanziamenti federali della NED o USIS, o quelli delle fondazioni alla Soros, con i moniti aggiuntivi di Bruxelles, e il massiccio intervento dell’oligopolio mediatico non riescono a imporre il candidato a loro gradito… allora le elezioni non sono mai sufficientemente democratiche.
Si coniano neologismi, ci si arrampica sugli specchi, si inventa persino la… ”dittatura costituzionale”. Se non vincono i referendum li squalificano come… ”plebiscito”.

E’ tutto cristallino, invece, nella libera raccolta di firme delle elezioni fai-da-te, quelle che partoriscono i moderni Partiti virtuali, di destra e di manca. Da “una testa-un voto”, si passa al più moderno principio di “un euro-un voto”. Non hanno raccolto nessun voto vero, ma tutti fanno finta che siano reali quelli attribuiti dai… sondaggi. Dopo Gramsci, Bobbio, Einaudi e Gobetti passano senza anestesia – o vasellina – a Mannheimer e Pagnoncelli. La democrazia rappresentativa, a denominazione di origine controlata, è un affare privato tra politica-spettacolo, pubblicitari e padroni della comunicazione.