di Gaspare De Caro e Roberto De Caro

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Novantacinque milioni di che?
Ma non è finita qui. I rutti del Golem si susseguono. Il 31 marzo 2000 il manifesto rende nota la vicenda delle denunce che Valerio Mattioli – un appuntato scelto della Benemerita, con più di vent’anni di servizio – ha inoltrato a pioggia a circa ottanta procure italiane e al Garante della privacy. Si tratta di stabilire fino a che punto sia lecita l’attività capillare di schedatura praticata dall’Arma. Mattioli parla di 70 milioni di schede archiviate, cioè non distrutte dopo un periodo limitato di tempo, come prevede la legge. Il caso finisce in Parlamento. La prima reazione dei vertici dell’Arma è di comminare una sanzione disciplinare nei confronti del carabiniere: tre giorni di consegna per non aver informato i superiori. In realtà lo aveva fatto l’11 gennaio 1998, quando chiese chiarimenti al Comandante generale tramite i superiori gerarchici «sullo stato di applicazione della legge sulla privacy», ma non avendo ricevuto risposta, ai primi di agosto del 1999 si era rivolto alla magistratura.

«L’insistenza del militare ha indispettito i suoi superiori che gli avrebbero prospettato il rischio di un’espulsione dall’Arma».[60] L’incredulità della pubblica opinione è tale da lasciare increduli. Nessuno sembra davvero poter concepire che i Carabinieri conservino un tale numero di schede nei loro archivi, le quali riguardano ogni genere di informazioni, «dalle più banali, alle più specifiche […] sempre legate alla personalità e al carattere del soggetto schedato. Dai suoi credi, alle sue abitudini, alle frequentazioni, fino alla stima goduta in pubblico» e «ogni altra informazione atta a lumeggiare la personalità del soggetto».[61] Giovanni Russo Spena, presidente dei senatori di Rifondazione comunista, protesta: «Il governo non può far finta di nulla […]. Se il caso fosse vero, si prefigurerebbe una violazione molto grave dello stato di diritto».[62] Franco Frattini, presidente della Commissione servizi della Camera, si preoccupa molto meno:

Non mi sembra una violazione della privacy, se si riferisce a informazioni ambientali. Tali informazioni devono essere raccolte a fini istituzionali, come il rilascio del nullaosta sicurezza o per accedere a determinate funzioni, come il concorso in magistratura.[63]

Russo Spena replica:

Al posto del presidente della Commissione servizi ci aspetteremmo una risposta del governo su un caso così grave. Il ruolo dell’onorevole Frattini è quello di minimizzare episodi e pratiche su cui deve indagare la magistratura. […] C’è un aspetto della vicenda contingente, legato alla legge di riforma dell’Arma dei carabinieri, ma anche uno storico. Già nel 1996, il sottosegretario Brutti denunciò l’esistenza di un cervellone parallelo dei Carabinieri. Mi chiedo se esista ancora e perché non è stato unito a quello del Ced del Viminale per costituirne uno solo, al quale possono accedere le istituzioni di controllo, così come prevede la legge del 1981.[64]

Ridotte all’osso le posizioni dei politici si attestano su questi due estremi. A parte il Governo che continua a tacere. Il che fa imbestialire, e come dar loro torto, i vertici di viale Romania: «Noi degli schedatori? Semmai siamo dei perseguitati politici. Qualcuno ha deciso, a tavolino, che i carabinieri debbono nascondersi in un angolo e prendere solo botte in testa».[65] La quale attività, oltre a non far parte delle tradizioni dell’Arma, non è neanche consentita dal regolamento e quindi il generale Siracusa si fa sentire:

«Questa volta non dico neanche una parola. O i ministri scendono in campo e ci difendono, visto che lavoriamo per loro, oppure tanto peggio. Non possiamo passare la vita a dare prove di democrazia». Ma, finita la giornata, le agenzie di stampa mostrano che soltanto il Polo – con Frattini, con Gasparri, con Giovanardi – si schiera a fianco della Benemerita. Tacciono, invece, i diessini, quasi che il feeling, tanto pubblicizzato ai tempi della legge sulla quarta Arma, sia ormai solo un lontano ricordo. Il silenzio è sale sulle ferite. […] Una parola di Bianco certo avrebbe disteso l’atmosfera. A questo punto lasciarsi andare a uno sfogo è praticamente inevitabile: «Ma quale denuncia! Questo maresciallo è un grafomane. Ha fatto decine e decine di lettere, ma – guarda caso – soltanto adesso i giornali se ne accorgono. È la riprova del complotto contro di noi». Complotto. Proprio così. Ne sono convinti tutti, dai vertici romani a quelli periferici. Un unico complotto distinto in differenti atti. A cominciare dalle aggressioni del sindacalista Aliquò, passando per il golpe Pappalardo, per finire alle interferenze e alle accuse sulla fuga di notizie per D’Antona. L’ultimo atto sono i dossier. […] Dunque, è «complotto». O meglio: è il prezzo da pagare per aver ottenuto la tanto sospirata autonomia dall’Esercito dopo decenni di forzata dipendenza. In viale Romania generali e colonnelli sembrano quasi rassegnati. Convinti che da una simile campagna orchestrata non ci si può difendere. «Ce l’hanno giurata quelli della polizia. Che, a parole, annunciano il coordinamento, ma poi non si fermano davanti ai colpi bassi. Come questo qui». A sentire loro, invece, tutto sarebbe lapalissiano. […] «tutto questo sta scritto nella legge. Non ci sono stati eccessi. Che abbiamo fatto per essere aggrediti cosi?»[66]

E i Carabinieri hanno ragione! Lo dice il Governo stesso – rompendo il silenzio seguito a una giornata di riflessione che si suppone profonda – per bocca dei ministri Bianco e Mattarella, che in un comunicato congiunto assicurano al Paese che non vi è nulla da temere, visto che

«l’attività informativa dell’Arma dei Carabinieri è rigorosamente compresa nei limiti istituzionali definiti dalla legge e dagli ordinamenti, con regole comuni anche a Polizia di Stato e Guardia di Finanza e dunque non vi è alcuna iniziativa di raccolta di dati estranea ai fini istituzionali. […] il comando dell’Arma ha regolarmente notificato al Garante per la protezione dei dati personali, tipologie e modalità dei trattamenti effettuati. Il materiale esistente presso le strutture territoriali dei Carabinieri non è rappresentato da schede ma dall’ordinaria archiviazione, con diversi gradi di riservatezza, dei fascicoli delle pratiche di varia natura nelle diverse realtà locali in circa mezzo secolo». Sul problema dello smaltimento degli archivi, uno dei nodi su cui si appunta la vicenda, i due ministri dell’Interno e della Difesa riconoscono l’assenza di una normativa chiara e definitiva. «Si è in attesa», si legge ancora nel comunicato, «di un apposito provvedimento legislativo che definisca per tutte le forze di polizia le regole da seguire in materia di distruzione dei dati».[67]

A questo punto l’unico ad avere qualcosa da temere rimane l’appuntato scelto Mattioli Valerio, che finisce subito indagato per violazione di segreto:

A firmare l’avviso di garanzia è stato il procuratore aggiunto di Bologna Luigi Di Persico, lo stesso magistrato che aveva raccolto la denuncia del militare. […] «Violando le norme sulla disciplina militare – osserva Persico – con la sua denuncia il Mattioli falsamente incolpava, sapendoli innocenti, i Comandanti a livello provinciale e intermedio della provincia di Bologna, di 42 reati ma sostanzialmente del delitto di abuso in atti d’ufficio, diretto a ledere la privacy dei cittadini con l’istituzione di fascicoli permanenti e l’inserimento in essi di notizie, a suo avviso irregolarmente raccolte e documentate».[68]

Vatti a fidare!

L’appuntato Mattioli è rimasto di sasso. «Sono in possesso – spiega – di una lettera del mio comandante al quale mi ero rivolto per sapere se la raccolta dati era conforme alla legge sulla privacy, nella quale egli dichiarava che segnalare il caso non violava il segreto». Ma c’è un altro paradosso in questa vicenda: mentre la Procura di Bologna procede per violazione del segreto, la Procura militare convoca per stamani lo stesso appuntato come persona informata dei fatti. Intanto il Codacons ha elaborato un modello per la richiesta di cancellazione dati in base alla legge sulla privacy, qualora un cittadino venga a conoscenza di un fascicolo aperto a suo nome.[69]

Meno male che c’è il Codacons! Questi sono i vantaggi della democrazia. Il problema è come venire a conoscenza dell’esistenza di un fascicolo a nostro nome. Bisognerebbe chiedere a un carabiniere. Ma se per caso ce lo dice, una volta chiesta la cancellazione dei nostri dati, bisogna fare il proprio dovere di cittadino fino in fondo e denunciarlo per aver violato il segreto? E se sì, dopo aprono un fascicolo su di lui? E se lo viene a sapere? E se non cancellano i dati? Per fortuna a vigilare su tutto ciò c’è il professor Stefano Rodotà, il Garante per la privacy, che, nonostante l’olimpica serenità dell’esecutivo, severo ammonisce: «È assolutamente necessario un chiarimento su questa vicenda, visto l’allarme e la vasta eco suscitata nell’opinione pubblica. Avremo le informazioni richieste all’Arma e le valuteremo». E manterrà la parola. Ma prima che il Garante si pronunci, l’appuntato Mattioli, il 2 ottobre 2000, riceve una cartella «siglata dal comandante della compagnia, il capitano Guareschi» in cui gli viene notificato che la compagnia di San Giovanni Valdarno, la sua caserma da oltre due decenni, «ha avviato nei suoi confronti la procedura per esonerarlo dall’Arma» per «scarso rendimento». Il procedimento richiederà sei mesi, dopo di che, naturalmente, «l’appuntato potrà proporre appello, ma il parere finale spetterà alla Direzione generale per il personale militare del ministero della Difesa. […] Indagato e interrogato, Mattioli era stato più volte punito con cella di rigore. Ieri, l’ultimo atto di una battaglia che ha il sapore di un’intimidazione».[70]
L’11 gennaio 2001, finalmente il Garante si pronuncia e sentenzia:

Dagli accertamenti effettuati non sono emersi trattamenti illegittimi. Tuttavia, come viene analiticamente indicato nel seguito del provvedimento, le segnalazioni hanno evidenziato problemi che derivano da un quadro normativo non ancora adeguato integralmente ai principi introdotti dalla legge n. 675/1996 in materia di trattamento dei dati personali.
Questo profilo è stato già segnalato al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro della difesa con note del 15 settembre 2000. È riassunto anche in questa sede in quanto le segnalazioni e le risposte fornite evidenziano, per i casi di specie, l’esigenza di un rapido intervento a livello sia legislativo, sia regolamentare.
[…] Il Garante prende atto dell’impegno del Comando generale dell’Arma a definire a breve scadenza una nuova disciplina interna sulla conservazione e distruzione del c.d. carteggio permanente e sulle modalità di verifica, aggiornamento, eventuale conservazione e distruzione dell’ingente materiale informativo raccolto specie quando non erano ancora in vigore i principi introdotti dalla legge n. 675/1996.
Le informazioni fornite dall’Arma denotano che le prassi adottate da lungo tempo hanno portato ad una proliferazione eccessiva e ad una conservazione stabile di un numero enorme di pratiche permanenti, che l’Arma stima in circa 95 milioni.
Si tratta di fascicoli che oltre ad accorpare ulteriori pratiche informative preesistenti e mai distrutte, recano un numero elevato di informazioni raccolte in base ad una prassi introdotta cinquanta anni or sono e in contrasto con sopravvenuti principi in materia di protezione dei dati.
[…] TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE:
a) segnala al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro della difesa, ai sensi dell’art. 31, comma 1, lett. m), della legge n. 675/1996, l’esigenza di apportare le modifiche normative indicate al punto 1) della motivazione;
b) segnala al Comando generale dell’Arma dei carabinieri, ai sensi dell’art. 31, comma 1, lett. c), della legge n. 675/1996, la necessità di conformare i trattamenti di dati personali alle indicazioni contenute nel presente provvedimento, invitandolo a fornire un riscontro entro il 28 febbraio 2001 sulle iniziative intraprese.[71]

Purtroppo chi scrive non ha potuto appurare né se il Comando generale dell’Arma abbia tosto provveduto a conformare i trattamenti secondo le indicazioni del Garante né soprattutto se ne abbia fornito adeguato riscontro al professor Rodotà entro la data stabilita. Ma immagina di sì, poiché altrimenti la mannaia del Garante sarebbe calata implacabile. Sicuro invece è che Mattioli si sbagliava: i fascicoli non erano 70 milioni, ma 95. C’è una bella differenza. In realtà l’appuntato si stava solo cautelando: «Quando ho parlato di 70 milioni di fascicoli – dice – mentivo sapendo di mentire, perché ero sicuro che fossero di più. Ho arrotondato per difetto perché temevo che mi accusassero di esagerare e ho calcolato 15.000 fascicoli per ognuna delle 4.600 stazioni, cioè 70 milioni».[72] Falco Accame, ex presidente della Commissione Difesa della Camera, ostentando la sua indignazione – «neanche nei Paesi più totalitari si era giunti a tanto» –, si affretta a garantire che «le forze politiche sono state tenute all’oscuro, così come le Commissioni Difesa del Parlamento» e reclama subito giustizia (ma non vendetta, s’intende): «Ora i colpevoli dovranno essere puniti».[73] Più delicatamente Alfio Nicotra, responsabile del settore Pace di Rifondazione comunista, si ricorda del povero carabiniere: «Visto che la massima autorità in materia ha ritenuto fondate le preoccupazioni sollevate, ci auguriamo che il ministro della Difesa ed il comandante generale dell’Arma revochino i provvedimenti disciplinari nei confronti dell’appuntato Mattioli, dalla cui denuncia è scaturita l’indagine dell’autority».[74]
Dello stupore dei politici, della sorpresa dei commentatori, dell’incredulità della pubblica opinione, delle affettuose rassicurazioni del Garante Universale si nutre l’insostenibile banalità del nostro quotidiano. In questa landa desolata lo scettico inossidabile trova fraterno ristoro solo nel giudizio fuori campo:

Assuefatti come siamo a menzogne e dicerie, prestiamo un orecchio distratto a quello che ci accade intorno, travolti dall’insinuante, e perversa, opera di desertificazione della memoria e della coscienza. Lontano, vicino, forse da un satellite, forse banalmente attraverso il telefono di casa, continua il lavorio occulto del controllo, della classificazione. Per gli attenti secondini della democrazia è sempre l’ora del tè, avrebbe detto Lewis Carroll, e non c’è mai un minuto per sciacquare le tazze: «[…] ‘Così dovete sempre cambiare posto, vero?’, disse Alice. ‘Proprio così’, disse il Cappellaio, ‘man mano che le tazze sono sporche ci spostiamo’.
‘Ma che succede quando ricominciate il giro?’ si arrischiò a chiedere Alice».[75]

L’uomo di vetro
Ma sarebbe davvero ingiusto dare la sensazione che la Sinistra al governo non si sia preoccupata della sicurezza dello Stato e dei suoi cittadini e dopo aver delegato l’ingrato compito di schedare tutto e tutti alla Benemerita abbia anche avuto da ridire. Non è così. Al contrario, se critica c’è stata è per l’evidente provincialismo con il quale vengono condotte le operazioni. Nell’era di Internet ancora fermi ai faldoni e magari alla macchina da scrivere? Inaccettabile. I piani erano ben altri, anche se il tracollo elettorale ne ha un po’ condizionato la velocità di esecuzione (i conservatori venuti dopo, si sa, ci tengono di più alle tradizioni). A riprova dell’efficienza repressiva auspicata dalla Sinistra, merita citare una memorabile intervista orwelliana sul tema sicurezza-immigrazione rilasciata nel 2000 al Corriere della Sera dall’allora ministro della Funzione pubblica Franco Bassanini, il quale, estasiato dal suo stesso sogno, si esibì in un crescendo un po’ delirante di progetti panottici. Questa specie di dottor Stranamore dell’ordine sociale ci parla delle potenzialità biometriche delle nuove carte d’identità da lui concepite, che potranno contenere le impronte digitali di italiani, europei ed extracomunitari (dai quali, naturalmente, «si potrebbe incominciare») e forse, dico forse, anche «l’iride dell’occhio»! E questo, va da sé, «nell’interesse di tutti i cittadini perbene», poiché, conclude il ministro come fosse Charles Bronson, «chi non ha nulla da nascondere non deve temere nulla».[76] A «lumeggiare» il concetto interviene, come di consueto, il Garante Rodotà, che pilatescamente ci elegge garanti di noi stessi, esortandoci paterno a «diffidare dell’argomento di chi sottolinea come il cittadino probo non abbia nulla da temere dalla conoscenza delle informazioni che lo riguardano. “L’uomo di vetro” è una metafora totalitaria, perché su di essa si basa poi la pretesa dello Stato di conoscere tutto, anche gli aspetti più intimi della vita dei cittadini, trasformando automaticamente in “sospetto” chi chieda salvaguardia della vita privata».[77] [4. continua. Le altre puntate qui]



[60] Daniele Mastrogiacomo, Siamo tutti schedati, ivi, 1 giugno 2000.

[61] L’intervista, rilasciata a la Repubblica l’1 giugno 2000, continua: «Questo vale anche per le persone che non hanno precedenti penali? “Per tutte. Ho fatto l’esempio di San Giovanni Valdarno. Nella nostra caserma ci sono 58.000 schede su una popolazione che conta 18.000 persone. Dentro ci sono anche i defunti, gli anziani, le associazioni sindacali, di categoria, le società industriali e finanziarie, fabbriche, studi, aziende. Quando parlo di 70 milioni di pratiche, intendo dire pratiche permanenti. Cioè messe in archivio e conservate per tempo illimitato. Questo non è previsto per le persone senza precedenti”. Dove vengono conservate? “Nei cinquemila comandi distribuiti nel paese. Mi chiedo a cosa servano. A meno di pensare che possano essere utili nel tempo. Magari fra qualche anno, se cambia il nostro sistema politico…”».

[62] Mastrogiacomo, op. cit.

[63] Ibid.

[64] Id., Dossier dei carabinieri. La magistratura indaga, ivi, 2 giugno 2000.

[65] Liana Milella, «Nessun abuso. Contro l’Arma un complotto», ivi, 2 giugno 2000.

[66] Ibid.

[67] Daniele Mastrogiacomo, Schedari dei carabinieri. Nessuna raccolta illegale, ivi, 3 giugno 2000.

[68] Id., Finisce sotto inchiesta il carabiniere anti dossier, ivi, 6 giugno 2000.

[69] Ibid.

[70] L’arma ora vuole licenziare l’appuntato che parla troppo, ivi, 3 ottobre 2000.

[71] Il testo del documento si può leggere in www.privacy.it/garanterisp200101112.html. Cfr. anche il relativo comunicato stampa in data 23 gennaio 2001 in www.privacy.it/garantes20010123.html.

[72] Almanacco dei misteri d’Italia, 23 gennaio 2001, in http://web.tiscali.it/almanacco/gladio.htm.

[73] Ibid.

[74] Ibid.

[75] Mario Coglitore, L’occhio del potere. Schedature dei carabinieri, in Umanità Nova, n. 21, 11 giugno 2000.

[76] Marco Galluzzo, «Impronte digitali anche per gli italiani», in Corriere della Sera, 20 novembre 2000.

[77] Stefano Rodotà, L’ansia di sicurezza che cancella i diritti, in la Repubblica, 23 ottobre 2001.