Un delirio di Nino G. D’Attis328_large.jpg

[Questo racconto fa parte dell’antologia Con gli occhiali da sole anche di notte – Scatti suburbani – a cura di Girolamo Grammatico, il cui il ricavato va a finanziare LA NOTTE DEI SENZA FISSA DIMORA, (evento pensato dal giornale di strada Terre di mezzo) che si tiene, ogni anno, il 17 Ottobre durante la Giornata Mondiale contro la povertà. Il libro è in creative commons e si può scaricare liberamente qui, oppure ordinare qui (g.d.m.)]

«Faccia di maiale / faccia di scureggia / faccia da assassino…»
Le voci cristalline dei bambini. Le occhiate appena un po’ imbarazzate delle mamme. Finalmente l’autobus rallenta, poi si ferma. L’autista guarda nello specchio retrovisore, apre le porte e i piccoli stronzetti scendono, tenuti per mano da queste giovani signore coi colpi di sole, le buste della Pam, le dita piene di anelli comprati a tre euro dai senegalesi in via Mariposa e sandali bianchi imitazione Gucci ai piedi.
«Faccia di maiale / faccia di scureggia / faccia da assassino…»
Mocciosi. Generazione nata in provetta.

Chi ha detto che le favole non esistono più? Conosco la storia di un uomo brutto e terribilmente solo che viveva sui marciapiedi intorno a piazza Baramulla da quando altri uomini gli avevano tolto la casa facendogli notare che per i pezzenti come lui la casa non sarebbe mai stata un diritto. Un giorno questo tizio sparse la diceria che una nota marca di gomma da masticare conteneva uova di ragni e che i bambini che ne facevano uso si sarebbero svegliati coperti di queste bestioline. La notizia fece il giro del mondo, poi tornò indietro fino al suo creatore che a quel punto disse: «Va bene, però è vecchia» e allora socchiuse gli occhi, si grattò la testa e il culo, annusò l’aria come fanno i cani e tirò fuori la faccenda dei ripieni di cibo per gatti negli agnolotti in vendita nei negozi di pasta fresca di tutta la città.
Ci rise sopra. Si addormentò tra i cartoni, sotto il primo temporale di settembre e sognò di avere una faccia normale, un conto segreto in una banca svizzera, una villa su due piani con grandi spazi aperti e foro zenitale sul tetto. Azzurri, ambre e trasparenze, profili di finestre con cristalli a filo: il suo buen retiro nascosto in fondo a una strada circondata da paludi d’acqua salmastra.
Sognò di essere l’autore di una Guida all’autolesionismo nelle varie stagioni dell’anno e di aver chiuso una grande storia d’amore perché lei — occhi grandi e gran culo – passava l’aspirapolvere non appena si ritrovava a intercettare una briciola sul tappeto puro Kashmir in salotto. Stando fermi e zitti, si poteva percepire il rimbombo di un tuono, il ruggito di una preghiera tramutata in imprecazione. Tutti i giorni uno scontro a causa di questi minuzzoli dispersi che la rendevano isterica, sembravano lì apposta per incrinarle la facoltà di esercitare un controllo magnetico sul mondo.
Parole biascicate nel sonno: «Assistiamo a un progressivo slittamento del termine energia…»
E: «Ora tutto è scuro, siamo protetti dalla dura realtà…tra dieci anni vi pentirete di non aver letto questo annuncio…»
Regina degli angeli. Regina dei profeti. Regina degli spaventapasseri.
Lei che a pranzo o a cena gli teneva lezioni sulle ultime scoperte dietologiche ragionando di lavoro aerobico, verdure a foglia scura, alghe addensanti ricche di minerali ma prive di calorie. Lei che non credeva affatto nella possibilità per niente remota di inciampare un giorno o l’altro in situazioni balorde, sproporzionate, invadenti, più scombinate dei sogni che si fanno.
«Guarda la mia faccia, tesoro.»
«La tua faccia è a posto, non uscirtene con una delle tue paranoie…»
«Ah, sarei io il paranoico?»
Lei non aveva detto altro, lui non aveva detto altro.
Ma presto o tardi sarebbe tornata. Collana con pendente di corallo e charms d’oro bianco e diamanti, slip a vita bassa e reggiseno a triangolo di un bel blu elettrico, sarebbe uscita fuori dalla cella frigorifera e non l’avrebbe più contemplato come se lo ritenesse pronto per il ricovero nel centro d’igene mentale più vicino.
«Guarda la mia faccia.»
«Che rapporto hai con gli specchi? Che cosa non ti piace?»
Poi gli avrebbe chiesto scusa dicendogli: «Ti peseranno su una bilancia, e il tuo peso sarà giudicato eccessivo, ma non per questo smetterò di amarti.» E infine, forse più arrendevole: «Hai ragione tu: la verità più cruda non intralcia mai una storia che funziona.»