di GIUSEPPE GENNA

bilico_di_paola_barbato.jpgA fare gli scrittori, i recensori, i consulenti, a stare nell’editoria insomma, si gode di certi privilegi, primo dei quali, nonostante il precariato che è a volte angosciante, è il vantaggio di fare un lavoro che non comporta la fatica che distrugge il minatore, ma sortisce raramente gli stessi esiti: tra tanto carbone càpita di incappare in un diamante. E di restarne affascinati, incantati. Di innamorarsene.
Ho avuto un privilegio: leggere in anteprima il migliore thriller scritto negli ultimi dieci anni. Oso dire: non solo in Italia. Bilico è il miglior thriller europeo che sia uscito nell’ultimo decennio e Paola Barbato è la morbosa affabulatrice che mancava in Italia. Mancava in Italia una scrittrice (anche se qui la questione del genere femminile c’entra solo per un picco di perversione del tutto personale, ma sospetto anche collettivo) che riuscisse a dare corpo alle fantasie più nere e alla narrazione più choccante di cui sono maestri certi americani, e nel caso di Bilico non posso non pensare a Stephen King (in questo caso, esplicitamente, il King di Colorado Kid, recensito qui da Wu Ming 1) e a Patricia Cornwell.

Parlo di un romanziere che entrerà nella storia della letteratura planetaria (King) e di una folle visionaria che invece, appena smetterà di scrivere, verrà affogata nell’oblio (Cornwell). paola_barbato.jpgE’ esattamente il bilico che, con inaudita consapevolezza e rischio, percorre Paola Barbato (tra l’altro, cosceneggiatrice, con Sclavi, di Dylan Dog) in questo straordinario thriller che, pur non avendo nulla di sovrannaturale, ha la capacità telepatica di afferrare i lobi frontali del lettori e ipnotizzarli finché non si sia voltata l’ultima pagina. Barbato compie un’operazione di rivoluzione dell’immaginario: rivoluziona il thriller, fa un thriller completamente nuovo, che però è un thriller vero e ricalca tutti i canoni del genere. Opera di strabismo di Venere? Forse. Sicuramente opera di una mente perversa che, a buon diritto, proprio per la sua perversione contorta e sorprendente, scorrazza per le lande tolkieniane della letteratura più aggressiva e mesmerica che ci sia.
Bilico sta al thriller come un film di Hitchcock al cinema. E’ qualcosa che non avevo mai sperimentato, una sorpresa che equivale a un rovesciamento, a un mutamento del gradiente dell’asse terrestre, a una svolta karmica: qualcosa che mi lascia stordito e che, di colpo, a metà del romanzo, mi capovolge da lettore a vittima di un atteggiamento radicalmente diverso. Come questa autrice riesca a immaginare una trama così pazzesca rimane per me un miracolo, un mistero e, in tutta franchezza, una sorgente d’invidia. La sua lingua è volutamente piatta e leggibile come percorrere uno scivolo senza ostacoli, ai limiti del referto necroscopico. Il teatro umano che si agita nel suo libro è coinvolgente, psicologicamente scannerizzato da una mente penetrante, capace d’intuizioni profonde. Il serial killer, che costituisce l’oggetto della ricerca di una squadra investigativa a dir poco memorabile, è qualcosa che abbiamo già visto: lo choc sta nel fatto che non abbiamo mai visto uno svolgimento e un colpo di scena simile a quello che Paola Barbato escogita in Bilico. Doppio salto mortale: la protagonista è antipatica, probabilmente asessuata, non desiderabile, non ha gli occhioni e le palpebre che fanno da flap a Key Scarpetta. E il colpevole è ubiquo: si direbbe demonico, se non fosse che davvero il sovrannaturale non entra nella cattedrale Bilico. Ecco: un thriller-cattedrale, dall’architettura perfetta, piana e comprensibile – apparentemente una cattedrale come ce ne sono tante. A un certo punto, però, la cattedrale smotta e diventa un’astronave. Una cosa mai vista.
Si fa tanto un gran parlare, in sede critica, della cosiddetta "dittatura del thriller". Cavolate. Se si pensa che Il codice Da Vinci di Dan Brown è tra i romanzi più politici d’inizio millennio, bisognerebbe imbarazzarsi per un giudizio simile. La cosa fondamentale è l’incanto che un libro irradia: a volte è dolce come una ninna nanna, a volte è violento come uno strappo al cervello. Bilico è in bilico su entrambi i fronti e, nell’esserlo, rivoluziona completamente l’immaginario poliziesco che i lettori di tutto il mondo si sono costruiti in questi anni. Non sarà più possibile scrivere un thriller normale, dopo l’apparizione sconcertante di questo romanzo.
L’ho letto in una notte, tra l’altro buia e tempestosa. Ora, io non ho l’età, come cantava la sublime Cinquetti del ’64: nel senso che sono invecchiato e una notte in bianco non la reggo più facilmente. Ma una notte in nero, probabilmente, sì: e devo ringraziare Paola Barbato e il suo inafferrabile e misterioso Bilico per avere fatto un’esperienza così devastantemente bella e inquietante, così arcaica: il racconto puro, che non permette di staccarsi dalle parole che fluiscono, di scena in scena, nell’attesa che succeda qualcosa, finché qualcosa succede e non si immaginava che fosse proprio quella cosa ad accadere.
Di fronte a queste uscite editoriali, siano di letteratura cosiddetta alta siano di genere puro, io sono grato: sono grato all’autore e al meraviglioso periodo che la narrativa italiana sta vivendo, perché anche Bilico è un mattone importante nella trasformazione del nostro immaginario, violentemente strappato alla dittatura catodica, in linea al limite con le avanguardie narrative televisive che 24 e Lost stanno costituendo oggi, ma un passo più avanti – è la letteratura, non si può farne a meno, è come un nutrimento dolcissimo, un veleno che a piccole dosi ci mitridatizza dall’alienazione e ci lancia verso sfere in cui tutto è possibile.
Non lasciatevelo scappare, Bilico: è proprio il thriller in cui tutto è possibile e da cui è impossibile soltanto sfuggire.

Paola Barbato – Bilico – Rizzoli – 17 euro