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Il Vernacoliere è ormai da tempo un fenomeno giornalistico assolutamente unico. Se non è la sola rivista satirica esistente in Italia, è certamente la più longeva e, soprattutto, di gran lunga la migliore. Iconoclasta, volgarissima, feroce, di una lucidità sfrenata, è l’unica che possa dirsi erede del filone che in Italia ebbe le sue più valide e recenti espressioni ne Il male e in Cuore e in Francia nella mitica Hara-Kiri (di cui l’ancora esistente Charlie Hebdo è un fiacco fantasma). A differenza di quegli esempi, però, Il Vernacoliere esce da vent’anni e non accenna a scomparire; anzi, la sua popolarità e le sue vendite sono in continua crescita.


Non si creda che ciò sia dovuto all’origine dialettale (livornese) del mensile. Questa non condiziona ormai più né la sua diffusione né i suoi contenuti. I quali qualche volta sono serissimi come si può vedere dall’editoriale del numero in edicola, firmato dal direttore Mario Cardinali, che riportiamo più sotto.
Adesso Il Vernacoliere ha anche un proprio sito web, bellissimo ed esilarante. Lì è possibile trovare anche le istruzioni per abbonarsi. Nessuno avrà quindi più scuse per sottrarsi alla lettura del periodico più caustico e intelligente d’Italia, boccata di respiro nell’aria ammorbata dai Feltri, dai Ferrara, dai Moncalvo e dagli altri necrofili spacciatori quotidiani di squallore. (VE)

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LA DIVERSA MORTE
di Mario Cardinali

Quello scatto ormai famoso di Fabrizio Quattrocchi davanti ai suoi aguzzini dell’Islam fondamentalista: “Ora vi faccio vedere come muore un italiano”.
L’hanno addirittura dichiarato eroe, per questo.
Perché è vero, noi occidentali – e italiani in particolare – siamo d’una civiltà diversa. E mica perché l’occidente è figlio magari del secolo dei lumi e del principio del dubbio che tutto mette in discussione a cominciare dalla fede religiosa, tutte le fedi e specialmente quelle rimaste al medioevo negatore d’ogni umanissimo diritto.
No, siamo diversi e diversamente eroi (superiori, o via!) perché come l’ha gridato Quattrocchi quel “vi faccio vedere come muore un italiano” non lo poteva certo gridare un poveraccio figlio dell’Islam.
Ma ve l’immaginate voi un abitante di Falluja, uno di quelli rimasti ancora vivi nel massacro dell’assedio americano, che mentre le bombe e le cannonate dei liberatori gli piovono addosso alza lo sguardo verso gli aerei e sui carri armati e invece di scappare come un topo urla “ora vi faccio vedere come muore un iracheno”?
No. Solo un occidentale, solo un italiano poteva gettare tanto eroico sprezzo in faccia ai suoi assassini. Il figlio d’un paese che sta dando proprio ora un ancor più significativo segno della sua vera civiltà col dichiarare legittima la tortura di polizia (del “pubblico ufficiale”) purché sia praticata una volta sola, e col proporre una società più sicura con una nuova “legittima difesa” che autorizza il cittadino a sparare su qualunque intruso gli si presenti minaccioso in casa od in bottega.
Il che è già un ben noto e diffuso uso americano, a voler sottilizzare, ma noi di sicuro ci metteremo un po’ di civiltà tutta italiana nello sparare sugli zingarelli che ci vengono a rovistare in casa. Che è civiltà anche e specialmente della Lega, la caccia all’extracomunitario ladro. Una Lega promotrice principale di tutte queste nuove leggi. Una Lega che si definisce padana nell’apparire come una banda di forcaioli demagoghi, populisti, xenofobi e fascisti ma che rappresenta invece tutto il progresso dell’italico cammino verso un mondo più libero e sicuro, non a caso il mondo d’una Casa delle Libertà.
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Una casa che tuttavia non assicura ancora il pane a tutti i propri figli, tant’è che con la guerra son costretti a camparci anche i disoccupati. Che tali erano, a sentire i loro parenti e amici, anche le quattro “guardie del corpo” italiane (“ragazzi” tout court, anche questo è un modo di capirsi più italiano) finite in mano alle Brigate Verdi di Maometto.
La guerra come un’occasione di lavoro. Professione vecchia come l’uomo ma che ogni volta si riscopre con sorpresa. Mercenari i nostri ragazzi? Ma via, andavano soltanto a guadagnare un po’ di più che a raccogliere ortaggi qui in Italia. Come certo facevano anche gli altri ventimila “civili armati” ingaggiati in ogni parte del mondo per l’Iraq dalle tante società di sicurezza, un’immensa armata di volenterosi anch’essa, come la coalizione d’eserciti andati a portare la democrazia di guerra in Mesopotamia. Un altro esercito ma pagato in nero, valanghe di soldi anche lì ma per soldati ufficialmente non soldati, fra i quali anche gurka del Nepal, ex militari dell’ex governo razzista sudafricano ed altri professionisti d’armi rimasti senza occupazione.
Ma in ogni caso “ragazzi” soprattutto, i nostri. Qualcuno dei quali aveva svolto quel lavoro – si è sentito dire – anche in Nigeria, a protezione del personale delle multinazionali che laggiù si spartiscono tutta la ricchezza del petrolio.
E mi sovviene d’un amico, laggiù impegnato qualche anno fa come tecnico d’una società petrolifera italiana, che mi raccontava come gli occidentali in Nigeria vivevano fortificati per non essere assaliti e derubati dagli abitanti disperatamente affamati. Dei quali molta polizia locale si liberava talvolta in modo assai sommario dando loro pubblicamente fuoco fra i copertoni delle auto per la strada o con un colpo di pistola dopo averli trascinati in un portone.
La polizia locale, per carità. Al soldo di corrottissimi governanti mantenuti dalle multinazionali. Di certo non le guardie del corpo d’ogni altra nazionalità che i loro clienti li proteggevano sparando magari in aria o dando fuoco, tutt’al più, agli sterpi.