di Valerio Evangelisti

Fanucci ha appena pubblicato una nuova traduzione del celebre racconto Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu (152 pp., € 6,00). Proponiamo l’introduzione al volume scritta da Valerio Evangelisti.

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Riesce difficile credere che l’autore della più bella e trasgressiva di tutte le storie di vampiri sia stato, nella vita, un personaggio mite e conservatore, senza passioni evidenti e dall’esistenza quotidiana tendente alla banalità. Eppure tale fu — come lo fu più tardi un altro evocatore di incubi, H. P. Lovecraft – Joseph Sheridan Le Fanu (1814-1873). Irlandese protestante di origini francesi, direttore di periodici un po’ codini che non hanno lasciato il segno e, malgrado il soprannome suggestivo (Principe Invisibile) di cui si fregiava nella società dublinese, confinatosi, dopo la vedovanza, in una solitudine che poco aveva di principesco.

A questo fautore della società vittoriana in terra d’Irlanda, a questo predicatore di conformismo politico e sociale, dobbiamo la sorprendente creazione di una vampira adolescente esplicitamente lesbica, capace di risvegliare pruriti sessuali in quanti — maschi e femmine — leggano un secolo e mezzo dopo la sua storia. Vampira titolare di una quantità di trasposizioni cinematografiche inferiore per numero solo a quelle del tetro epigono Dracula, ricche di protagoniste molto più lussuriose e procaci del modello originale. Tanto che viene da chiedersi se il pio Le Fanu, colpevole di tanti turbamenti adolescenziali, sia davvero entrato in paradiso. Lui, discendente di ugonotti che avevano lasciato la Francia perché trovavano il cattolicesimo troppo clemente (non verso gli ugonotti stessi, a dire la verità).
La soluzione del mistero sulla double vie di Le Fanu è forse racchiuso nella singolare scansione della sua vita notturna. Si coricava in orario normale per quei tempi, cioè appena passato il tramonto. Dopo qualche ora, a notte fonda, iniziava a scrivere e continuava fino all’alba. Quindi si concedeva le ore di sonno restanti. Ciò vuol dire che, in pratica, i suoi momenti di veglia notturna coincidevano con quella fase del sonno in cui è più intensa l’attività onirica dei comuni esseri umani. Mentre altri avevano incubi, lui scriveva incubi. E, probabilmente, mentre altri carezzavano in sogno pulsioni poco confessabili durante il giorno, lui le fissava sulla pagina scritta alla luce di una candela.
E’ così che nasce Carmilla; solo che, sorprendentemente, non è vampiro notturno, bensì solare. Il suo pallore è dovuto non già a un’esistenza umbratile, ma alla semplice circostanza di essere morta ormai da qualche secolo (per l’esattezza, dal 1698). Per il resto, si muove con disinvoltura sui prati, in pieno giorno, e ama le passeggiate all’aperto. Solo quale extrema ratio, allorché si trova in pericolo, trova rifugio in una bara colma di sangue. Si intuisce, però, che il suo habitat naturale non è quello, fra le tombe e le ragnatele in cui dimorano le salme provvisorie della dinastia Karnstein. Lei cerca la bellezza, ed è di quella che si nutre fino a dissanguarla.
O forse è meglio dire che insegue il piacere, di cui la bellezza è un tramite. Le Fanu, nelle sue veglie che immagino febbricitanti, collega per primo vampirismo e sensualità. E assegna a Carmilla, o Mircalla (o Marcilla, o Millarca, aggiungeranno le versioni cinematografiche) compiti di iniziazione nei confronti di Laura, la giovinetta ingenua e un po’ goffa che, ultima di una serie, cade sotto il suo influsso.
Le Fanu, dati i tempi in cui scrive (il racconto, che sarebbe meglio definire romanzo breve, è del 1871), non può dirci tutto. Tuttavia ci sussurra che Laura giunge inizialmente a congetturare che Carmilla sia un maschio travestito, tanta è la frequenza con cui l’abbraccia e bacia; e ciò prima ancora delle dichiarazioni d’amore esplicite — di un amore capace di durare oltre la morte — e dei sogni troppo concreti che la inseguono ogni notte nel letto, in cui i baci sulle labbra di una creatura trasfigurata in animale morbido si trasformano in morsi e comunicano languore e spossatezza. In pratica, Laura apprende da Carmilla la nozione di amore carnale. Il paradosso sta nel fatto che chi l’ammaestra è un’ombra.
Questa visione del vampiro come seduttore irresistibile diverrà venticinque anni dopo, nel Dracula di Bram Stoker (anch’egli irlandese, forse non casualmente), qualcosa di completamente diverso. Dracula, più che come amante — ruolo che solo il cinema gli restituirà — si proporrà come anticristo, come blasfema parodia del Nazareno: se questi donava il sangue, l’altro lo prende, e invece di condurre alla vita eterna trascina alla morte eterna. Diventa quasi una necessità, da queste premesse, che alla luce si sostituisca il buio, e al letto il sacello.
Carmilla non fa nulla del genere. Allude più volte alla natura selvaggia e non contrastabile dei propri istinti, che sazia eccitando gli istinti altrui. Ruba il sangue per riempire di vita la propria morte, perpetua la lussuria sua e di altri, cerca, più che anime dannate, compagne di giochi, seppur defunte, che la salvino dal peso dell’ombra. Non ha quel fare pretesco che manifesterà Dracula, questo suo discendente che, rispetto a lei, dà più l’idea di un padre arcigno che di un figlio (ciò che dal punto di vista anagrafico, considerata l’età rispettiva, è in effetti plausibile). Se la genia dei vampiri è una specie di clero rovesciato, Carmilla ci ricorda piuttosto certe suorine licenziose e maliziose dei quadri surrealisti di Clovis Trouille, pronte ad alzare la sottana al minimo pretesto.
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Il cinema, con le sue capacità di sintesi e di semplificazione, risparmierà infatti a Carmilla il mantello nero simile a una tonaca, l’addobberà di vesti vaporose e farà delle coperte sfatte toccate dalle luci dell’alba il suo scenario ideale. Ciò in una serie di titoli scopertamente allusivi: Vampiri amanti, Et mourir de plaisir, Mircalla, l’amante immortale. Però, nella sua ansia di sottolineare la lussuria e di incarnare il personaggio nella fisicità di attrici procaci, il cinema lo tradirà sostanzialmente, tralasciando una delle componenti della sua sensualità: l’anoressia, il languore. Dimenticherà, con ciò, l’elemento chiave che lo connota, e cioè la sua collocazione sociale.
Come si legge nel racconto di Le Fanu, gli appetiti di Carmilla non sono equamente distribuiti. Verso i contadini, per esempio, ha un’invincibile ripugnanza, che confina con l’odio. Del sangue di alcuni di loro si ciba, sì, ma è un pasto consumato in fretta, tanto per tenersi in piedi. Antitetici ai suoi canoni di bellezza, non li destina né al piacere né alla morte vivente, non li vuole trasformare a loro volta in vampiri. Li spedisce sottoterra e non se ne cura oltre.
(Forse vuole risparmiare a se stessa, azzardo, quell’alito fetido che Bram Stoker attribuisce al suo Dracula, succiasangue poco schifiltoso; mentre Carmilla non può che profumare.)
La nostra vampira instaura rapporti amorosi destinati a durare oltre la vita solo con appartenenti alla sua stessa classe aristocratica. Laura, per esempio, dice di non essere ricca (in parte mente, ma il suo metro di paragone non è il popolo), però nella Stiria vive in un castello, e la sua famiglia gode di una rendita, seppur modesta. Ecco la vittima ideale di Carmilla, destinata a essere uccisa ma anche a essere ammessa nel regno dei non morti. Soprattutto, a condividere forme di lussuria ignote alla gente dei campi, delle taverne e dei bordelli, per la quale il languore, le carezze prolungate e le sottili crudeltà non fanno parte della quotidiana vita sessuale.
E come il libertinaggio del marchese de Sade si scontrò con la granitica incomprensione dei giacobini, che non vi scorgevano nulla di rivoluzionario, così le turbe morbide e perverse di Carmilla trovano un ostacolo invalicabile nel dottor Martin Hesselius (una creazione di Le Fanu, va detto, molto meno felice del suo alter ego, il Van Helsing di Stoker): un borghese piuttosto ricco, ma pur sempre un borghese, che della caccia ai vampiri ha fatto la propria vocazione.
E qual è il sistema che Hesselius suggerisce, per lo sterminio dei suoi nemici mortali? Vabbe’, il rude paletto nel cuore può funzionare, ma solo per un aristocratico-ombra come Dracula può risultare decisivo. Per un’aristocratica deceduta ma ancora viva come Carmilla serve di più: serve il taglio della testa. Il tipo di condanna che la borghesia ha utilizzato per sbarazzarsi degli aristocratici, della loro potenza e del loro sensuale sfinimento.
Non so se Le Fanu pensasse effettivamente a tutto questo, nelle sue veglie di metà nottata. Di sicuro è che ciò a lui, fedele suddito dell’aristocrazia britannica, è uscito dalla penna mentre scriveva nel 1871: lo stesso anno in cui a Parigi sembrava avere luogo una nuova rivoluzione francese. La classe protagonista non era in realtà la borghesia, ma questo Le Fanu non lo poteva ancora sapere.