di Igino Domanin

Riprendiamo da Quinto Stato la “postilla critica” di Igino Domanin a un libro estremamente interessante: Stefano Porro, Walter Molino, Disinformation Technology, ed. Apogeo, pp. 120, € 10. Il tema dello studio, scritto da due autorevoli esperti in comunicazione, sono le possibili manipolazioni della verità attuate attraverso Internet.

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L’agguerrito pamphlet Disinformation technology (edito da Apogeo) di Stefano Porro e Walter Molino descrive efficacemente i mutamenti dello scenario dell’informazione globalizzata e in real-time. La tecnologia della Rete rende possibile nuove e inedite possibilità di manipolazione della verità, rendendo perfino labile e indistinguibile il confine tra verità e menzogna. I due autori rinnegano ogni velleità filosofica. Ma tra le pieghe del loro reportage giornalistico sono toccati alcuni problemi decisivi dello statuto della conoscenza nell’orizzonte della Network society.

Porro e Molino prendono sul serio la tesi paradossale per cui dobbiamo abituarci, all’interno dell’odierna complessità sociale, a convivere con una certa dose di menzogna. Non si tratta, quindi, di sposare moralisticamente il partito della verità. La contrapposizione tra vero e falso non spiega più i meccanismi che determinano la produzione dell’informazione. Molti teorici come Debord, Baudrillard e i postmoderni americani ci hanno spiegato come la natura degli eventi storici e sociali sia permeata originariamente dalla presenza dei media. L’evento e la sua rappresentazione non sono due realtà dissociabili, ma il medesimo processo. Una certa dose di manipolazione e di spettacolarizzazione è immanente, dunque, al prodursi dell’esperienza. Il libro di Molino e Porro, a mio avviso, è il primo importante tentativo di fornire la mappa della nuova condizione. Soprattutto facendo riferimento ai fenomeni di Rete. In merito al loro percorso vorrei aggiungere un paio di osservazioni critiche in forma di postilla.

A mio avviso, il punto fondamentale è che la Rete rende possibile una simulazione del reale che fa convergere l’esperienza percettiva e gli atti di rappresentazione. Simulare un evento non si riduce a rappresentarlo, poiché la digitalizzazione di un dato percettivo rende possibile una modificazione e una elaborazione dell’informazione che, dal punto di vista dell’esperienza, sono identiche a quelle che avvengono in qualunque situazione reale. Il reale percepito e quello simulato sono aspetti di un unico continuum. La simulazione, nel contesto della società dell’informazione, non è, quindi, una forma derivata della conoscenza degli avvenimenti, ma il medium privilegiato che ci rende accessibile la percezione del mondo esterno e l’evidenza dei fatti. I fatti esistono e sono percepiti in quanto sono costruiti. In questo senso, da un punto di visto giornalistico, non ha più interesse ritenere che le notizie debbano esclusivamente basarsi sui fatti. Le notizie stesse, il ritmo incalzante e rimbalzante delle breaking news creano l’ambiente spazio-temporale nel quale agiamo come soggetti storici e sociali. Bisogna cercare nuovi criteri. L’informazione è un mezzo per produrre realtà e per far crescere le possibilità della nostra conoscenza e della nostra esperienza. Ma, per tornare ai problemi deontologici, non si può ovviamente fare un’apologia della menzogna.

E veniamo al secondo punto. Come fanno vedere Molino e Porro, attraverso una ricchissima raccolta di casi concreti e, fornendo- in modo ironico- addirittura una metodologia della manipolazione giornalistica- se la complessità dell’epoca della globalizzazione impone la scelta della narrazione e il ricorso a una necessaria mitizzazione degli avvenimenti, dall’altro c’è il rischio di voler imporre questo assunto come una forma di scetticismo assoluto nei confronti della verità. Come muoversi allora facendo riscorso a una scelta razionale? Occorre, innanzitutto, una bella dose di disincanto. Bisogna comprendere, dunque, che dietro la notizia c’è sempre l’artificio e mai la rappresentazione oggettiva di un presunto mondo dei fatti. Nello stesso tempo, però, la legittimità del ricorso alla narrazione non autorizza, ad affermare un uso strumentale dell’ammissione del ruolo menzogna e della finzione. Se la finzione è reale, non è, al contrario, altrettanto sostenibile che tutto sia finto. La realtà, cioè, continua, anche se con mezzi diversi, ad avere il suo peso decisivo.

Alcuni esempi istruttivi di questo cattivo uso della menzogna, riportati assai minuziosamente nel libro, sono i casi proliferanti di teoria dei complotti. Attraverso un sapiente uso postmoderno dell’informazione è possibile radicalizzare le considerazioni precedenti. Basta esasperare il riconoscimento del carattere artificiale di ogni notizia per svuotarla di ogni verità e rendere possibile il sospetto su ogni versione accreditata o attendibile dei fatti. Si tratta di esercitare una sorta di controretorica basata sulla persuasione che dappertutto ci siano persuasori occulti. Baudrillard ha stigmatizzato questo fenomeno come il negazionismo contemporaneo. Il complottismo, basandosi sull’idea che esiste una manipolazione dei fatti, arriva a negare l’esistenza dei fatti stessi. L’aspetto morboso e patologico di questa posizione consiste nel liquidare ogni riferimento alla realtà e annegandolo nell’oceano dei sospetti e delle tesi mai verificabili, In questo modo si rigetta pericolosamente il carico morale della responsabilità giornalistica. Per rendersi istruiti sulle opportunità e i rischi della società dell’informazione il libro di Molino e Porro è un indispensabile vademecum.