di Luigi Bernardi

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Ho visto alla televisione la statua di Saddam cadere a pezzi nella piazza di Bagdad, sono andato a dormire e fatto un sogno, anzi due. Nel primo, dopo la caduta del governo Berlusconi, gli italiani buttavano tutti quanti il televisore dalla finestra. Nel secondo, dopo la caduta della giunta di Guazzaloca, i bolognesi diventavano tutti quanti vegetariani. Mi sono svegliato, dovevo andare in bagno. Assonnato, allo specchio mi sono visto una faccia che non mi conoscevo, bieca come certe caricature. Dopo sono tornato a dormire, e ho fatto un paio di altri sogni ancora.

Nel terzo sogno le Poste Italiane tornavano al vecchio deficit di bilancio, e io ritrovavo la postina che per anni mi aveva assicurato la consegna della corrispondenza entro le undici del mattino. È stato un bel sogno, di colpo erano spazzate via tutte le dissennatezze che ho dovuto subire in questi ultimi anni, fino all’ultimo, quello che per la prima volta ha permesso alle Poste Italiane di chiudere i conti in attivo, evento salutato con l’entusiasmo di una conquista bellica. Prima del sogno, mi chiedevo perché dovessi essere felice di un bilancio ottenuto sulla mia pelle di utente, sulla corrispondenza consegnata a ore assurde, anche dopo le tredici, sui pacchi affidati a un corriere che anche lui consegnava quando capitava, con disservizi irragionevoli, come un regalo di compleanno speditomi per posta celere e arrivato quattro giorni dopo, o una cassata siciliana finita misteriosamente a Sarzana invece che a casa mia, dove invece è arrivato il buccellato atteso per l’appunto nella cittadina ligure. Nel mio sogno, le Poste Italiane tornavano a essere un servizio reso ai cittadini, e non un gioco finanziario nel quale si dilettano i maestri della nuova economia, una speranza che appartiene ormai davvero e soltanto al mondo delle fantasticherie notturne.
Nel quarto sogno la Granarolo aveva finalmente capito che l’album per la raccolta dei punti meritava un formato meno sciocco e meno penalizzante per i suoi affezionati clienti, costretti a inventarsi buste quadrate là dove ne esistono soltanto di rettangolari. Nel mio sogno, i dirigenti della Granarolo andavano tutti quanti in cartoleria, erano tanti e si era creato un po’ di fitto. Si facevano mostrare i diversi tipi di buste normalmente in vendita, ne sceglievano uno, non senza una lunga serie di discussioni che avevano un po’ innervosito la fin lì disponibile cartolaia, e decidevano seduta stante che il nuovo album per la raccolta dei punti dovesse stare dentro una busta di un determinato formato rettangolare. È stato un sogno bellissimo, ho pensato alla facilità con la quale l’anno prossimo potrò spedire la mia cartella dei punti, mi sono svegliato di buonumore.
Il buonumore non ci ha messo molto ad andare via. La conquista di Bagdad da parte delle truppe americane ha riaperto la bocca a certi beceri personaggi nostrani che non vedevano l’ora di unirsi al carro dei vincitori. Sono persone così da niente che non sanno fare altro. Un giorno, qualche storico scriverà che la seconda guerra del Golfo è stata la fredda macelleria di un esercito reso pressoché incapace di difendersi, la distruzione sistematica di un habitat per poterlo ricostruire rilanciando i motori dell’economia, la disgustosa presa per i fondelli di un’opinione pubblica che fremeva per un esito che non è in realtà mai stato in discussione. Intanto, pare che sia smesso di contare i morti, sono troppi. Perché l’ultima bestemmia è proprio questa: si parla e si piange per i morti civili, nulla si dice rispetto alle migliaia e migliaia, decine di migliaia, di soldati iracheni ammazzati. Quelli non valgono, quelli erano nemici, dimenticando la più elementare delle constatazioni: in una dittatura, in una dittatura in guerra, tutti i civili sono costretti a indossare la divisa. Quanti Iracheni saranno rimasti in vita, di quelli che avevano fra i diciotto e i trent’anni? La risposta sarà la sintesi più oscena di questa guerra omicida e vigliacca che l’America ha dichiarato soltanto solo dopo essere stata sicura che l’avrebbe vinta. Una guerra che nessun sogno potrà mai risarcire.

Da Il Domani di Bologna